Chelsea Wolfe – “She Reaches Out to She Reaches Out to She”

Un lavoro accattivante e onirico, che rievoca atmosfere e topoi della darkwave riproponendoli in una chiave mistica e soffusa

Al netto di facili entusiasmi, Chelsea Wolfe ha fatto un lavoro più orecchiabile e immediato rispetto ai suoi dischi precedenti, in confronto ai quali è di gran lunga meno originale e appare piuttosto un tributo alle sonorità anni Novanta-primi Duemila tipiche dell’industrial e di certa darkwave del periodo. Questo non significa che “She Reaches Out to She Reaches Out to She” non sia un ottimo album, anzi: ogni brano è una perla rara, e se lo si considera indipendentemente dal resto della sua discografia è un eccellente esempio di eclettica mescolanza di generi che hanno in comune un mood gotico e oscuro, oltre alle radici post-punk e industrial, a ragione associati alla cultura goth – darkwave, neofolk, dark ambient, ethereal wave, industrial rock, dream pop… Però la vena intimistica, graffiante e più sperimentale delle sue opere precedenti si perde molto in favore di tracce che non disdegnano un tocco trip hop e pagano tributo ai Depeche Mode, inclusi i loro pezzi più recenti (“Salt” ne è un esempio evidente) e ai classici dei Nine Inch Nails a partire dal brano d’apertura “Whispers in the Echo Chamber“, con momenti più ambientali ed eterei (“Unseen World“).

I parallelismi con “Pain is Beauty“, tracciati da alcune recensioni, appaiono sinceramente forzati, perché l’impianto elettronico dell’album ha qui una ragion d’essere completamente diversa, ottenendo un suono più orientato al pubblico e meno ostico, mentre nell’ormai classico del 2013 quella componente lo rendeva semmai ancora meno accessibile. Per dirla in parole povere: fosse il disco di un esordiente ci sarebbe da gridare al miracolo e alla rivelazione della musica goth; essendo il nuovo lavoro di Chelsea Wolfe, bello, complimenti, però è di fatto una svolta più pop nella carriera dell’artista. Non che ci sia necessariamente qualcosa di male, ma è così.

Una caratteristica degli album di Chelsea Wolfe è che ti spiazzano. Riconosci le radici, identifichi i punti di riferimento, ma quello che lei sta facendo è completamente diverso, e il modo in cui fonde generi e tendenze in un unico brano ha in sé qualcosa di irripetibile. Questo disco invece, carico di nostalgie anni Ottanta e Novanta, pur essendo valido, ben interpretato e arrangiato, nella composizione stenta a ritrovare quella personalità dirompente che ha reso celebre l’artista con i suoi lavori precedenti, in favore di un amalgama accattivante e onirico, che fa presa sull’ascoltatore desideroso di rievocare le atmosfere e i topoi della darkwave riproponendoli in una chiave mistica e soffusa, ma delude inevitabilmente il fan che avrebbe voluto essere sorpreso, turbato e scandalizzato dalla cantante come in passato.

Gianni Carbotti e Camillo Maffia

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