Intervista a Luca Bracali, fotografo e reporter RAI di fama internazionale

Fotografo, regista ed esploratore, autore di articoli e documentari di viaggio, conferenziere e docente di fotografia. È inoltre un attivista ambientale ed autore del libro fotografico "Il Respiro della Natura"

Luca Bracali (Pistoia, 1965) è un fotografo il cui attivismo ambientale lo ha portato a creare una campagna di sensibilizzazione sulle tematiche relative al riscaldamento globale, allo scioglimento dei ghiacciai e ai cambiamenti climatici, grazie al quale ha viaggiato in 141 Paesi e ha pubblicato tredici libri fotografici, vincitori di diversi premi nazionali e internazionali. Tra le sue opere si ricordano: “I colori del viaggio“, “SOS Pianeta Terra“, “Fantasie della Terra“, “Myanmar“, “The true essence“, “Pianeta Terra“, “Un mondo da salvare“, “Rapa Nui“, “Genesi di un restauro fra storia, leggende e misteri” e “Il Respiro della Natura (The Breath of Nature)“.
Nel 2010 debutta nel mondo della fine-art photography, e le sue immagini vengono esposte in mostre personali in più di cinquanta musei e gallerie, tra cui la sala espositiva del Parlamento Europeo a Bruxelles.
Come documentarista lavora dal 2011 per le reti Rai ed è autore, produttore e regista del progetto webPlanet Explorer”.

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“Il Respiro della Natura” è un’opera fotografica in due volumi raccolti in un cofanetto, presentata nelle lingue italiano, inglese, francese e tedesco. Di cosa tratta questo tuo nuovo progetto?

Il mio lavoro è stato assai complesso, parliamo di una sessione fotografica che è durata una ventina di anni e mi ha portato a viaggiare in 40 paesi del mondo, iniziando dalla A di Alaska per concludere alla Z di Zambia. Una ricerca fotografica attenta e minuziosa mirata su fiori, piante e alberi del nostro pianeta, quel verde che abbiamo ereditato come grande patrimonio naturale e che stiamo rischiando di perdere. Mi sono rivolto in particolar modo ai baobab, alberi endemici del Madagascar, considerato l’albero della vita e che invece dal 1960 ad oggi si è dimezzato perché sta morendo, incapace ad adattarsi ad una siccità sempre più dilagante. Altra parte del mio lavoro è stata rivolta alle sequoie, le gigantesche sentinelle del nostro pianeta che con i loro 80 metri di altezza ed una longevità che sfiora i 3.000 anni di vita hanno invece dimostrato di sapersi ben adattare ai cambiamenti climatici e di saperli anche combattere. Il secondo volume è invece dedicato al vivaismo pistoiese, alla Romiti Vivai che rappresenta un po’ l’eccellenza nella produzione Green non soltanto in Italia ma anche in Europa ed in parte nel mondo. Due anni di riprese seguendo la stagionalità e gli innesti di alberi e piante da frutto per descriverne la loro vita e la loro crescita.

Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di fotografo e documentarista, che hai definito in un’intervista “il lavoro più bello mondo”?

Inizialmente è stata la passione irrefrenabile verso i piloti del Motomondiale degli anni’ 80 ai tempi di Lucchinelli e Uncini, anche se il mio idolo di allora era Freddie Spencer. Ho iniziato come inviato per una piccola rivista provinciale, poi regionale e infine nazionale e dai Campionati di Cross sono finito alla Formula 1. Poi test di moto e auto e con le auto ho cominciato nel 1991 a girare l’Europa. Solamente allora ho capito che il mondo sarebbe stata la mia dimensione; mi ci sono voluti una dozzina di anni per maturare la cosa ed accrescere l’esperienza. Oggi che lavoro per le tre principali testate Rai come documentarista, per National Geographic come contributor, realizzo libri e mostre in tutto il mondo, posso dire di fare il lavoro più bello del mondo senza dubbio, ma per una sola cosa. Perché scoprire e conoscere le infinite bellezze del nostro pianeta, facendo una media di 16 viaggi all’anno, è un arricchimento culturale infinito e poterlo condividere con milioni di telespettatori e decine di migliaia di followers è una soddisfazione che non ha eguali. Per spirito di altruismo e perché un po’ mi sento un missionario.

Nelle tue tredici pubblicazioni hai mostrato tanti splendidi scenari, da Myanmar ai Moai dell’isola di Pasqua, dall’Antartide al Madagascar, e hai raccontato altrettanti problemi che stanno affliggendo il nostro ambiente, come la deforestazione e il riscaldamento globale. Qual è l’opera che ha richiesto il lavoro più duro, e qual è invece quella che ti ha dato più soddisfazioni e che ha riscosso maggiore interesse?

Sicuramente il progetto più impegnativo è quello racchiuso nel mio ottavo libro “Pianeta Terra. Un mondo da salvare” che ha richiesto 15 anni di lavoro in 18 Paesi, molti dei quali in Artico. Un libro diviso in dieci sezioni che affrontano tematiche legate alla fragile bellezza del nostro mondo, a ciò che ancora abbiamo e a ciò che presto non avremo più andando in questa direzione. Due libri che mi hanno dato grandi soddisfazioni; oltre a questo, che forse resta il mio preferito, sono stati “SOS Pianeta Terra” e anche “I colori del viaggio”, il mio secondo volume ma il primo interamente a mia firma, dove ho diviso e scomposto il mondo per scale cromatiche, tre colori primari e tre secondari come in pittura, e poi ad ogni capitolo ho dato il nome di una pietra preziosa. Ad esempi il rosso è diventato rubino, il verde smeraldo e così via. Un’idea, un mio piccolo contributo per aiutare anche le persone che soffrono di depressione pensando alla cromoterapia.

Organizzi spesso workshop e viaggi fotografici per chi è interessato a vederti lavorare sul campo e a migliorare la propria tecnica. Ci racconti le modalità di partecipazione e di svolgimento di queste esperienze?

Dunque, dopo aver trascorso qualche anno ad insegnare fotografia in un istituto para-universitario di Firenze per studenti americani ho pensato che invece di un’aula con quattro mura non ci fosse studio migliore del mondo! Ed è così che ho creato una sorta di scuola itinerante: “I viaggi di Luca Bracali”, dove porto con me persone che amano il viaggio e la fotografia, ma prima di tutto debbono essere degli entusiasti e degli amanti della vita. Durante il corso dell’anno propongo varie destinazioni, al caldo e al freddo, scegliendo la paesaggistica, oppure la fotografia più antropologica con popoli e tribù, ma anche quella naturalistica, a “caccia” fotografica degli animali da sogno, quelli che hanno popolato la nostra fantasia quando eravamo ancora piccoli. Per vedere ciò che propongo è sufficiente visitare il mio sito e, una volta individuata la meta o l’argomento di interesse, scrivermi una mail in modo tale che possa rispondere allegando il programma completo.

Ci sono degli artisti a cui ti ispiri per le tue fotografie?

No nessuno. Non l’ho mai fatto e mai lo farò. Io ho la mia filosofia ed il mio modo di vedere, di descrivere e di interpretare le cose traducendole in immagini ed emozioni, e questo deve restare tale senza subire influenze. Pur tuttavia apprezzo grandi artisti come Sebastao Salgado, Steve Mc Curry, Franz Lanting, Paul Nicklen ed altri ancora dei quali apprezzo il loro stile indiscutibile. Quando ho iniziato a fotografare invece mi sono ispirato piuttosto ai grandi pittori del passato. Il mio Maestro ispiratore in assoluto è stato Michelangelo Merisi in arte il Caravaggio del quale mi sono visto innumerevoli mostre e letto libri e cataloghi. La mia fotografia infatti, specie sui ritratti, ha la sua diretta influenza con i soggetti che tendenzialmente escono dal nero come i volti delle sue opere. Inizialmente ho studiato anche il grande Van Eyck, pittore fiammingo, cercando di capire la sua impeccabile capacità nel gestire la luce. Del resto il termine fotografia, tradotto dal greco, significa disegnare con luce, per cui a quali migliori Maestri potevo ispirarmi?

Dal 2017 sei ambasciatore dell’associazione no-profit “Save the Planet”. Di cosa si occupa questa associazione, e come offri il tuo contributo?

“Save the Planet” è Associazione No-Profit, quindi senza fini di lucro, e già questo mi piace assai visto che mi ritengo uno spirito libero, cittadino del mondo e non appartengo, e mai sono appartenuto, a nessuna corrente politica. Lo scopo di “Save the Planet” è quello di divenire ente certificatore per le aziende che vorranno essere veramente Green e poter mostrare un pedigree davvero autentico dove, per compensare le emissioni nocive di CO2, si propone ad esempio di piantare alberi in Kenya. Il mio contributo è quello mediatico, ovvero quello di andare in giro per il mondo a raccogliere la voce di Madre Natura catturando immagini di un mondo sempre più fragile. Immagini sempre positive che dovranno invitarci a riflettere su cosa fare per un futuro che dovrà per forza di cose essere migliore.

In quale parte del mondo ti porterà il tuo prossimo progetto fotografico?

In questo momento che rispondo sono seduto in aereo e sto volando a Darwin, nel Northern Territory australiano. Qui la natura, assai ben conservata direi, esprime la sua vera grande forza ma il mio interesse in questo viaggio andrà anche più verso l’antropologico, per approfondire la storia degli ultimi aborigeni, ormai sempre meno cittadini delle loro immense terre ma che fanno sempre di Uluru il loro grande simbolo sacro. Dall’Australia ci sposteremo con la mia troupe a Vanuatu, un arcipelago poco conosciuto ma con un vulcano assai attivo che si presta perfettamente alle mie riprese aeree con il drone. Vanuatu inoltre conserva una tradizione che mi ha sempre affascinato: quella dei saltatori dell’isola di Pentecoste che, legandosi le caviglie con una fune, si tuffano a capofitto da alberi o capanne in segno di forza o di amore.

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Antonella Quaglia

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