03/08/2025 – Wembley: la reunion degli Oasis è la più importante della storia [Report]

È stato più di un evento. Una vera e propria esplosione collettiva di emozioni. Nemmeno nei giorni di massimo splendore si era vista un’energia simile. Questa non è solo una reunion. È un richiamo ancestrale, una scintilla che ha riacceso cuori in ogni angolo del mondo. Un fenomeno culturale senza confini, una marea che ha travolto tutto — mente, corpo, memoria. Un’onda irripetibile, e chi l’ha vissuta, lo sa: non era solo musica. Era appartenenza. Era magia.

Ci sono serate che non si dimenticano. E poi ci sono serate come il 3 agosto 2025 a Wembley: quelle che non solo ricorderai per sempre, ma che riscrivono qualcosa dentro di te. Che prendono il passato, il dolore, i sogni mai confessati, e li portano sotto le luci di uno stadio strapieno, a urlare vendetta e rinascita.

Quella sera, gli Oasis sono tornati. Davvero. Non con una comparsata, non con una versione edulcorata di se stessi. Sono tornati con la furia, l’ironia e la poesia che li ha resi la band di una generazione – o forse di tre. E se me lo avessero detto anche solo un anno fa, non ci avrei creduto.

Un libro nato dalla fine… o così credevo

Quando ho iniziato a scrivere “Definitive Oasis“, l’obiettivo era chiaro fin dal titolo: voleva essere la biografia definitiva della band. Un lavoro totale, il punto fermo. Un faro per i fan più accaniti, ma anche un tributo assoluto e devoto. Perché – almeno allora – sembrava che la storia fosse davvero finita. Che non ci fosse più nulla da aggiungere, se non il ricordo. Scriverlo era il mio modo per chiudere un cerchio. Un tributo, sì, ma anche un atto di amore e archivio. Un modo per raccogliere tutto ciò che gli Oasis erano stati: musica, rabbia, fratellanza, distacco, mito. Non avrei mai immaginato che, un mese dopo aver firmato il contratto con l’editore, sarebbe arrivato l’annuncio che nessuno osava più aspettare. Ero in vacanza in Sicilia e mi chiama il mio socio Francesco: “Mattè cazzo guarda whatsapp”. Vedo il suo messaggio ed è uno screenshot del sito degli Oasis dove appare scritto 27.08.24, con il font del loro logo. Che cazzo voleva dire. “Francè ma gli Oasis si sono sciolti il 28.08.2009…” La data è praticamente il giorno prima, sedici anni dopo, di quel triste evento. Capiamo immediatamente cosa sta succedendo ed entriamo in un gioioso panico che è durato per mesi. Così all’improvviso quel libro è diventato qualcosa di diverso. Non più solo il racconto di un’epopea passata, ma l’inizio di un nuovo capitolo.

Da quel giorno, in tanti hanno commentato la reunion con un misto di cinismo e sospetto. “Lo fanno per soldi”, dicono in molti. E forse, in parte, è vero. I numeri sono da capogiro. Gli stadi pieni, il merchandising che va a ruba, i biglietti spariti in pochi minuti. Ma chi conosce davvero i Gallagher, chi li ha seguiti per trent’anni, sa che non può essere solo questo, anche perché diciamocelo… Sono ricchi sfondati. Se consideriamo che “Wonderwall” è stata la prima canzone a fare 1 miliardo di ascolti su spotify qualche anno fa, e che Liam ha fatto sold out a Knebworth lo scorso anno, la tesi puramente economica non tiene.

Per chi ha visto poi i primi concerti del tour avrà assistito ad un Noel commosso, soprattutto a inizio concerti, imbambolato con lo sguardo perso tra il pubblico e le luci, come se si stesse chiedendo “come cazzo ho fatto a perdere per 16 anni tutto questo amore?”. Un Noel che nelle prime apparizioni era totalmente frastornato, timido, quasi imbarazzato, a dispetto di un Liam che lo indica e che chiede continuamente al pubblico di sostenere il fratello. E’ chiaro come Liam abbia sognato da anni questo momento, oltre ad aver spinto con tutte le sue forze per realizzarlo, mentre per Noel sia una nuova possibilità dopo anni di ostracismo insensato verso gli Oasis e il fratello stesso, cosa che forse aveva paura che i fan gli rinfacciassero. Ma non è tutto qui. Perché dopo i primi show ho visto Liam ridere con suo fratello, lanciargli battute sul palco, giocare con lui come due adolescenti tornati nel cortile di casa. E li conosco. So quanto gli costi, a entrambi, mostrare affetto, vulnerabilità, gioia autentica. Non si stanno sforzando. Si stanno divertendo. Sul serio. E se questo è recitato, allora è la performance della vita. Ma non lo è. È reale. Ed è proprio questa autenticità – imperfetta, umana, fragile e insieme potentissima – che ha riportato gli Oasis là dove devono stare: sul palco, davanti alla loro gente.

Uno show che non ha precedenti

Anche musicalmente, gli Oasis del 2025 sono più forti di quelli del 2009.
La voce di Liam è più curata, più centrata, più potente. Ha bandito, almeno nella vita vera, tutto ciò che gridava “Cigarettes & Alcohol”. Si muove meglio, canta meglio. E, per la prima volta, sembra anche più felice. Noel anche, e non solo per l’abbraccio finale ad ogni concerto, ma per come gioca con il pubblico, come si fa toccare il culo dal fratello, cazzo sta suonando come se fosse un ventenne che vuole di nuovo fare rock n roll con spensieratezza. A completare la magia c’è il ritorno di Bonehead alla chitarra, presenza silenziosa ma fondamentale. È stato uno degli artefici della reunion, insieme ai figli dei Gallagher, che hanno fatto da collante là dove i due fratelli avevano costruito muri. Complice, forse, il divorzio di Noel e la sparizione di Sara McDonald, figura da sempre percepita come ostacolo. Molti la definiscono la Yoko Ono degli Oasis, e se pensiamo che i due coniugi si separano nel 2023, e voci di corridoio parlano di primi contatti per la reunion proprio in quell’anno, ecco che il puzzle prende forma. E poi lo show in sé: maxi schermi in altissima definizione, grafiche dinamiche, visual live mixate in tempo reale, fuochi d’artificio sincronizzati durante “Champagne Supernova” e, persino una piccola orchestra nascosta dietro le quinte.
Non è solo nostalgia. È uno spettacolo moderno, potente, curatissimo, in grado di competere con chiunque oggi.

La notte della nazione senza patria

Wembley non è stato solo un concerto. È stato un raduno tribale. È stata una riunione di popolo, di quella generazione senza patria che si è sentita smarrita quando gli Oasis si sono sciolti. Ragazzi cresciuti negli anni ’90, figli della crisi del 2008, padri e madri che ora portano i figli sulle spalle a cantare “Don’t Look Back in Anger”. Fan da tutto il mondo, figli del britpop, anime cresciute a Manchester nell’anima anche se nate a migliaia di chilometri da lì. Una generazione che non ha mai smesso di credere, anche quando sembrava finita per sempre. E lì, il 3 agosto, siamo tornati a sentirci parte di qualcosa. Uniti, sotto la stessa bandiera invisibile, con gli occhi lucidi e le mani al cielo.

E non c’erano solo gli spettatori con il biglietto. C’era un’intera città che respirava Oasis. C’era gente venuta a Londra senza nemmeno la speranza di entrare, solo per esserci, per sentire l’eco, per dire: io quel giorno c’ero. C’erano i negozi di merchandising presi d’assalto, le magliette esaurite in pochi minuti, ancora introvabili a distanza di un mese. In alcune città europee, i fan store dedicati agli Oasis registrano code di 10 ore per entrare. C’era il passeggiare per Londra incrociando continuamente fan con magliette, cappelli, felpe degli Oasis, il salutarsi, il venire fermati da chiunque con un “are you in London for the gig?” oppure un “good choice man!” o qualsiasi altra frase del genere. Mi hanno fermato le guardie dei musei, gli addetti degli alimentari, i riders, gli autisti degli autobus.

Il mondo ha parlato: gli Oasis sono i più grandi

E per chi ancora dice che gli Oasis sono “sopravvalutati”, o che “fanno canzoni tutte uguali”, c’è solo una risposta: mettetevi l’anima in pace.
Il mondo vi ha dato una risposta incontrovertibile: la reunion degli Oasis è la più importante della storia.
Con 42 date annunciate, gli Oasis hanno già venduto 2 milioni di biglietti, con una richiesta pari a 12 milioni. Un numero mai registrato prima da nessun artista nella storia della musica. I siti sono andati in crash. Le prevendite bloccate da troppo traffico.
Le date sold out in meno di cinque minuti.

Per fare un confronto: i Guns N’ Roses, dopo la loro reunion, fecero 47 date vendendo 1.400.000 biglietti.
Gli Oasis, con meno show, ne hanno venduti 600.000 in più, e il tour non ha date ancora previste in Europa. Londra, Manchester, Parigi, Tokyo, Roma: ovunque è lo stesso fenomeno. Le magliette ufficiali spariscono dai negozi in meno di due minuti. Adidas, H&M, e decine di altri brand internazionali hanno lanciato capsule collection interamente dedicate alla band. L’estetica Oasis è tornata, e si è presa tutto.
È una follia collettiva. Un fenomeno mai visto prima, nemmeno negli anni d’oro della band. Questa non è solo una reunion. È un movimento culturale globale. Un’ondata emotiva e collettiva che non ha precedenti. E che, forse, non si ripeterà mai più.

La musica che ci ha salvati

Ma com’è possibile tutto questo?
Per me, come per tanti, gli Oasis non sono mai stati solo una band. Sono stati una casa durante le tempeste. Quando tutto sembrava crollare, c’erano le loro canzoni. A volte aggressive, a volte dolcissime. Sempre vere. Mi hanno salvato in momenti in cui avrei voluto davvero mollare tutto, e mettere un punto alla mia storia. E invece no. Se sono qui è perché il loro messaggio è stato sempre “non mollare, tu sei te e sti cazzi del resto”. Così quando il bullo a scuola provava a massacrarmi, ecco che nella mia testa si è iniziato ad accendere qualcosa, ho iniziato a reagire. “Fuck you asshole!” gridava Liam in mancuniano, e le mie braccia allontanavano lo stronzo di turno. Giorno dopo giorno mi sono ripreso la mia vita, poi ho iniziato a suonare Wonderwall per fare colpo sulle ragazze. Poi ho comprato una chitarra elettrica per rifarmi i loro assoli. Canzone dopo canzone ho filato la mia crisalide prima di volare libero in un mondo che fino a poco tempo prima era solo un incubo ricorrente. Ma questa non è la mia storia. E’ la storia di molti di noi. Ogni giorno incontro persone che mi dicono la stessa cosa: che “Don’t Look Back in Anger” è diventata una filosofia di vita. Che “Whatever” ha dato loro un’identità. Che “Stand by Me” ha tenuto insieme pezzi rotti di un cuore che sembrava finito. Il messaggio degli Oasis è ancora oggi profondamente positivo: puoi farcela. Anche se vieni dal niente. Anche se ti dicono che non sei abbastanza. Anche se ti senti sbagliato.

E quando gli Oasis si sono sciolti, una parte di me si è di nuovo spenta. Come se in parte fosse stata tutta una illusione. Una parte di quel popolo è tornata a vivere una vita senza speranza, complice un vuoto para esistenziale dove la resilienza significa sofferenza.

Ma ora gli Oasis sono tornati. E con loro è tornata una parte di noi che pensavamo perduta per sempre.
Siamo scesi nelle cantine a tirare fuori i nostri Parka, le nostre Lambrette. Siamo tornati a sentire a palla le canzoni in auto. Siamo tornati a sentirci Supersonici. Come direbbe Noel, siamo di nuovo “part of a masterplan”.

Perché alcune cose non muoiono.
Alcune cose aspettano solo il momento giusto per rinascere.

E questo momento, finalmente, è arrivato.
E quando finirà chissà…
Forse mi troverete sotto una valanga.
Oppure in una supernova di champagne, su nel cielo.

Matteo Madafferi

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