Intervista agli Es Nova: tra nuove inaspettate evoluzioni artistiche

Questa volta Erica Agostini, Alice Drudi e Nicola Rosti hanno sublimato i loro talenti multiformi fino a dar vita a un progetto in grado di soffermarsi sulle più abbaglianti luci e fin dentro le ombre più profonde del proprio Io, racchiudendo in note, parole e fonemi le essenze più intime. Il risultato è un affascinante viaggio interiore contraddistinto da un titolo semplice quanto evocativo: “Noi”, un “noi” che si allarga fino ai confini ultimi del nostro corpo per raggiunge l’Altro...
  • Bentrovati. Non ci capita spesso di entrare in contatto con progetti come il vostro lavoro più recente, “NOI”. Com’è nata l’idea di creare un’opera di fotografia e musica insieme?

Fin dai nostri primi lavori siamo stati affascinati dal rapporto fra arti visive e arti sonore, credendo in una loro compenetrazione e in un dialogo reciproco all’interno delle nostre opere. Nel caso di NOI, il tema su cui stavamo lavorando era quello della dimensione della molteplicità, e abbiamo deciso di svilupparlo sia attraverso la fotografia che tramite la composizione musicale. Il progetto è il frutto di un lavoro congiunto tra Es Nova ed Erica Agostini, e intende restituire, in forma sinestetica, la stratificazione delle dimensioni psicologiche e interiori. Le fotografie in bianco e nero catturano presenze fugaci, corpi in trasformazione, mentre la musica diventa una struttura liquida che invita all’ascolto immersivo e alla sospensione del tempo ordinario.

  • In che modo queste due arti collaborano e si completano nel vostro progetto?

Si compenetrano dal punto di vista dell’approccio al mezzo espressivo, diretto e immediato, con un utilizzo molto limitato della post-produzione. La parte visiva è stata il supporto, la suggestione che ha dato vita alle composizioni musicali.

  • L’utilizzo della voce nella parte musicale di “NOI” è decisamente inconsueto e si concentra soprattutto sul suono anziché sulle parole. La voce, dunque, non vuole farsi veicolo di un messaggio quanto piuttosto di suggestioni che nascono dal suo armonizzarsi con le note del pianoforte?

Assolutamente. La voce in “NOI” è un corpo sonoro, non un semplice mezzo narrativo. Questa ricerca si colloca idealmente sulla scia di Hildegard von Bingen, la quale già nel XII secolo utilizzava il canto come forma di rivelazione spirituale e sensoriale. La ricerca di Erica si fonda sullo Sprachgestaltung di Rudolf Steiner e sulla chirofonetica di Alfred Baur, che hanno esplorato la natura e l’azione dei fonemi, riconoscendone il potere trasformativo e terapeutico. A questa visione si affianca la sperimentazione vocale di Demetrio Stratos, il quale ha liberato la voce dalle funzioni linguistiche convenzionali, esplorandola come materia viva e multiforme. La nostra esplorazione parte proprio da qui: dalla voce come strumento puro, vibrazione primaria, presenza incarnata.

  • Le composizioni al piano, invece, sono nate parallelamente e contemporaneamente a quelle vocali, seguendo un fil rouge o un qualche tema identico sviluppato poi ciascuno a modo proprio? Oppure sono nate separatamente e avete poi costruito la composizione finale in un secondo momento?

Le composizioni sono nate da una serie di esperimenti e improvvisazioni realizzate in studio di registrazione, al Duna Studio di Andrea Scardovi. Pianoforte e voce nascono insieme, in un continuo dialogo improvvisativo. Non ci sono partiture predefinite: ogni suono prende forma nell’istante di quel momento, seguendo un’intuizione comune. La composizione è il frutto di un ascolto reciproco, di un flusso dinamico in cui i due strumenti si cercano, si sovrappongono, si perdono e si ritrovano. Tutto si compone di strati, di sovrapposizioni che si intersecano fra loro. Il risultato è una “metacomposizione” in cui ogni momento è parte di un organismo vivo e mutevole, fatto di avvicinamenti e distanze che continuamente si avvicendano.

  • Per la fotografia, quale tecnica e quali strumenti avete utilizzato per ottenere il connubio perfetto tra luci e ombre, tra bianchi e neri?

Erica lavora senza post-produzione, scegliendo di partire dal buio e usare la luce come strumento di rivelazione. Le sue fotografie sono realizzate con tecniche ispirate al light painting, creando immagini che non mostrano ma interrogano. Le fonti luminose sono dirette e taglienti, generando forme spezzate e figure quasi metafisiche. Il risultato è una poetica dell’invisibile, dove luce e ombra convivono in tensione costante generando presenze evanescenti che non ritraggono un soggetto, ma ne evocano il passaggio, la memoria, la trasformazione.

  • La vostra arte nasce molto probabilmente per scopi principalmente concettuali, e un progetto come “NOI” sembra infatti difficilmente vendibile in termini meramente economici. Non essendo dunque di certo il lucro il vostro intento, qual è il vostro “guadagno” nella creazione delle vostre opere?

Come tutti gli artisti, riceviamo compensi quando partecipiamo a performance o eventi, ma il nostro percorso non è mai stato guidato da logiche economiche. Il nostro intento, fin dall’inizio è stato quello di sperimentare un certo modo di intendere il fare musica, principalmente rivolto alla dimensione del gruppo e della composizione estemporanea e dell’interazione con il pubblico. Non ci interessa l’utopia di cambiare il mondo, ma crediamo nel valore di creare spazi di autenticità, bellezza e ricerca. Le esigenze dell’arte e quelle dell’artista come persona spesso seguono traiettorie differenti, ed è importante scegliere con consapevolezza che cosa mettere al primo posto.

  • Qual è la vostra idea sullo stato della musica e, in generale, dell’arte al giorno d’oggi? Come parleranno di questo periodo artistico, secondo voi, tra cent’anni?

È una domanda molto complessa e richiederebbe una risposta articolata. Se dovessimo dare una risposta sintetica, e non univoca, potrebbe essere qualcosa di questo tipo: il periodo del “tutto è concesso”, il periodo di possibili nuove avanguardie, il periodo della perdita di ogni riferimento estetico tradizionale. Nel complesso, un periodo ricchissimo di nuove possibilità musicali e di grande apertura verso ogni integrazione musicale possibile.

  • Il vostro ruolo in questo panorama artistico, per quanto possa sembrare piccolo, è fondamentale per offrire spunti diversi a chi cerca qualcosa fuori dal comune, in un mare di progetti che generalmente si assomigliano tutti. Poiché siete sulla scena già da diversi anni, qual è stata la soddisfazione più grande che avete ricevuto fino ad ora?

Nel corso di questi anni ci sono stati momenti che ricordiamo sempre con gioia e gratitudine, a cominciare dall’aver potuto realizzare la nostra musica così come avevamo immaginato di farla, sia artisticamente che tecnicamente, grazie alla collaborazione e al supporto di molte persone. Ricordiamo con entusiasmo anche i concerti al buio al Cinema Fulgor, il primo NFT musicale della Rep. di San Marino, l’aver portato dal vivo concerti totalmente estemporanei, il calore dei commenti del pubblico e dei critici…

  • Se vi chiamassero in un contesto multiplo, come potrebbe essere un festival non dedicato a un pubblico specificamente avvezzo al tipo di arte che producete, ma in cui intervengono anche artisti pop commerciali e giovani band alle prime armi, accettereste l’invito a partecipare per provare a portare la vostra arte a un pubblico più ampio, o preferireste rifiutare per non correre il rischio di essere fraintesi?

Gli Es Nova non portano in scena un messaggio politico né un ‘discorso’ in senso stretto, quindi non temiamo di poter essere fraintesi. Il pubblico abituato a proposte più mainstream potrebbe non avere familiarità con il linguaggio che proponiamo, ma proprio questo può diventare un’occasione di incontro e arricchimento reciproco — anche tra estetiche profondamente diverse.

  • Per salutarci, vi facciamo una domanda di rito: a cosa state lavorando in questo periodo?

Stiamo lavorando per continuare a portare NOI in gallerie d’arte e spazi espositivi. Stiamo producendo anche una serie di live in studio che saranno pubblicati a breve oltre a nuove collaborazioni con altri musicisti. In tempi in cui l’arte è spesso ridotta a superficie o intrattenimento, è per noi importante vivere la musica come dialogo profondo, come gesto che interroga e crea tensioni creative nuove e rigeneranti.

Francesca Conti

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