Intervista a Thomas Zettera, autore del romanzo storico “Il bambino delle capre”

Thomas Zettera ha prestato per molti anni la sua creatività come grafico, impaginatore e cartellonista; ha inoltre insegnato materie del settore grafico in un istituto professionale di stato e ha collaborato come disegnatore di copertine e fumetti per una piccola casa editrice. A causa di problemi di salute ha dovuto allontanarsi dal settore pubblicitario, e ripiegare su un ruolo amministrativo in un’azienda privata. “Il bambino delle capre” (self-publishing, 2022) è il suo esordio nella narrativa

  • Il tuo romanzo d’esordio, “Il bambino delle capre”, è tratto da una storia vera. Vuoi parlarcene?

La storia narrata nel romanzo “Il bambino delle capre” segue la vita di Osvaldo, il mio nonno materno, un bambino cresciuto in miseria in un villaggio dell’Appennino marchigiano. Durante la guerra, Osvaldo viene deportato in un campo di concentramento in Germania insieme ad altri 41 compaesani, tra cui il suo migliore amico Alvaro. Osvaldo deve lottare per la sua vita ogni giorno, ma grazie alla sua forza interiore e al legame con Alvaro, riesce a sopravvivere miracolosamente fino alla liberazione da parte dei soldati americani. Dopo la liberazione, Osvaldo viene accolto da una famiglia tedesca che lo tratta come un figlio, ma dopo un anno deve lasciarli e intraprendere un lungo viaggio di ritorno verso casa. Durante questo percorso, Osvaldo affronta molte sfide, tra cui la discriminazione a causa del suo aspetto poco mediterraneo e piuttosto “ariano”. Tuttavia, la sua determinazione e la forza dei ricordi della sua vita precedente lo aiutano a superare queste difficoltà. Tornato a casa, Osvaldo deve ancora affrontare molte difficoltà per ricostruire la sua vita e superare i traumi subiti. Tuttavia, grazie alla sua resilienza e a una sorpresa inaspettata, riesce a trovare la serenità interiore e la speranza per un futuro migliore. La sua storia toccante e ispiratrice è un tributo alla forza dell’animo umano e alla capacità di superare le avversità con coraggio e perseveranza.

  • Osvaldo, tuo nonno materno, è il protagonista della drammatica vicenda che narri nel tuo libro. Cosa ti ha più colpito dei racconti sul periodo in cui è stato prigioniero in un campo di concentramento nazista? C’è una frase in particolare o un’immagine che ti sono rimaste maggiormente impresse?

Credo che nei suoi racconti, quello che più mi è rimasto impresso è stata la forza d’animo di riuscire a superare ogni avversità tentando di mantenere sempre la sua integrità morale. Molto spesso questo lo ha portato a sostenere conflitti interiori e a domandarsi quale fosse il valore di un uomo e persino a dubitare del cardine della fede. Il legame e l’amicizia con suo cugino Alvaro gli hanno spesso insegnato che la vita richiede grandi sacrifici, soprattutto quello di placare il proprio temperamento. Mio nonno è stato un grande esempio per me, in molte altre cose e sono felice che la sua tempra sia stata tramandata attraverso mia madre anche a me.

  • L’emozionante dedica in apertura al tuo romanzo recita: “Questa opera è dedicata a tutte le vittime cadute per la fame, le fatiche e le terribili atrocità subite nei campi di concentramento e di sterminio nazista, e a tutte quelle persone sopravvissute, che sono state testimoni oculari e immagine indelebile dei crimini commessi”. Il tuo libro è la prova di come la letteratura, e in generale i prodotti culturali, siano un importante veicolo di memoria. C’è un libro, un fumetto o un film che ti ha colpito in particolare per il modo in cui tratta del periodo dei campi di sterminio e della persecuzione degli ebrei?

Si, credo che quel periodo storico non possa e non debba essere dimenticato. Oggi troppo spesso si scrive per trasmettere informazioni, come imparare a… le tre regole per… ecc. Personalmente volevo solo che questa vicenda venisse alla luce, narrata senza portare il lettore a schieramenti ideologici, a quell’odio che non perdona. Raccontare il bene e il male, la crudeltà e la pietà, la violenza e la resilienza, narrando fatti e sentimenti in modo così libero da condanne e rancori, mi è sembrato proprio il modo più giusto per tenere viva la memoria della verità storica lasciando aperta la speranza di un’umanità migliore. Leggo molto e adoro il cinema, alcune opere come quella di Primo Levi “Se questo è un umo” o molteplici pellicole che hanno trattato questo argomento, sono state un propellente necessario per entrare letteralmente in uno stato di “bolla” creativa.

  • Nonostante nel tuo romanzo si parli di un periodo oscuro per il mondo, in cui si è manifestata tutta la brutalità di cui noi esseri umani siamo capaci, nell’opera trovano spazio anche commoventi atti di altruismo. Osvaldo riesce più di una volta a sopravvivere alla devastante esperienza della prigionia e del difficile ritorno a casa grazie alla generosità di diverse persone. Tanta crudeltà e anche tanta bontà: quali messaggi hai voluto trasmettere attraverso la tua storia?

Raccontando la storia di mio nonno ho voluto trasmettere un messaggio forte di speranza e di equilibrio. Dove apparentemente si scorge solo il male in realtà è possibile intravedere anche il bene, quello vero, quello più profondo e viceversa. La storia, tutta, è piena di eventi in forte contrasto e questo può aiutarci a capire che c’è sempre una flebile luce di speranza in ogni animo umano.

  • Tuo nonno sapeva della tua intenzione di scrivere un libro dedicato alla sua storia, o è purtroppo mancato prima che tu ne iniziassi la stesura? Come ha reagito, o come avrebbe reagito secondo te?

Sfortunatamente mio nonno è mancato molto prima della stesura di questo romanzo, credo che ne sarebbe stato fiero, in realtà era molto restio a raccontare di quella parte della sua vita, molte persone che lo conoscevano bene non ne erano mai venute a conoscenza. Non aveva affatto un carattere espansivo, ma con i suoi nipoti si trasformava letteralmente. È stato un bravo nonno, lo ricordo con grande affetto e riconoscenza, anche per tutte le cose che ha saputo trasmettermi. Sono io ad essere molto fiero di lui.

  • Dopo anni dedicati al settore pubblicitario e grafico, cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di scrittore?

L’aver lavorato nel settore pubblicitario e nell’editoria è stato un valore aggiunto, la comunicazione è sempre stata la chiave di ogni rapporto umano e mi ha permesso di trovare un linguaggio adeguato ad un romanzo così intenso di valori non altrettanto facili da trasmettere. Quando ho iniziato a scrivere temevo che sarebbe stato molto difficile per me impersonarmi e rivivere le sofferenze passate da mio nonno, ho dovuto, come lui, lavorare su me stesso, annullare ogni parte del mio ego per trasmettere le sensazioni da lui narrate, quello che era quasi sbiadito nei miei ricordi si è magicamente ricomposto nel mio cuore.

  • Sei al lavoro su un nuovo romanzo? Puoi darci qualche anticipazione?

Alcuni mesi fa, mentre mi trovavo ricoverato in ospedale ho avuto l’occasione e l’onore di conoscere una persona straordinaria che ha affrontato qualcosa di incredibile per salvare il suo bambino, questo mi ha riportato alla luce alcune vicende della mia vita e ha dato nuova luce creativa per un nuovo romanzo che sta iniziando a prendere vita un po’ alla volta.

Roberto Cantarano

 

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