La giovane rivoluzione cellulare

La sfida delle nuove generazioni per la conquista di un futuro di nuovo possibile

Le prospettive di vita legate al futuro sono state demolite da processi sociali malati, legati al capitalismo, alla cultura del consumo e all’uso erroneo e all’abuso dei mezzi di comunicazione reiterati nel tempo.
Quante volte siamo stati costretti a limitare le nostre aspettative verso il nostro futuro, sostituendole con una disillusione che ci impedisce di essere propositivi e ambire a qualcosa di più grande, o solo diverso?
Cresciute in una società ostile, pilotata dal senso di competizione che spinge l’egoismo a prevalere sul bene comune, le ultime generazioni sono costrette a fare i conti con un sistema che li considera eternamente giovani (e non in senso poetico)

Sono una cellula qualunque di un organismo pluricellulare che insieme a tante altre cellule come me compone il tessuto che forma gli organi che danno vita al Sistema.
Durante le fasi dello sviluppo embrionale, le giovani cellule acquisiscono forma e funzioni particolari.
Il tessuto definisce l’insieme di cellule strutturalmente simili che appartengono allo stesso contesto sociale e che sono accomunate non solo dall’età ma anche dal tipo di funzione che svolgono in base alle competenze acquisite, attraverso l’esperienza fatta nel tempo.
Il sistema è quindi composto da molti tipi di cellule differenti, evolutesi da cellule progenitrici indifferenziate.
Ognuna di queste cellule è influenzata da tutto quello che la circonda, per questo rapportarsi con l’esterno è fondamentale per ognuna di esse.
Cosi relazionandosi, scontrandosi e confrontandosi, ogni cellula cerca punti di aggregazione fondamentali per imparare a percepire i propri bisogni, per sviluppare un’ulteriore consapevolezza di sé e degli altri, necessaria per distinguere la realtà dei fatti, soprattutto all’interno del percorso di crescita.
Per le giovani cellule infatti, la socializzazione è il processo che gli consente di entrare a far parte dell’organismo, acquisendo orientamenti comportamentali corrispondenti ai valori che il sistema custodisce.

Anche io sono nato cellula, plasmato dai valori, dai caratteri della famiglia e dalla cultura a cui appartengo, sono stato educato alla socialità e al quieto vivere nel rispetto dell’altro.
Cosi, come molte altre cellule, figlie della generazione del boom tecnologico, prima dell’euro e dopo l’abrogazione della leva militare obbligatoria, discendo da cellule influenzate e traumatizzate dagli avvenimenti storici passati.
Cellule progenitrici a cui il sistema ha imposto, in punta di piedi, una concezione di vita dedita al lavoro ed al sacrificio, con lo scopo di assicurargli un’avanzata verso una condizione sociale migliore.
Sono la progenie che nasce, con il peso dell’aspirazione altrui sulle spalle, tramandato da chi ha sacrificato troppo per lasciare che tutto sia stato invano.
Nonostante il fardello dell’angoscia, che si fa sempre di più portavoce di questa mia giovane generazione cellulare, ho scelto di continuare a crescere nel corpo e nel pensiero, diventando in maniera autonoma, consapevole degli insegnamenti del passato che compongono la mia esistenza.
Perciò da cellula libera e per sua natura contraddittoria, mi sono spontaneamente incamminato nella ricerca di una percezione adulta e matura della realtà.
Ben presto, tutti quelli che potevano sembrare enti frammentati all’interno di un unico grande sistema, si sono consolidati acquisendo una linea molto chiara.
Istituzioni che ho avuto modo di scoprire percependole prima in maniera costruttiva e successivamente in chiave critica.
Sto parlando della famiglia (gruppo progenitrice), della scuola, delle istituzioni di carattere etico-religioso, e delle strutture di apprendistato lavorativo.
Queste risultano estremamente fondamentali poiché oltre che a fungere da modelli culturali, hanno la funzione di creare dei sistemi generali di senso che conferiscono un’identità condivisa al sistema sociale e che contribuiscono al controllo delle tensioni.
Da diverso tempo però l’influenza che i modelli culturali esercitano sulle giovani cellule, risulta essere sempre più debole.

Da questo ultimo ventennio, emerge la difficoltà delle giovani cellule ad identificarsi all’interno di un organismo che le rappresenta sempre meno.
Le prospettive di vita legate al futuro sono state demolite da processi sociali malati, legati al capitalismo, alla cultura del consumo e all’uso erroneo e all’abuso dei mezzi di comunicazione reiterati nel tempo.
Quante volte siamo stati costretti a limitare le nostre aspettative verso il nostro futuro, sostituendole con una disillusione che ci impedisce di essere propositivi e ambire a qualcosa di più grande, o solo diverso?
Cresciute in una società ostile, pilotata dal senso di competizione che spinge l’egoismo a prevalere sul bene comune, siamo costrette a fare i conti con un sistema che ci considera eternamente giovani.
Il sistema degli “Ok, boomer”, da cui non riusciamo a liberarci: involontariamente dipendenti dal loro patrimonio, fatalmente impossibilitati a raggiungere l’emancipazione e la stabilità economica.
Davanti alla percezione di un futuro avverso, frustrante e alienante, chi è una giovane cellula si ritrova conseguentemente spinto a cadere nel baratro della diffidenza, dell’oggettivazione della personalità come palliativo.
Non aiutano gli esempi che sono quotidianamente sotto i nostri occhi, rappresentati dai mezzi di produzione che svolgono il lavoro sporco in favore del consumo.
Questo processo alimenta la spinta verso la ricerca dell’individualità, che annichilisce ogni pulsione e mira silenziosamente all’autodistruzione.
Anche per questo l’identità di tutte le giovani cellule è come dispersa, arranchiamo ormai da diverso tempo all’interno di una quotidianità apparentemente statica, caratterizzata dalla percezione di un futuro precario e dall’angoscia che porta facilmente alla rassegnazione, alla ricerca della via di fuga, dal Paese o da una collettività alla quale non ci sentiamo appartenenti.
Le giovani cellule figlie di questo sistema sembrano aver smarrito il senso dell’orientamento, la fiducia nell’altro e pian piano anche quella in sé stesse, toccate profondamente dalle contraddizioni di questo ventennio, che evidentemente conserva i modelli culturali e le consuetudini sociali di un tempo, non più adatti a rappresentare un’identità condivisa nell’epoca moderna.
Tra le contraddizioni più nocive di questo ventennio c’è quella dell’approccio alla tecnologia: come ogni tipo di sviluppo quello tecnologico si manifesta come un’arma a doppio taglio, di cui probabilmente le giovani cellule sono state le prime a trarne vantaggio, ma anche le prime a subirne indirettamente le conseguenze, tra il post di un tramonto su Instagram e quello dell’ultimo avocado toast mangiato.
Il cambiamento ha portato la comunicazione ad abbattere le distanze e a raggiungere l’istantaneo: la moda, le leggi e tutto ciò che ne consegue hanno cambiato fisionomia al sistema e al modo in cui gli altri lo percepiscono, e lo vivono rapportandosi tra di loro al suo interno.
L’evoluzione, compagna fidata dell’ignoto, risulta essere in questa fase uno dei tanti aspetti rilevanti che esalta il divario generazionale tra le cellule progenitrici che devono adattarsi e quelle giovani nate predisposte alla tecnologia.
Analizzando la questione: Questo, è sicuramente un processo che mette in difficoltà la maggior parte delle cellule progenitrici, che in contrapposizione all’avanguardia tecnologica giovanile ostentano sfiducia, titubanza e si rifiutano di interiorizzare lo sviluppo tecnologico.
Rassegnate e prive di aiuti le cellule progenitrici più in difficoltà sono costrette a fare un passo indietro, andando a modificare le loro routine e i loro modi di lavorare e di interagire per cercare di stare al passo con i tempi.
Frustrate da questo enorme cambiamento fanno emergere un sentimento di diffidenza nei confronti del progresso e delle giovani cellule, che potrebbero pericolosamente spodestare una classe dominante che sicuramente ha dalla sua l’esperienza, ma è un’esperienza che si basa sui ritmi e i meccanismi di vent’anni fa.
Di conseguenza si innesca l’intenzione da parte della classe dominante, di limitare gli spazi all’interno dei processi politici e lavorativi delle giovani cellule più avanguardiste; andando ad amplificare ulteriormente il divario generazionale.
Ed è qui che le giovani cellule sperimentano drammaticamente per la prima volta la percezione pratica della gerarchia.
Il tessuto cellulare in questo momento storico appare sempre più disgregato dal conflitto.
In un’epoca in cui tutti possono esprimersi come vogliono, il progresso tecnologico ci permette di sentirci più vicini ma paradossalmente ci rende tutti più soli, divisi, classificati, emarginabili dai meccanismi minuziosamente velati e controllati dal consumo.
Bombardati costantemente da miliardi di informazioni di cui è impossibile confutare tutte le tesi, sembriamo inconsciamente assaliti da un corto circuito, tra uno scroll e l’altro, sui feed delle nostre pagine Social, alla ricerca degli stimoli positivi che producano la serotonina che tanto ci manca.
Infatti, nella fase di consolidamento, in cui la tecnologia è divenuta parte fondamentale della quotidianità, i mezzi di informazione, fonte di moda e rifugio per le giovani coscienze alla ricerca di obiettivi e identità, sono diventati potenziali strumenti di controllo per la classe dominante.
Ennesimo smacco, per le giovani cellule rigonfie di speranza nei confronti della tecnologia, in cui cercano la strada per differenziarsi da una società che le sottopone a giudizio, ritenendole spesso non idonee ne socialmente accettate.
Le giovani cellule sono spinte a differenziarsi, sentendo crescere in loro un forte sentimento di alienazione, oppressi dalla gerarchia, da cui emerge la difficoltà di fare una scalata meritocraticamente accettata all’interno della società e dei sistemi politici e lavorativi; organismi istituzionali alla base dei processi sociali che per quanto fondamentali restano rigidi e oppressivi.
Ed ecco che vediamo il nostro amico con tre lauree in fisica quantistica friggere le nuggets al McDonald’s.
Costretto a posticipare il diritto di godere dei frutti del suo impegno, a stringere i denti per continuare a pagarsi l’affitto di una stanza che gli consente di sentirsi emancipato mentre la sua autostima va in pezzi. Aspettando che qualcuno risponda alle sue richieste e gli dia un’opportunità che valga tutti i sacrifici fatti fino a quel momento.
Questo, mette in luce una grossa mancanza di empatia e di ricerca della coesione sociale, da parte della classe dominante che nega opportunità, ascolto e comprensione, fecondando il sistema sociale di ulteriore frustrazione e confusione spingendo le giovani cellule verso l’illegalità, il disprezzo e la diffidenza nei confronti del mondo esterno.
Insomma, questo grave deficit di coesione sociale si sta abbattendo sul nostro sistema, che partendo dal basso agisce in maniera trasversale, andando a ledere le caratteristiche culturali che si sono sempre rinnovate attraverso eventi di carattere rituale e processi di socializzazione, che conseguentemente a quanto detto prima sono sempre più in crisi.
Per le giovani cellule come me, coscienti e che si impegnano attivamente per assicurarsi un futuro che sia all’altezza delle loro aspettative, non si mette bene.
Questa strumentalizzazione dell’essere, messa in moto dai processi del capitale, sembra averci messo nella condizione di aver accettato di sopprimere gli istinti a favore di un necessario ordine civile.
Processi che vanno in favore dello sviluppo dell’individualità e dell’insicurezza personale, che ha reso la quotidianità un luogo in cui è sempre più facile influenzarsi tramite sentimenti comuni, che derivano dalla paura di essere emarginati ancora di più dai processi sociali stessi.

Sono trascorsi diversi mesi ormai da quando la pandemia mondiale è esplosa, e il nostro tessuto già poco autosufficiente si è strappato dirigendoci ancora di più verso lo smantellamento del sistema.
È cambiata la vita di ogni singola cellula, abbiamo cambiato noi stesse per adattarci, per sopravvivere nonostante la paura e per continuare a svolgere una vita per quanto possibile soddisfacente.
Cresciuti tutti con l’idea per cui il dovere debba essere sempre più indispensabile del piacere, abbiamo passato le giornate di reclusione storditi dall’ultima serie uscita su Netflix o dalla nuova ricetta per fare le ciambelle fritte da sperimentare, mentre vivevamo la rara opportunità di poterci soffermare su quanto ognuno di noi possa adattarsi e differenziarsi qualitativamente impegnandosi ogni giorno.
La paura che contraddistingue la quotidianità di questi mesi non è legata soltanto al virus, ma anche al futuro ed ora che le aziende falliscono, gli ospedali e le istituzioni mostrano le loro vulnerabilità incapaci di fronteggiare una crisi senza precedenti, le domande verso il futuro incominciano a risuonare nella testa non solo delle giovani cellule ma anche di altri miliardi di cellule più mature.
In questo momento, infatti, tutte le cellule del sistema sono più sensibili a quello che gli accade intorno e nonostante le differenziazioni siamo tutti accomunati dalla stessa condizione e tutti divisi dalle proprie percezioni relative al modo in cui viviamo questa pandemia.
Siamo in una condizione sociale critica, abbiamo perso la coesione sociale, i punti fisici di aggregazione e anche i pochi luoghi in cui si faceva cultura e sensibilizzazione.
Tutto questo ci ha fatti sentire soli, divisi, ma resi accomunati tutti da un forte sentimento di paura, costernazione e insicurezza, rendendo insipidi anche gli anni che sarebbero potuti essere i più belli della nostra vita.
Questa esperienza ci sta insegnando che nonostante la tecnologia avanzata e le molte modalità di comunicazione che essa ci permette di mantenere, l’utilizzo inconsueto che ne facciamo ci rende ancor di più vulnerabili nella ricerca delle risposte su cui basare le nostre scelte future; senza alcun confronto fisico perdiamo cosi la percezione reale di quello che accade.
Vaghiamo con i paraocchi in una quotidianità fatta di macerie alla ricerca del fantasma di un sistema stabile e funzionale morto troppo tempo fa.
Questa è invece l’ora di guardarsi intorno, di mettere da parte il dovere legato al raggiungimento dell’autorealizzazione, egoistica e affermativa, e renderci coscienti della strumentalizzazione che il sistema applica sulle cellule in funzione di un lavoro finalizzato all’incremento di un illusorio progresso sociale.
Probabilmente è il momento in cui serve molta più consapevolezza di quanta mai ne abbiamo avuta, ora che la paura di un futuro incerto e la disillusione appartiene ai molti, è il momento di dare spazio ad una coscienza collettiva che miri al soddisfacimento dei bisogni comuni, a una rinascita interiore che parte dal singolo, attraverso una percezione più profonda della realtà e di se stessi.
Tutti abbiamo sentito l’estremo bisogno di reinventarci in questo disastroso anno e siamo stati tutti paralizzati dalla paura del cambiamento, dalle morti, dalla disinformazione.
E ora che viviamo nella paura, che viviamo il cambiamento nella nostra quotidianità, forse è arrivato il momento di scegliere, senza essere intimiditi.
Smettere di odiare noi stessi e le nostre vite per come stanno andando le cose e organizzare i nostri sentimenti, il nostro furore per dare spazio alla lotta, per dare un futuro all’altezza delle aspettative di vita di ogni cellula in fase di sviluppo, per dare modo ai nostri figli, alle nostre sorelle, ai nostri nipoti, di sognare qualcosa di migliore.

Sono una giovane cellula consapevole, profondamente arrabbiata per come stanno andando le cose.
Sono stanco di sentirmi dire che non possiamo farci niente, che dobbiamo aspettare e che “ce la faremo” quando ogni giorno vedo allontanarsi sempre di più l’opportunità di avere un futuro all’altezza delle mie aspettative, sentendomi immerso in uno stato di repressione che mi blocca in uno stile di vita in cui sono costretto a rinunciare alle mie aspirazioni e ad accontentarmi.
La crisi ha evidenziato le caratteristiche di un sistema che ormai tiene sotto controllo anche l’ambizione, attraverso i meccanismi innescati dal capitalismo, un sistema che non necessita di confronto con le nuove generazioni, che indottrina e sottomette chi ha la responsabilità di tutelare la crescita cosciente di ogni singola giovane cellula, grazie ai processi di gestione del potere.
La disinformazione che dilaga tra la paura e la disillusione è in grado di fuorviare la percezione della realtà. Questo è un momento in cui c’è un’estrema necessità di confronto, di educazione libera dai processi produttivi che la società impone, di cellule progenitrici e di una classe dominante consapevoli di quello che ci stanno lasciando a causa del continuo agire in funzione del tornaconto personale.
Ora che la crisi e l’inefficienza delle istituzioni fondamentali hanno messo in evidenza le contraddizioni figlie di un capitalismo divenuto ingestibile e fuorviante, dovremmo creare delle opportunità, dovremmo ribellarci.
Dovremmo essere tutte arrabbiate per quello che sta succedendo, viviamo una realtà in cui ci sentiamo impotenti davanti ai processi politici, sociali ed economici; ed proprio grazie a ciò, che noi stessi siamo diventati carnefici delle generazioni future, schiave della paura, ricattabili in ambito lavorativo, restie alla ribellione e all’agire.

Colpevoli tutti, per aver permesso che divenisse normale vivere un sistema che pretende che ci si adatti e basta, che ci si inserisca come un tassello di un puzzle più piccolo smussando i nostri lati pian piano, perdendo di vista la lotta, per accomodarci sull’immensa tela che ci hanno costruito per farci inconsapevolmente accontentare di tutto quello che passa.
È il momento di cambiare, adesso è fondamentale ascoltare e comprendere quanto l’energia che alimenta le masse operaie e studentesche e l’eccitazione creativa che domina la ricerca artistica, rispondano tutte al bisogno più generale di liberazione dei sensi, che appare necessario per rifondare una società migliore e rinnovata.
È ormai evidente la necessità di liberarsi di un sistema sociale repressivo per dare vita a un nuovo modo di riaffermare la visione della singola cellula, la visione del potere che viene dal basso.
E chi può ribellarsi se non noi, giovani cellule consapevoli, testimoni delle conseguenze di un sistema che ha giovato per decenni dei meccanismi di produzione e del consumo in favore dei pochi potenti e a discapito del benessere dei tanti!?
Abbiamo bisogno di un processo di sensibilizzazione, che parte delle giovani cellule, un progetto di cambiamento verso uno stile di vita più consapevole, che ci permetta di esistere in un mondo in cui le ideologie non siano basate sull’attualità.
È vero, siamo disillusi e angosciati ma non siamo così abbattuti da smettere di sognare, siamo cellule che non hanno intenzione di abbassare la testa e che hanno voglia di organizzarsi aggirando i meccanismi malati del sistema, cercando l’alternativa attraverso il cambiamento, perché stanchi di accontentarsi.
Sogniamo cellule che vadano alla riscoperta di un pensiero comune, che credano e si affidino al cambiamento con la speranza che si possa ottenere molto di più di “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà”.
Abbiamo bisogno di tornare a lottare per prenderci tutto quello che ci è stato negato, la libertà di essere giovani, di volere qualcosa di diverso e di pretendere un futuro migliore non può essere un reato, e la libertà di sognare tutto questo, tanto meno.
La parola cambiamento non può più avere soltanto un’accezione spaventosa, deve tornare ad essere di speranza, dobbiamo credere che possiamo fare la differenza nel nostro piccolo: una cellula adulta può dare il giusto esempio ad una giovane cellula; una famiglia può educare bene diverse giovani cellule; e se la famiglia fallisce c’è sempre la scuola, che può aiutarle a coltivare la passione delle sue giovani cellule e a combattere il processo di alienazione a cui vanno incontro, un gruppo di giovani cellule può fare la differenza all’interno del proprio quartiere o all’interno del proprio paesino di provincia.

Perciò, a te cellula consapevole, che sta leggendo dico: “organizza la tua rabbia”, fatti le domande giuste, coinvolgi, educa, condividi e slegati dai processi sociali che ci hanno reso ciechi, impotenti, per rischiare di dare vita a qualcosa di diverso, ad una civiltà libera e regolata dai principi di piacere, da una coscienza di classe che lotta attraverso l’aggregazione sociale, la rivendicazione dei diritti e degli spazi, per la riaffermazione di un senso comune volto ad agire in funzione del benessere collettivo, non solo presente ma anche futuro.
È arrivato il momento di sostenere il grande rifiuto del presente.

ORGANIZZA LA TUA RABBIA, la rivoluzione è dentro di te!

Gianmarco Josh Cellucci

Share Button
Written By
More from ukizero

“Aneddoti Rock”: Blondie

I Blondie celebrano i 40 anni influenzando ancora l'immaginario rock, della moda...
Read More

8 Comments

  • Le cellule si coordinano per supportare tutte insieme la vita stessa dell organismo. Non mi sembra proprio cio’ che accade nelle societa’ umane … come infatti dimostra josh cellucci . Concordo in pieno con questo bellissimo articolo . E’ chiaro che le nuove generazioni saranno quelle che pagheranno il prezzo più alto del tumore innescato dalle vecchie cellule malate !

  • siamo vulnerabili per mancanza di empatia!!
    grazie G.J.Cellucci per questo articolo davvero interessante.
    affascinante la similitudine con la cellula, ci da un immediata idea di quanto stiamo
    progredendo contro natura

  • il distanziamento sociale sta diventando un fattore permanente. in questo modo saremo tutti sempre piu’ inconsapevoli di ciò che ci gira intorno. come dice l articolo perdiamo la percezione della realta’ . e non sara’ l ultima cosa che perderemo … andra’ sempre peggio. abbiamo un tumore terminale :(((

  • e poi gli dai un senso, quello giusto. e’ dentro di te e va cercata in comunione con gli altri per creare un movimento di protesta. che usi la rabbia non per generare violenza,ma per agire secondo un nuovo senso! per ricostruire l’ organismo cellula dopo cellula

  • concordo!
    complimenti a josh, un articolo davvero straordinario e interessante. riconosco la filosofia di uki in queste riflessioni, soprattutto l’importanza, come sottolinea l’articolo, di una percezione più profonda della realtà e di se stessi …. educarci alle emozioni,a conoscere se stessi, è l’unica salvezza!!!

  • organizziamo la rabbia per queste prossime eventuali elezioni! oppure contro i rimpasti! organizziamoci per chiedere ci che ci spetta per diritto

  • bellissima la famosa idea di liberarsi di un sistema repressivo per craere un nuovo modo di riaffermare la visione della singola cellula… ma poi quella singola cellula dovra’ di nuovo relazionarsi con la collettivita’, ecco perche’ forse la cosa piu’ importrante citata da josh e’ il. processo di sensibilizzazione come una liberazione dai sensi, cioe’ dagli impulsi che non farebbero altro che ripetere lo stesso maledetto sistema

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.