Con la Festa del Carnevale in effetti abbiamo già oltrepassato l’autenticità della Gnòsi e del Dharma, siamo già nell’ambito “terrestre” delle religioni e dei culti oramai soliti venerare non più il contenuto ma il contenitore. Si trattava certo del “Mistero” in Natura e della Psiché, ma con questi Riti si ‘lavora’ sul piano dell'”Astrale”, dell’Inconscio. Siamo cioè sospesi sul Campo dell’Anima e non dello “Spirito”. Tuttavia alla base di questi riti millenari e di una tale euforia pagana, c’è un Carnevale come crocevia tra sacro e profano, tra pagano e cristiano, tra antico e moderno, tra nobile e plebeo, in cui l’uno sconfina nell’altro o se ne fa beffe. Una festa che coglie la dimestichezza con l’eterno e con la storia, l’intreccio di religioso e irriverente, la celebrazione rituale del corpo, del sesso e del cibo, l’elogio della follia fino all’esorcismo collettivo di paure e spettri. E i brindisi infiniti alla morte ubriaca, nella speranza che, alterata dalle libagioni, anche la morte perda lucidità e non svolga il suo compito ferale. Un’antica impronta dionisiaca quindi, quel Dioniso che a Roma diventò “Liber Pater” e Bacco, che ispirava alle sue origini i “Saturnalia” con le sue prime trasgressioni e le prime maschere.
«Le feste carnevalesche diffuse presso i popoli indoeuropei, mesopotamici e anche in altre civiltà racchiudono una valenza purificatoria e dimostrano il bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente, abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la Cosmogonia».
Mircea Eliade
A Carnevale, in ogni strada ed angolo si respira aria di festa in un continuo brulicare di maschere, in un variegato spettacolo di colori, in un incessante sovrapporsi di musiche e in un travolgente vortice di balli… insomma una cagnara che non di rado mi è venuta voglia di abbattere quelle maschere una a una!
Non posso però negare che il Carnevale è una festa contagiosa e basta poco per sentirsi integrati: senza “barriere” tutto è permesso e concesso grazie alla complicità delle maschere, appunto.
A Carnevale è dato libero ma limitato accesso alla follia e al caos, all’inversione dei ruoli sociali, anagrafici e perfino sessuali. Il principio che lo sorregge è l’eccezione che serve a confermare la regola: consentire uno sfogo per rafforzare l’ordine, la gerarchia e riportare la trasgressione nell’alveo dei rapporti “normali“, nell’osservanza dei doveri civili e delle pratiche religiose.
Così, il Carnevale è una delle poche feste pagane che la nostra cultura occidentale/cattolica non è riuscita a estirpare. Dai saturnali degli antichi Romani, dove i servi comandavano ai padroni, alla “festa dell’asino” e la “festa dei folli” del Medioevo, dove la parodia e il sacrilegio la faceva da padrone, e l’asino stesso, simbolo del male, veniva condotto sull’altare, sembra dunque che il nostro Carnevale abbia origini “molto” significative.
Si tratta di un avvenimento popolare nel quale restano vivi quasi tutti i costumi pagani, una festa di gioia e divertimento: un “lasciarsi andare” ai piaceri.
Il termine “Carni Levanem” in latino significa “sollievo della carne“. Nell’antichità la gente si sfogava dalla “repressione” subita nel resto dell’anno, con feste, banchetti e sfilate. Tutto il mese di febbraio era un periodo di passaggio che segnava il tramonto dell’anno vecchio ed il rinnovamento del Cosmo (la parola ‘febbraio’ deriva dal latino “februare” che significa purificare, rimediare agli errori..). Periodo di caos, vino e gioia, era seguito anche da riti di purificazione dedicati ai morti.
L’uso delle maschere esiste fin dall’antichità, alcuni dicono che quest’abitudine era per fare in modo che i morti (che tornavano sulla terra, evocati attraverso riti propiziatori per auspicare un abbondante raccolto) non si confondessero fra i vivi; altri invece, dicono che l’utilizzo delle maschere permetteva l’abbandono all’euforia senza essere riconosciuti. La maschera infatti era un simbolo che si configurava come un’efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e la divinità, essendo uno strumento che permetteva di alienarsi dalle convenzioni spazio-temporali, al fine di proiettarsi all’interno di un mondo “altro”, divino, rituale, mistico.
Una specie di zona franca e tempo sospeso in cui poter compiere “delitti” in altri periodi dell’anno vietati.
La funzione principale del Carnevale – lo spiega uno dei massimi cultori della “Tradizione“, Renè Guénon – era di “canalizzare” e rendere “inoffensive“, oltreché delimitate nel tempo e nel luogo, alcune manifestazioni esplosive o alcune tensioni che oggi potremmo definire “sataniche“(Simboli adulterati dalla Scienza Sacra). Una sorta di rovesciamento rituale, non solo limitato al piano politico e sociale, per consentire un controllo delle spinte sovversive e contestatrici, ma anche un evento iniziatico, per circoscrivere e neutralizzare l’affiorare dei demoni e degli spiriti nefasti. Temi su cui ha indagato il sociologo francese Michel Maffesoli, mostrando come la festa, tramite la trasgressione dionisiaca, diventava fonte di coesione comunitaria e riacquistava una sua vitalità al tempo delle nuove tribù.
In ogni caso, qualsiasi fosse stato il motivo dell’uso delle maschere durante questa festa pagana, queste usanze sono ancora diffuse. Certo oggi le maschere servono a nascondere i bulli che durante il Carnevale nostrano vanno in giro a prendersi a manganellate, tra la confusione straziante dei carri che sfilano bloccando la città, ma questi sono solo gli effetti collaterali di una società che ha perso il significato sacro e spirituale dei costumi e dei riti culturali. Anche perché i carnevali passano, ma certe maschere restano.
Le Maschere
Così, visto il legame strettissimo tra rito e teatro, il passaggio all’utilizzo della maschera nello spettacolo fu breve.
Tra le più importanti maschere italiane ci sono Arlecchino e Pulcinella.
Arlecchino, originario di Bergamo, rappresentò nel teatro del 1550 la maschera del servo apparentemente sciocco, ma in realtà dotato di molto buon senso. Ghiotto, sempre pieno di debiti ed opportunista, rappresenta il simbolo di colui che si adatta a qualunque situazione ed è disposto a servire chiunque, pur di ricavarne dei vantaggi. Alle sue prime apparizioni indossava un abito bianco, che divenne poi di tutti i colori a forza di rattopparlo.
Pulcinella invece, è figura buffa e goffa, un gran naso, mascherina nera, gobba, cappello a punta, camiciotto e pantaloni bianchi. È una delle maschere italiane più popolari. Probabilmente originario di Napoli: anche il suo nome sembra che derivi dal napoletano “polece” (pulce). È una figura essenzialmente popolare. Impertinente, pazzerello, chiacchierone, è la personificazione del “dolce far niente“. Le sue più grandi aspirazioni sono il mangiare e il bere. Pur essendo spesso fatto oggetto di pesanti bastonate, egli riesce simpatico anche ai potenti che prende in giro e inganna con amabile furbizia.
Degno di nota è anche Pantalone, un tipico mercante vecchio, avaro e lussurioso.
Pantalone e Arlecchino si contendono la bella servetta Colombina (in realtà fidanzata di Arlecchino), capace di raggirare entrambi con la sua seducente scaltrezza tipica del femminile!
Invece tra le maschere straniere la più famosa è Pierrot. Arriva dalla Francia. All’inizio era un servo sciocco e ingenuo, poi è diventato un classico personaggio romantico, suonatore di chitarra, eternamente innamorato, con una comicità velata di tristezza.
A pensarci bene, è chiaro che queste maschere sono un classico specchio della nostra Italia che, navigando tra sogni e poesie, passa dallo spudorato e arlecchiniano servilismo – perché ne trae vantaggio – di chi vota il Pantalone della situazione – il quale promette sempre di tutto dall’alto della sua lussuria – al furbo menefreghismo del Pulcinella – sempre pronto a far baldoria. Ecco il carnevale italiota, di quell’Italia che, nonostante le profonde differenze (Nord e Sud), una cronica debolezza d’identità, l’attuale incapacità di fare sistema, di affrontare insieme le sfide del futuro e lo sconcertante fatto che noi italiani sembriamo essere privi di motivazioni… rimane in ogni caso patria e fulcro di una straordinaria eredità culturale (compreso il pan di Spagna e la zuppa Inglese) e di un’esauribile voglia di fare festa che, evidentemente, sarebbe cosa buona e giusta non perdere mai. In effetti, Pulcinella se la ride come può, certo oggi i poveri in Italia sono sempre di più, e stavolta sembrano aver perso anche quell’atavico istinto goliardico, ma qual è il problema? ormai lo hanno i ricchi… Pantalone l’ha sa lunga (ogni riferimento a persone è puramente intenzionale)!
Ecco che di fronte alle maschere del nostro italico Carnevale possiamo dire che la pasta c’è, in tutti i sensi, dobbiamo solo inventare una nuova ricetta… o una nuova maschera?
Fatale
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«Festa di contestazione, di rottura, di rigenerazione sociale vissuta in un tempo ciclico di morte e di resurrezione, d’annientamento e di rinascita, il Carnevale esprime anche la voce dei gruppi sociali inferiori e l’opposizione della cultura popolare alle forme e alle immagini della cultura ufficiale».
Piero Camporesi, “La maschera di Bertoldo”, 1993
con voi di uki anche il carnevale diventa interessante! 😉
già! e poi c'è da dire che come dice fatale oggi si è appunto perso quello spirito sacro e libertino, ma tanto liberatorio, che rappresentava questa festa pagana!
sempre splendidi e interessanti articoli di fatale
una volta l'umanità era una bella cosa
voglio vestirmi anche io da arlecchino-horror e sfogarmi con tuttooooooooo!!!!
bell'articolo
meraviglioso, si, si!!!
amo il tagliente realismo di fatale. la concluisione dell'articolo è drammaticamente evidente!
grazie uki per aver dato senso a questa festa in questi giorni!
e allora perché non travestirci con maschere orrorifiche ed andare a sovvertire Montecitorio! dovrebbe essere questo il senso no?!
in un certo qual modo la maschera di anonymous!
10 +, mr. Fatale.
E io odio il carnevale.
Odio l'(O)dio… già.
Onorato, Mina.
Gli ebrei volevano uccidere Gesù, ma non potevano, Pilato poteva condannarlo a morte, ma non voleva, Erode tratto Gesù come fosse il protagonista di un carnevale ebraico (Purim), i soldati romani come se fosse il protagonista di un carnevale romano (Saturnali). Barabba più che un nome proprio, che probabilmente era Gesù, potrebbe essere un titolo relativo ad una funzione ed in ogni caso coincideva con l’imputazione relativa a Gesù: essersi proclamato Figlio del Padre. Per questo Michelangelo quando dipinse il Giudizio Universale per Gesù giudice riprese la figura di Aman (protagonista del carnevale ebraico) dipinta precedentemente nella volta della Cappella Sistina? Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.
Grazie a te… informazioni molto interessanti! Libro sicuramente da leggere.
🙂
“… Una volta all’anno il diritto di impazzire..!” Bella storico ma costoso UkiZero… Qui in Brasile, dove la crisi economica sta entrando nell’inferno (non quello di Dante, ma quello del modello economico di “Satana”) Mr. Carnival si avvicina .. e questo diritto a “impazzire”, la festa sarà in Beira un principio di inferno .. letteralmente.
SAREBBE BELLO TORNARE A DIVERTIRSI FARE SCHERZI
SORRIDERE FARSI UNA BELLA GRASSA RISATA
ADESSO L’ IMPORTANTE E’ ALLOWEIN
MA TENIAMOCI CARE LE NOSTRE TRADIZIONI POPOLO DI COGLIONI
la mia festa preferita….