Per una critica della piazza virtuale

Un "replicante di fonemi" che si spaccia per il "nuovo"... e la piazza diventa insopportabile

Roma, Piazza del Popolo, un flash mob come un rimbombo cosmico di spazzatura comunicativa, la sola in grado di smuovere le masse. Non ce l’abbiamo con il divertimento, non sia mai, è il genere umano come semplice “replicante di fonemi”, che tenta di autoaffermarsi con “metodi moderni” guidati però dai soliti “vecchi schemi”… ad essere quanto mai insopportabile.

 

 

Trentamila persone hanno invaso Piazza del Popolo a Roma per ballare al ritmo di “Gangnam Style“. Il tutto organizzato grazie a Facebook.

Ed ecco qui la materia del contendere.

La prima cosa che ho pensato è che per smuovere e far muovere un bel po’ di persone per un presunto flash mob ci si mette un attimo, diverso è farli scendere in piazza per i propri diritti quotidiani.

Si balla, si superano record aleatori ed alla fine ci si sente migliori degli altri. Il problema di fondo è l’approccio a ciò che la rete ci regala di buono, nuovi modi di relazionarsi al reale, di creare condivisione, di sperimentare progetti collettivi.

Molti navigatori senza bussola hanno forse poca comprensione delle dinamiche culturali contemporanee e della grande opportunità che il codice binario offre alle nostre vite. Flash mob relegati al livello di marketing con le solite scuole di danza a far vedere quello che non sanno fare, profili facebook che postano la solita foto di gruppo con bicchieri tintinnanti, gattini luccicanti e frasi d’amore impossibili da attuare. Il tutto in un rimasticare senza pensare e senza riclassificare, passato senza filtri solo per il piacere di far vedere di esserci.

Abbiamo gli strumenti ma non li sappiamo usare.

 

Se le connessioni sono ovviamente diventate più facili e immediate, la realtà segue sempre vecchi schemi che difficilmente la mediocrità umana riesce a scardinare.

Rivoluzioni iniziate in rete si sono scontrate miseramente con i poteri costituiti. Il nord Africa, Anonymous, il vecchio Napster o i nuovi movimenti politici non sono riusciti a riversare nel mondo reale quella intelligenza collettiva costruita ottimisticamente nel world wide web. Qualche lampadina accesa qui e là per dare consigli su come coltivare, cucinare, crescere e barattare.

Ma la deriva un po’ bastarda, da occhio nella serratura e web marketing, è sempre dietro l’angolo a ricordare la nostra incapacità di cavalcare i cambiamenti. Perché l’essere umano è molto più refrattario alle modifiche di quello che pensiamo. La piazza ottocentesca è ancora qui presente ma i suoi bisbigli sono diventati chiacchiericcio grossolano e rimbombante senza nemmeno più il fascino del mistero.

 

Troppa informazione = nessuna informazione.

 

Si parla con il mondo come se ogni nostra azione debba essere un alibi sotto la lente di ingrandimento. Si perde l’occasione per creare linee alternative di approccio agli esseri umani. In questa logorroica voglia di esprimersi (ma esprimere cosa?) tutto è riciclato e ricontestualizzato; pensieri di altri diventano i nostri. Non crediamo alle nostre azioni o a quello che diciamo, è semplicemente l’estetica del passaparola che ingigantisce quello che neppure esiste. Un rimbombo cosmico di spazzatura comunicativa.

Se rimpiango l’edonismo anni ’80 è solo perché in quella voglia di mettersi in mostra c’era la ricerca di elementi creativi personali e ora i famosi 15 minuti di celebrità si svuotano miseramente di intoccabilità. Che senso ha essere famosi in un mondo in cui tutti possono e lo sono? Atomizzati ma tutti uguali. Se i nostri avatar narcisi moltiplicano e frammentano l’Io con pensieri veri o falsi, la concreta impossibilità di avere un posto nella società reale porta ad utilizzare i social network come mezzi di autoaffermazione di potere e centro di discussioni, commenti e polemiche accese come se ci si trovasse nella stanza dei bottoni a decidere del destino del mondo. Ci tocca poi delegare sempre qualcosa a qualcuno perché siamo solo interessati ad acquisire visibilità attraverso il chiacchiericcio.

In questo nascondersi e giustificarsi si è preda del gioco perdendo occasioni.

La piazza virtuale si sovrappone alla piazza reale e ci mostra semplicemente che le macchine sono davvero più intelligenti. E allora mi immagino, in un mondo ideale futuribile, che finalmente i replicanti, come uomini decisamente migliorati non solo nell’intelligenza, ballino e agiscano davvero in sincrono. Per un unico vero e reale obiettivo comune.

 

Il genere umano, per ora, sembra solo replicante di fonemi.

Evilia Di Lonardo

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