“Agosto È Il Mese Più Freddo Dell’anno” – 2

“Agosto è il mese più freddo dell’anno” (da una canzone dei Perturbazione) è un racconto a puntate. In un torrido giorno agostano, i personaggi qui raccontati, sono coinvolti in una rapina al portavalori. Questo il contesto: il quartiere di Montesacro, tra Tufello, Talenti, Valle Melaina, San Basilio, Fidene, Porta di Roma, Podere Rosa; gli ambienti sono: case popolari, Bar, parcheggi, muretti, scale di condominio, stradoni, buche e cantieri. Come sfondo alla rapina, si parla di amicizia, d’amore, e tra le righe qualche citazione: Pasolini, Calvino, Flaiano, Queneau e Ionesco. Una storia da Nulla, nel Nulla. Un luogo dove i personaggi affrontano le vite come se fossero in uno sceneggiato televisivo, perché qui i Media e la Tv sono l’Ara della cultura, e la legalità un mero punto di vista. Montesacro nel racconto è un luogo dove si dorme, si vive, si muore, soli.
In ogni parte del racconto troverete un link di un brano idoneo a fare da sottofondo alla lettura.

La città si sveglia

Nella città eterna, deserta, Riccardo e Marta viaggiano con la musica di sottofondo. I fari veloci illuminano gli stradoni di via Druso, San Giovanni in Laterano, via Labicana, Porta Maggiore, Scalo San Lorenzo e la Tangenziale est nuova, sottopassi e gallerie fino a via Nomentana.
I lampioni scorrono veloci tra la città che si sveglia con le prime luci accese nei palazzoni e i semafori che lampeggiano a giallo intermittente. Scorre veloce piazza Sempione ancora gremita di gente; qui il divieto della vendita di alcoolici non è arrivato, il sindaco la considera una città non sua o non pericolosa. Si sale per via Cimone, Riccardo scala rapido la marcia, terza andante, lieve svolta e arriva a viale Adriatico mentre il fioraio arabo all’angolo si sveglia ed esce dalla sua tana per innaffiare le piante esposte, via così verso Piazza Monte Gennaro, cornetti di notte e mezzi della nettezza urbana. Poi Via delle Isole Cursulane girando per il Tufello. I due arrivano al ponte del Collettore di Talenti, via delle vigne Nuove. Notano le pattuglie della Polizia come tante formichine blu. Riccardo sembra non dare segno di rallentare. Marta ha un sussulto: «Amo’ oh sta in campana, che nun li vedi?». Riccardo: «Scialla, cercano qualcosa, non è un posto de blocco staranno a sgombra gl’abusivi».
Pesta sul pedale, accelera e scarta a sinistra, cosi tirano oltre. Dopo la curva a sinistra passano davanti al Centro Commerciale. Qua la macchina sfreccia veloce emettendo un suono attutito dai finestrini pieno di bassi (unz’ unz’).

Il rumore all’esterno è invece molto più forte.
Sono i motori dei condizionatori d’aria della centrale elettrica e dei generatori del Centro Commerciale. Un suono costante con le frequenze medio basse, coperto dall’aspirare sordo e cupo della ventilazione, un odore di aria calda e muffe che solo un condizionamento spinto da turbine riesce a dare. Di notte appare come un castello assediato. Si erge su di una collina, con un fossato che da direttamente sul Grande Raccordo Anulare. Una volta meta di scambisti e affari illeciti, tra i pratoni dell’Istituto Agrario e i cavalli di Carmignani, più in la in fondo esiste ancora lo sfascio con l’aereo a reazione e un paio di carri armati parcheggiati. Le luci bianche e azzurro pallido sono fatte per richiamare l’attenzione. Sembra il paese dei balocchi di Pinocchio. Alcuni, il Centro Commerciale, lo trovano il male, lo combattono come i mulini a vento di Don Chisciotte; ma è l’indiscusso Tempio del consumo di massa. Le luci della centrale danno una dimensione e una forza che non ti aspetti. Una torre principale, un castelletto bianco che porta le scritte delle maggiori quattro multinazionali mondiali. Arredamento impronunciabile, svedese, il “fai da te” tutto compreso compreso il carico delle merci da montare ma stavolta in francese, un abbigliamento (sintetico) sportivo cinese, un grande, gigantesco alimentari con il passerotto nel logo, seguono poi una decina di negozi di mutande e calzini, un cinema rigorosamente mainstream kosher, diverse catene di cibo confezionato e congelato. All’esterno del centro commerciale si muove lento con passo regolare e vagamente marziale, un barbone scalzo. Spinge un carrello nel parcheggio davanti allo stradone di via Carmelo Bene.
Matteo: è un cinquantenne, arruffato, scalzo, abbronzato, dagli occhi chiari, i tratti e i lineamenti gentili, poche rughe sul volto. Indossa una giacca sportiva e una maglia di filo, che per quanto logori, sembrano solo vecchie. Passeggia nel parcheggio mai completamente vuoto del Centro Commerciale, accompagnato da un carrello che spinge tra rifiuti. Osserva e cerca qualcosa.
Armeggia con piccoli oggetti. Guardando un orsetto perso canticchia a mezza bocca:
«Ed è per voi sfruttati per voi lavoratori, che siamo ammanettati al par dei malfattori, eppur la nostra idea è solo idea d’amor. Eppur la nostra idea è solo idea d’amor. Anonimi compagni amici che restate le verità sociali da forti propagate è questa la vendetta che noi vi domandiam. È questa la vendetta che noi vi domandiam. Addio Lugano bella…».

L’alba di un nuovo giorno di merda

Solleviamoci in cielo come in Google Maps percorriamo lentamente le Vigne Nuove davanti all’I.T.C.S. C. Matteucci e le torri grigie di Rodolfo Valentino, scendendo attraverso via Capraia tra le case del Fascio arriviamo a viale Jonio, qui girando a sinistra salendo verso Talenti costeggiando i filosofi dell’ottocento arriviamo alla marana di via Ugo Ojetti.
La’ nei pressi, in una camera da letto: sono le cinque e cinquantanove, scatta il minuto, suona la sveglia. “Tiri tiri ti tiri tiri tiri tiri tiiii… Parte il giornale radio. Una mano affannosamente accende la luce sul comodino. Lucia, una donna bionda occhi grandi tra i 35 e i 40, bella, giunonica, dal fare brusco e deciso, eleganza acqua e sapone. Indossa solo una maglietta bianca e le mutande cotonella a fascia larga. Lucia è di buona famiglia; si noti una vena di allegria e irrequietezza in un discreto piercing sul naso. Negli occhi quasi verdi c’è una lieve tristezza che ogni tanto le affiora. Allunga il braccio, stanca, sfinita. Si stiracchia, si gira, sbadiglia, allunga le gambe e con un movimento rapido mette i piedi giù dal letto, scende. Si alza di scatto ed esce scalza verso la cucina, da dove proviene il suono della sveglia della caffettiera elettrica. Lucia entra, prende la tazza e versa una dose da sei caffè. Sbuffa. Apre il frigo, prende latte e un barattolo di marmellata casalinga (con l’etichetta scritta a mano) con un po’ di muffa, la toglie con un coltello e la getta nel lavandino, poi si siede al tavolo, spalma altra marmellata su degli avanzi di pane, addenta la fetta. Sorride a denti stretti. Scalza va in bagno, apre l’acqua nella doccia, si spoglia e si infila nel vapore.
Nei pressi della curva del fiume Aniene dall’altra parte della Nomentana, dopo il Mercato di Via Cimone che affaccia sulla tomba di Amenenio Agrippa, tra le belle ville con la vista Pratone della ex Cartiera.
Il vapore si dirada e dalla doccia ne esce un uomo sulla sessantina lievemente brizzolato, Paolo, si guarda allo specchio, leggermente sovrappeso, la muscolatura non più ferma, è piccolino, sul metro e settanta, ma ha lo sguardo vispo, con un che di distinto e deciso. È un ex settantasette_ino, uno di quelli di Lotta Continua, Potere Operaio, uno di quelli che emanano il senso del nepotistico, il potere all’italiana.
Sta in accappatoio davanti allo specchio, inforca un occhialetto rosso, spanna con la mano il vetro. Apre l’acqua calda e sbatte il rasoio nel lavandino, poi vede l’orologio. Lascia le cose sul lavandino, esce dal bagno in accappatoio e ciabattine di spugna di quelle degli alberghi di lusso o degli errori delle compagnie aeree. Entra in camera da letto, veloce l’attraversa, va ad aprire le tapparelle, si avvicina al letto e con la mano scuote la spalla, senza alcuna cortesia, svegliando una donna di cui si vedono solo i folti capelli. Melissa dorme vestita dal lato finestra. Si gira lo guarda, ha il trucco sfatto tipico di chi ha pianto. Paolo prende il portafogli in mano, si gira di spalle, prende 200 euro e le pone sul comodino dicendo: «Buongiorno, ora vai su che è tardi. Ti chiamerò dopo per sapere com’è andata, ma ora vai. Va via. Devo fare migliaia di cose». – Cosi detto torna in bagno.
Melissa: mora occhi neri, grandi, profondi, capelli incontrollabili, pelle morbida olivastra se non scura, mediterranea e selvatica, bocca grande e labbra carnose, è incazzata. Si alza con uno scatto, indossa un vestito di lino verde: raccoglie le sue cose, una serie abbastanza numerosa di chincaglierie in argento, prende i soldi, li infila in un borsone di stoffa, raccoglie i capelli con un nastrino e una matita. Li indossa rapidamente.
Entra furiosa in cucina, si lava il viso nel lavello di ceramica, nel mentre borbotta: “Stavolta basta” – esce e passando davanti al bagno urla: «Brutto stronzo, non ho parole, sei un maledetto egoista, questa è l’ultima volta che mi vedi. Vaffanculo. Non mi cercare mai più».  Nel dubbio di non essere stata chiara urla ancora più forte – “MAI PIÙ!!!!” (il mantra “brutto stronzo, mai più” si interrompe con il pianto). Paolo in bagno lascia cadere il rasoio nel lavandino, sbuffa, alza gli occhi al cielo, poi lentamente apre, ma fa in tempo solo a vedere la schiena di Melissa che sbattendo la porta di casa se ne va! Sbam!!!
Paolo con calma rientra nella camera da letto, apre la finestra, ristende le lenzuola, si reca nell’armadio ne estrae i pantaloni li poggia sul letto piegati. Dalla tasca ne trae qualcosa. Torna in bagno e si infila l’anello matrimoniale.

I VitelloniX

Il sole giallo dell’alba illumina il capolinea degli autobus, mentre le luci dei lampioni sono ancora accese, un auto gira in uno stradone gigantesco, sfrecciando davanti ad un capolinea dove delle donne salgono sui primi autobus. Buste di plastica, fazzoletti annodati in testa, poche parole. L’auto poco avanti si ferma, con la musica ad alto volume, di traverso sul marciapiede. Ne scende Riccardo. Fa il giro dall’altro lato.
Marta: «A Ricca che fai? Daje, che devo ‘ndà a casa».
Riccardo: «N’attimo che pjo ‘e sigarette poi namo».
Marta: «T’aspetto qua mah sbrigate, c’ho sonno».
Riccardo: «Amo’ voi che te porto quarche cosa?».
Marta: «Si, un pacchetto de marbboro laizt».
Riccardo: «Arrivo».
Le luci al neon del Bar fanno contrasto con la luce dell’alba, fuori. Riccardo passa davanti a due ragazzi seduti sul muretto.
Francesco alto, allampanato, biondo coi capelli a spazzola, con quei girigori che amano i parrucchieri moderni, si tiene un sacchetto trasparente, con del ghiaccio sulla testa.
Massimo: basso, tracagnotto con la maglia che non copre bene le sue rotondità, sudaticcio e butterato, faccia sorniona e capelli ricci.
Saluta Riccardo con un sorriso e un grugnito.
Riccardo: «Bella Max, hoi! A Fra’ che t’hanno menato? (ridendo)».
Max : «See, ja dato ‘na ciavatta Fabione».
Riccardo ride: «C’ho sapevo che prima o poi le buscavi».
Francesco: «Begli amici che c’ho».
Riccardo: «Caffè?».
Francesco: «A me, ma corretto ‘co a sambuca».
Riccardo entra nel bar si avvicina alla cassa, chiede: «Tre caffè, uno corretto, Cornetto e du’ pacchetti de Mar-boro laitz».

Il cassiere neanche lo degna di uno sguardo, parla con un altro avventore della Champions. Allunga la mano prende i pacchetti, ritira il denaro e consegna lo scontrino.
Riccardo va al bancone: «Tre caffè, cornetto alla crema, i due caffè so pe’ quelli fori, uno corretto alla sambuca con ghiaccio». Prende il telefonino e digita qualcosa: Connessione…
All’Interno del Centro commerciale: in una sala con monitor e telecamere. Ci sono un paio di sedie, sul banco poggiato in vista un telefonino squilla, nella diagonale ci sono i monitor accessi delle telecamere con luce fredda neon e blu.
Giancarlo: sulla cinquantina, capello bianco, corto, sportivo, muscoloso, occhi chiari, faccia affidabile. È una guardia giurata in divisa, canottiera sotto la camicia a maniche corte. Seduto davanti ai monitor delle telecamere di sorveglianza sta poggiato al muro dondolante con fare annoiato e assonnato. Prende il telefonino.
Riccardo: «So io. Tutto a posto?».
Giancarlo: «Seh confermo 3 e mezzo, solito posto».
Riccardo : «Ok, affermativo».
Giancarlo chiude il telefono, lo mette nel taschino, sbadiglia, si stiracchia, si alza, prende delle chiavi dal bancone e si infila un cinturone, il giacchetto antiproiettile, torcia, la pistola, ed esce dalla saletta di controllo, passa per un corridoio, una porta, e si trova all’interno del Centro Commerciale.
Mentre si avvia a fare il giro di controllo, sale delle scale, passa una serie infinita di negozi chiusi, si ferma ad un angolo. Apre un pannello, un quadro di una centralina elettrica. Pin jack e cavi, prende un coltellino e gratta dei fili, esce il rame, li seghetta e ne sfilaccia due, stacca un giunto, quindi provoca un corto. Sorride e richiude il pannello.

Con tutta calma prosegue nel giro. Dalla filo diffusione si diffonde una canzone:
«Agosto ti affacci su un cuore malato le cinque di sera ed è già buio pesto l’inverno d’Agosto. Se non è vero che hai paura, non è vero che ti senti solo
non è vero che fa freddo, allora perché tremi in questo Agosto? Agosto è il mese più freddo dell’anno nell’altro emisfero lo chiamano inverno l’Agosto».

Nota di ascolto:

Dopo il lungo giro, Giancarlo va verso l’ingresso per aprire le porte. Lentamente si alzano le saracinesche. Entrano i primi dipendenti: le donne che stavano prima alla fermata del capolinea, baristi, magazzinieri, addetti delle pulizie. Maurizio è un’altra guardia giurata. Giancarlo lo aspetta e si scambiano il saluto mentre si avviano.
Maurizio: «Che fai domenica lavori?».
Giancarlo: «No, stacco presto».
Maurizio: «Noi andiamo tutti all’Oasi, se vuoi venire magari, c’ho pe’e mani un paro de strappone da paura».
Giancarlo: si schernisce – «Lo sai, io sono sposato. Poi dopo il turno, vado in ferie. Vediamo semmai ti chiamo». Prendono il caffè della macchinetta in silenzio. Poi facendo il giro al contrario, arrivano assieme alla sala di controllo, Giancarlo, indicando i monitor: «Senti la sedici e un’altra da un paio d’ore fanno solo nebbia, non ho fatto in tempo a segnalare il guasto, ci puoi pensare tu?».
Maurizio: «Tranquillo lo faccio io più tardi».
Giancarlo: «Ok allora io stacco, ci vediamo alle otto».
Giancarlo si riprende la sua roba ed esce nella hall del Centro Commerciale.

..continua.

di Daniele De Sanctis

< “Agosto è il mese più freddo dell’anno”:
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