“Agosto è Il mese più freddo dell’anno” – 7

“Agosto è il mese più freddo dell’anno” (da una canzone dei Perturbazione) è un racconto a puntate. In un torrido giorno agostano, i personaggi qui raccontati, sono coinvolti in una rapina al portavalori. Questo il contesto: il quartiere di Montesacro, tra Tufello, Talenti, Valle Melaina, San Basilio, Fidene, Porta di Roma, Podere Rosa; gli ambienti sono: case popolari, Bar, parcheggi, muretti, scale di condominio, stradoni, buche e cantieri. Come sfondo alla rapina, si parla di amicizia, d’amore, e tra le righe qualche citazione: Pasolini, Calvino, Flaiano, Queneau e Ionesco. Una storia da Nulla, nel Nulla. Un luogo dove i personaggi affrontano le vite come se fossero in uno sceneggiato televisivo, perché qui i Media e la Tv sono l’Ara della cultura, e la legalità un mero punto di vista. Montesacro nel racconto è un luogo dove si dorme, si vive, si muore, soli.
In ogni parte del racconto troverete un link di un brano idoneo a fare da sottofondo alla lettura

Arbemartc Macht Frei

Nota musicale:

Davide guarda l’altana delle buste, pensa ad alta voce: «Chissà perché ci sono solo buste grandi». Una signora con domestica al seguito lo guarda male. Bisbiglia qualcosa all’indiana che le sta dietro, lo guarda male anche lei. Scocciato prende il rotolo delle buste in mano, fatica a staccarne una dalle altre. Poi si aggira tra le scaffalature del reparto verdure, guarda e si ferma. Si avvicina la signora anziana. Si frappone tra lui e una verdura. Lo sposta con il corpo. Davide scarta la signora, infila rapidamente tre mele in una busta e corre alla bilancia. Il tutto mentre Marco il commesso del supermercato lo guarda in cagnesco. Davide pone la busta sulla bilancia e inizia a guardare i numeri, si sposta e torna a guardarli tra le scaffalature. La signora anziana si sposta alla bilancia. Davide corre. Arriva alla bilancia, schiaccia velocemente il numero. Marco (lì presente) rimane immobile, lo fissa. Esce lo scontrino: “3 euro”. La Signora a Davide: «Mi scusi giovanotto a che numero sono le zucchine?». Davide: «Non lo so signora, non ha visto se ci sono disegnate?» La signora guarda Marco e fa segno con il dito sulla tempia “è toccato”. Signora: «Scusi sarebbe cosi cortese?», Davide fa segno di si con la testa. Marco lo sgrida: «Ehi, si devono usare i guanti quando tocca le verdure». La signora gli mostra i suoi con la faccia da rimprovero. Davide li guarda entrambi. Marco indica l’altana delle buste di plastica col dito. Davide sorride a denti stretti. Va all’altana e si infila un guanto. Davide: «Un attimo signora, mi scusi il guanto, ora glielo dico». Davide torna alle verdure alza il cartello legge il numero, torna. Davide: «Signora è il 24». La signora schiaccia il pulsante e lo scontrino lo attacca alla busta. Lo gira all’indiana. Poi si rivolge a Marco: «Grazie, veramente gentile», Marco porge la busta con le mele a Davide: «Queste sono sue», Davide: «Si ma le mie sono delle mele. Non fiori di zucca».
Marco: «Lo scontrino dice che sono fiori», Davide lo guarda traverso.
Marco: “La smetta di infastidire i clienti».
Davide: «Scusi non volevo è solo che tre mele piccole non costano 3 euro».
Marco: «Attenda che finisce la fila e poi rifarà con comodo suo lo scontrino».
Davide: «Cercavo solo di fare un po’ di spesa».
Marco: «Questo non la autorizza a trattare male nessuno».
Davide: «Ma non li fate i corsi di customer satisfactions».
Marco : «Certo, ci insegnano a sorridere e a uccidere i clienti senza lasciare tracce di sangue sul pavimento».
Davide: “Non è stato attento al corso; è come immaginavo».
Marco: «Perché non sparisce velocemente?».
Davide: «Non posso pagare 3 euro tre mele, quindi adesso le metto dietro il latte a lunga conversazione e quelle cose tipo le alici che non spostate mai finché un giorno i semi germoglieranno e vi chiederete come sia possibile che sia nato un albero in questo regno della plastica».
Davide si allontana seguito dallo sguardo di Marco con una certa preoccupazione per la possibilità che nasca davvero un melo tra le scaffalature.

Riccardo arriva in macchina al Centro Commerciale, parcheggia.
Scende, chiude la macchina, si guarda attorno. Si accende ‘na sigaretta e chiama col telefonino.
Marta: «Amò?».
Riccardo: «Sto’ qui sotto. Scenni?».
Marta: «Dammi ancora un attimino e arrivo».
Chiude il telefono, prende dei fogli dalla scrivania e si alza. Bussa e senza aspettare entra. Lucia è al telefono. «È arrivato, bene alle 10, ti richiamo appena sono usciti, va bene» – chiude. Guarda Marta ferma davanti a lei. Lucia: «Dimmi cara».
Marta: «Ecco questi sono i totali, entrate e uscite più le quattordicesime e i rimborsi IRPEF. Al netto dei bonifici che sono allegati dietro e a cui manca il codice di conferma. Li deve autorizzare. Rimangono poi gli incassi sino a mezzogiorno e mezza che erano quasi 200 mila euro circa. Alle tre attacca il secondo turno».
Lucia: «Chissà perché si ostinano a pagare in contanti»».
Marta: «Perché la gente delle banche non si fida».
Lucia: «Come dargli torto».
Marta: «Io vado a pranzo».
Lucia: «Va bene ci vediamo alle 4 fai anche le quattro e mezza, oggi lo sai facciamo tardi».
Marta esce dall’ufficio, percorre un lungo corridoio entra nel Mall poi si avvia nel centro commerciale dove c’è Riccardo che l’aspetta.
La guarda scendere le scale. Sorride e le va incontro.
Riccardo: «Quanto sei bella».
Marta: «Taci, ieri m’hai lasciato un livido sul collo, ti odio, ho dovuto mettere due chili di cerone».
Riccardo: «Lo sai che quando sto con te me prende il sangue».
Marta: «Ma ce devi sta attento, come posso andare in ufficio così conciata».
Riccardo: «Scusa amò, t’ho portato questo…», dalla tasca tira fuori una custodia del cellulare coperta di brillantini.
Marta: «Lo vedi che sei scemo, lo volevo col teschio, non me stai mai a sentì».
Riccardo: «E che non cio’aveva, prometto che te lo pio n’artra volta».
Marta: «Senti io fame non c’è l’ho, sannamo a pia un gelato?».
Riccardo: «Quello che vuoi principessa».
Marta: «Allora andiamo».
Marta e Riccardo escono dal centro commerciale. Marta spegne e stacca la batteria del telefonino. Guarda Riccardo. Riccardo: «Ah già», la stacca pure lui. Marta: «È tutto ok, il furgone arriva alle 10,30 e sono solo due a bordo. Tolti i soldi di cassa e gli assegni usciranno circa 700mila euro».
Riccardo: «’Mmazza più di quanto pensavamo».
Marta: «Questi sono i conti più o meno».
Riccardo: «Se famo ‘na vacanza a Zanzibar».
Marta: «Avevamo detto che ce compravamo casa».
Riccardo: «Con 150 mila euro va lusso se ne pijamo una a Ladispoli, una vacanza ce la meritiamo?».
Marta: «Ma te non hai paura?».
Riccardo: «Certo che si».

Gianni parcheggia davanti al baretto sul muretto.
Seduti stanno Massimo e Francesco, prende una sacchetto di carta, con dei pezzi di pizza bianca farcita. Apre un paio di birre e le porge agli altri.
Massimo: «Bella Già. T’aspettavo, hai portato la pizza?».
Gianni: «See… C’è n’è per tutti. Se aspetto voi».
Francesco: «Me so fatto sotto jo detto: ma chi cazzo te credi de eesssee co tre esse, me fanno incazza ste cose».
Gianni: «De che sta a parla?».
Massimone: «Ieri, Fabione».
Gianni: «L’ho visto prima che è successo?»
Francesco: «Volevo imboccà ar Circolo, non m’è voleva fa entra».
Gianni: «Te come stavi?».
Francesco: «M’ero fatto una botta e quasi una boccia de rum a goccia, de quello bono».
Gianni: «Lesso?».
Massimone: «Grongio».
Francesco: «Jò imbruttito».
Gianni: «E com’è finita?».
Massimo: «Che er Fabione l’ha steso».
Francesco: «Ma solo perché ero imbriago».
Gianni: «C’ha raggione lui».
Francesco: «Ma’a paga».
Gianni: «Sta zitto, l’hai stranito, è mejo se je chiedi scusa».
Francesco: «O meno da solo».
Gianni: «Va be’, lassa perde hai sbajato, lui lavora ed è uno tranquillo. Sei tu che je sei annato a rompe er cazzo».
Francesco: «Volevo solo beveme na cosa».
Gianni: «Sarai stato fatto e sotto un treno… la prossima volta va a dormi. Magnate sto pezzo de pizza e da retta a zio tuo lascia perde. Poi con le pischelle com’è finita?».
Massimo: «Aspe che quella è ‘n’artra storia».

Seduti su una panchina di plastica, con l’affaccio sulle scala mobili e le file di carrelli, Riccardo con Marta mangiano il gelato.
Riccardo: «Ammazza Bono».
Marta: «C’ho so, c’ero venuta».
Riccardo: «Co chi?».
Marta: «Con la direttrice Lucia. Quella snob».
Riccardo: «Mo devo andare all’appuntamento».
Marta: «Io passo un attimo da Marika a vede se riesco a rilassamme n’attimo, ci vediamo dopo amò».
Riccardo: «A mezzanotte ar Circolo». Sorride.
Marta: «In bocca al lupo».
Riccardo: «Crepi».
Marta: «Lo guarda – una lacrima le sfugge dall’occhio – Sta attento amò», e lo bacia.
Riccardo: «Stai tranquilla, ci vediamo al concerto».
Marta: «Ti voglio bene».

Nota musicale:

Giancarlo è a casa … sul tavolo ci sono vari oggetti: prende una borsa di una squadra di calcio nel sottofondo (dove si mettono le scarpe), i due passamontagna o mefisto ignifughi, attrezzi da lavoro, una mazzetta, poi degli asciugamani e una scatolina. Fatto questo si versa una birra sgasata, chiama la moglie al telefono. Giancarlo: «Bene, come state – lunga pausa – Io mi sono svegliato adesso; si l’ho trovata, grazie. Com’è il mare? Domani non c’è problema ma vengo tardi, prima mi faccio una bella dormita. Si, si tranquilla, lo spengo il gas». Visto che c’è… lo fa subito.
Sempre seduti al muretto. Francesco: «Je l’ho detto che non se doveva fà».
Massimo: «Ma quello sta fuso, pja de tutto, ma è na spada cor motorino».
Francesco: «O chiamamo er Nutella pè e volte che se spalmato».
Massimo: «Mica c’ha tutte le ruote a posto».
Francesco: «Aspè, come se chiama da’vero?».
Massimo: «Chi er Nutella?».
Francesco: «Il vero nome, Paolo?».
Massimo: «Federico, ma a che te serve».
Francesco: «Bravo, Federico Bellini», e lo scrive sul cellulare.
Gianni: «Ma quanno t’ò ricordi”».
Francesco: «Me’lo segno co’ Nutella ma a Ufficio me segno Federico, così nun faccio figure de merda».
Gianni tira un ultimo tiro alla sigaretta la getta e scende dal muretto: «Me ne devo andare, rimaniamo cosi.. queste sono le chiavi. Sai che facce».
Massimo prende le chiavi e ne da un’altra in cambio.
Francesco: «Allora se vedemo ar concerto?».
Gianni: «Si, ricordati poi de scusatte cor Fabione».
Francesco: «E daje P.D.».
Gianni: «Me raccomanno. Stai a nome mio. Se vedemo là».
Francesco: «Faccio er bravo, stai’ coperto».
Gianni: «Smettila con quella monnezza».
Massimo: «Lo controllo io».
Francesco: «A zi, poi smetto».
Gianni si dirige verso una macchina nera, mette dentro alcuni attrezzi. Entra, mette in moto e sparisce.
Francesco: «Aho ax. N’è che c’hai na miccia?».
Massimo: «Aspé», si fruga nelle tasche e tira fuori un pallino d’erba.
Massimo: «Tabacco?». Francesco gli da il pacchetto di sigarette. Rolla una canna: «Staserà lavori?».
Francesco: «Allo spedy e finisco alle 11 e mezza.
Massimo: «Ma je serve qualcuno?».
Francesco: «Je lo chiedo».
Massimo: «Vabbè allora te passo a pja».
Francesco: «Se, così magari je lo chiedi te».
Massimo finisce di arrotolare la canna, la accende mentre Francesco sul telefonino mette un brano musicale. La musica si diffonde.
Lucia è in ufficio seduto fronte a lei… «Ciao sono Marco».
Lucia: «Sono arrivate questa mattina».
Marco: «Ma un licenziamento, perché?».
Lucia: «Perché sei il più anziano».
Marco: «Ma erano pochi minuti, li ho giustificati, ho famiglia».
Lucia: «Senti funziona così, la direzione ogni anno taglia qualcosa, o qualcuno, con la scusa della crisi».
Marco: «Sono dieci anni che lavoro con il gruppo mai mancato un giorno».
Lucia: «Non c’entra nulla il tuo lavoro, né come lo fai , è solo il costo che guardano. Più sei anziano più costi contributi Tfr, caporeparto, anzianità. Meglio un ragazzino alle prime armi, magari in contratto agevolato».
Marco: «Ma non può parlarci lei».
Lucia: «E con chi? Non c’è una persona dietro questo, io non so chi decide e cosa, ognuno fa il suo senza sapere cosa fa l’altro. Come nazisti eseguono ordini, c’è da ridurre il costo – 10% e se l’amministratore delegato si fa la macchina nuova, io sono fottuta. In più sono fuori anche io… questa è la mia – gli mostra la lettera – È il sistema!».
Marco: «Che posso fare. Cosa mi consiglia».
Lucia: «Resisti e stai tranquillo, arriva puntuale. Ti ho segnalato all’altra cooperativa, vediamo se ti riprendono di là, ora ti chiameranno e magari ti rimettono a fare lo stesso lavoro, intanto cercati un altro lavoro, un altro Paese o forse un altro pianeta».
Marco la guarda triste: «Grazie».
Lucia: «In bocca al lupo Marco».
Marco esce dalla stanza. Va giù per le scale affranto, sconcertato.
Si allontana.

Lucia esce nel supermercato. In fondo è il suo ultimo giorno.
Passa per i reparti e vede un uomo in camicia e giacca, disperato, in mano ha un pezzo di carta, guarda tra i pannolini, nel mentre è al telefono con la moglie, urla, si agita: «Non lo so qui non c’è scritto, aspé che chiedo aiuto». Guarda Lucia disperato. Si avvicina. Rapidamente chiude la telefonata: «Mi aiuti la prego».
Lucia: «Se posso».
L’uomo: «Guardi questa», le porge un foglietto con sopra scritto l’elenco della spesa. Lucia lo guarda: «Non capisco bene».
L’uomo indica col dito dicendo solo: «Pannolini».
Lucia gli indica la parete di fronte: «Là in fondo».
L’uomo: «Ma di che taglia?».
Lucia: «L’ha mai preso in braccio il pupetto?».
L’uomo:«Si qualche volta»
Lucia: «Bene quanto era grande da uno a cinque».
L’uomo: «Non lo so, così», allunga le braccia.
Lucia: «Si ricorda quanto pesa?».
L’uomo: «Sarà stato cinque sei kili».
Lucia: «E quanti mesi fa è nato?»
L’uomo esita, guarda al cielo, poi: «Tre mesi fa».
Lucia: «Bene tre mesi sei chilogrammi, vede c’è scritto è una misura da tre a sei mesi prenda quelli».
L’uomo sollevato: «Grazie, Grazie. E il resto?».
Lucia: «È affare suo, poteva pensarci prima di fare figli, mandi la sua signora, ora mi scusi».
L’uomo: «Grazie comunque».
Lucia: «Prego. Mi scusi ma lei cosa fa nella vita?».
L’uomo: «Sono ingegnere».
Lucia: «Chissà perché non me lo immaginavo». Lascia l’uomo con le sue perplessità e la moglie al telefono.

di Daniele De Sanctis

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