L’ultima casa

Racconto breve di Giuseppe Cetorelli

In ricordo di  Franco, recentemente scomparso. Un amico che ha reso migliore la mia vita

 

 

Vi si accedeva percorrendo una lunga strada piena di buche rattoppate, quando il sole era alto i pini sembravano abbracciare quella enorme palla di fuoco. Durante l’inverno la triste coperta del cielo si appoggiava sulle cime più alte e ricadeva a strapiombo su persone e cose.

Torquato, un ragioniere in pensione, si era recato per primo a visionare i loculi.

Aveva deciso di fare quell’acquisto assieme ad Elvira, la moglie, casalinga mite e comprensiva. Era già molto tempo che pensavano di comperarsi l’ultima casa, così, per togliere ai figli l’incombenza di dover provvedere.

La scelta che si parava innanzi a Torquato era ampia : loculi in alto, in basso, a mezza altezza, nuovi costruiti in cemento, vecchi costruiti in mattoni. Era lì che attendeva la moglie e intanto pensava “Un giorno ci finirò anch’io”, si guardava attorno ed era assediato dalle foto, fiori appassiti dove era difficile arrivare, sempre freschi in basso dove tutti passando potevano infilare un bocciolo. Osservava il cielo, era terso, color lapislazzuli. Le croci delle tombe più alte lo punteggiavano e gli angeli scolpiti sui frontoni a forza di scalpello lo fecero trasalire.

“Torquato!” udì una voce dal timbro chiaro che si infranse su di lui come uno scroscio improvviso, “Torquato eccomi!”, era la moglie che lo chiamava, lui si voltò “finalmente” disse con un sospiro, “vieni, vieni… ci sono questi a disposizione”.

Elvira era una donna magra, alta, bella un tempo e non lavorò mai. A questo pensò sempre Torquato, fece la mamma con grande profitto poiché i figli crebbero educati e rispettosi. Il “mestiere” della mamma è assai difficile ed Elvira vi profuse ogni energia.

“Questi due mi sembrano perfetti” disse improvvisamente Torquato avvicinandosi alla moglie. “Assolutamente no, non mi piacciono, non voglio stare lì!” indispettita Elvira replicò. “Ma come, siamo sempre andati d’accordo, non possiamo litigare proprio ora…”.

Poco più in là c’erano dei signori intenti a pulire la superficie scrostata di una lapide.

Erano più giovani di loro, persone di mezza età. La fisionomia dei volti coincideva con quella della foto che amorevolmente accarezzavano, erano andati a trovare il figlio. “Noi siamo stati fortunati, i nostri figli sono ancora in vita” disse Torquato abbracciando la moglie, “non è così scontato sai”. La moglie non rispose, distratta da un bambino che domandava al papà il perché di tutte quelle foto allineate.

“Di chi sono quei volti?” domandava il piccolo, “erano persone come noi” rispose l’uomo. “E lo sono ancora?” continuò incalzando, “non come pensi piccolo mio, ora sono qui ma per tutti loro c’è una storia, che è quella della loro vita”. “Quante vite papà e quante storie, ora cosa fanno: dormono?” . “Aspettano” disse il padre guardando Elvira, “aspettano cosa?”, l’uomo cercò aiuto nello sguardo di entrambi…“di rivivere ancora” disse con un sussurro prendendo in braccio il figlio.

“E’ questo quello che significa morire?” Il piccolo non la finiva più, “morire è… non esserci più” disse il padre; “davvero!? Replicò il bambino, “davvero…ora andiamo”.

Elvira e Torquato erano irresoluti. “Siamo qui da più di un ora e ancora non abbiamo deciso” disse Elvira, “sei tu ad essere capricciosa tesoro, fosse per me avrei già scelto”. Torquato fece pochi passi alla sua destra, il suo sguardo violò l’interno di una tomba. In basso, proprio sotto al nome, c’era un foglio di carta plastificato su cui erano vergati dei versi : “Quando ogni luce è spenta / E non vedo che i miei pensieri / Un’ Eva mi mette sugli occhi / La tela dei paradisi perduti”. Quei versi lo fecero trasalire e lo riportarono sui banchi di scuola. Si ricordò di quando studiava Ungaretti poco prima della maturità.

“Che sciocchezza! Che scempiaggine!” disse sconsolata la donna, “Ma si può pensare all’ubicazione di un loculo e questionarne? Questo è bello, questo non mi piace, è davvero inaudito”. Torquato non c’era più, lo cercò in ogni angolo, lo chiamò a squarciagola. “Torquato! Torquato!” non ricevette nessuna risposta. L’uomo era dietro ad una fila di ultime case, in ginocchio, seduto sui talloni in mezzo ad un viale alberato. La luce lo investiva illuminandolo, le braccia erano abbandonate e lo sguardo rivolto verso il basso, immobile.

Elvira vide due persone accanto al marito, parlavano senza avvedersi di lei.

“Ma che succede, dorme?” disse l’uno, “forse no”, rispose l’altro.

di Giuseppe Cetorelli

 

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