Intervista a Stefano Sciacca, autore del saggio “Prima e dopo il noir”

Lo scrittore torinese presenta un saggio di critica cinematografica che traccia la storia del genere noir americano

Stefano Sciacca è nato a Torino nel 1982. Laureato in giurisprudenza all’Università di Torino, ha studiato Human Rights Law presso la University of Oxford e collaborato con l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale. Pubblica: “Il diavolo ha scelto Torino” (Robin, 2014), “La vendetta di McKoy” (Europa Edizioni, 2014), “Fritz Lang, Alfred Hitchcock, Vite parallele” (Falsopiano, 2015), “Prima e dopo il noir” (Falsopiano, 2016) e “Sir William Shakespeare, buffone e profeta” (Mimesis, 2018)

  • Di cosa tratta la tua nuova opera “Prima e dopo il noir”?

Si tratta di uno studio multidisciplinare che, prendendo spunto dall’analisi dei capolavori del cinema nero hollywoodiano degli anni ’40 e ’50, affronta il tema della poetica della disillusione e del dissenso che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli dell’epoca moderna. Dunque, pur essendo questo testo formalmente destinato a quegli scaffali spesso molto scomodi che le librerie più fornite dedicano alla critica cinematografica, io ho la presunzione di considerarlo qualcosa di più: una riflessione, cioè, che coinvolge la storia della letteratura, quella dell’arte figurativa, la sociologia e la storiografia.

  • Vorresti spiegare, a chi non ha dimestichezza con i generi cinematografici, che caratteristiche devono avere i film per rientrare nel filone del Noir?

“Noir” sono stati definiti dalla critica francese degli anni ’60 un certo numero di film realizzati a Hollywood tra gli anni ’40 e ’50. Tali film erano accomunati da caratteristiche estetiche e ideologiche che, successivamente, sono state mutuate anche da altre produzioni, americane e non solo. Alcune di queste, tuttavia, contraddistinsero altresì esperienze coeve o persino anteriori: il realismo poetico francese, il neorealismo italiano, ma anche alcuni film di Kurosawa. I protagonisti di questo genere di film sono sempre dei marginali, in conflitto con la società in cui vivono e della quale non condividono principi e regole. Si aggirano per le vie della città (attraverso scenografie autentiche), perlopiù di notte, in mezzo a un’umanità indifferente o ostile. Gli antieroi noir hanno in comune tra loro un particolare codice etico e sovente si sentono legati l’uno all’altro da un vincolo di solidarietà che li distingue dal resto della cittadinanza, egoista e spietata. Le istituzioni, prima tra tutte la polizia, sono inette, corrotte, cieche di fronte ai mali che affliggono la società. Il crimine così finisce per essere strumento di sopravvivenza e speranza in un futuro diverso e migliore. Tuttavia gli antieroi noir sono destinati, o meglio predestinati, al fallimento che si manifesta sotto forma di finale beffardo. Il caso però non è il loro unico nemico: aldilà della crudeltà degli altri personaggi (uno dei cui tipi più ricorrenti è la donna seduttrice, spregiudicata e diabolica), costoro recano dentro di sé la condanna alla disfatta e si può dire che, con le loro umanissime debolezze, essi sono i peggiori nemici di se stessi.
In conclusione, ciò che davvero non può mancare a definire un racconto noir sono la concezione nichilista dell’esistenza umana e la particolare sfiducia nelle capacità della società e delle sue istituzioni di aiutare gli individui a riscattarsi da una vita di umiliazioni e sofferenze.

  • Il dissenso e la disillusione sono i temi più trattati nel genere noir. Vuoi parlarcene?

Il cinema Noir è un cinema realista, profondamente calato nella realtà sociale dell’occidente moderno. Rispetto a questa società il noir esprimere dissenso nei confronti dell’élite politica, economica e culturale che ha determinato condizioni di vita insopportabili per una grande massa urbana di reietti e marginali i quali, nonostante ogni sforzo, sono condannati a non poter mai realizzare i propri sogni di felicità. Il cinema noir racconta appunto storie di sogni di riscatto e redenzione e non è un caso che esso polemizzi nei confronti di una società la cui propaganda ha fatto del sogno (il sogno americano) un mito tanto seducente quanto bugiardo. Ma il sogno, che genera speranze e illusioni, è destinato ineluttabilmente al più tremendo dei risvegli, alla più cocente delle delusioni.

  • Che caratteristiche peculiari deve avere il protagonista di un film Noir? Ci sono canoni da rispettare nella delineazione della sua figura?

Non si può dire quali caratteristiche debba avere il protagonista di un racconto noir per essere tale, finché non si sia provato a raccontare una storia noir impiegando un protagonista parzialmente diverso che nondimeno funziona. Recentemente è stato compiuto un esperimento molto interessante: nel 2014 Dan Gilroy ha diretto “Lo sciacallo” / “Nightcrawler”, racconto di uno spregiudicato self made man, disposto a tutto, anche ai peggiori delitti, pur di riuscire ad avere successo. Per ambizione e cinismo, questa creatura gelida, notturna e solitaria corrisponde pienamente al protagonista tipico dei più duri e violenti film noir. Ma alla fine egli trionfa, più forte del caso, più forte persino del peggior nemico che potesse affrontare: l’immagine di sé, riflessa nello specchio in frantumi. Dunque una radicale, imprevista evoluzione rispetto al canone classico. Eppure ha funzionato. Egregiamente!

  • Perché specialmente nel cinema Noir classico ai suoi protagonisti non è concesso il lieto fine?

L’idea di un lieto fine è appunto contraria all’idea dell’esistenza umana che connota la poetica noir della disillusione. Non mancano esempi di finali in cui il protagonista – specie nella variante dell’investigatore privato che vive e opera ai margini della legalità, apparentemente motivato solo dalla prospettiva di un tornaconto materiale individuale – sembra imboccare la via che lo porterà a essere amato e ad amare (sì, anche ad amare se stesso). Ma a quale prezzo? La scoperta che il mondo, tutto attorno, è una minaccia in costante agguato.
Non esiste mai una composizione definitiva della crisi, ma solo un sollievo momentaneo. L’ombra delle colpe del passato incombe e a nessuno è possibile sfuggirle, giacché non esiste uomo che non abbia colpe.

  • Se potessi diventare regista, che tipo di film ti piacerebbe dirigere?

Non esiste genere di racconto che non possa offrire stimoli e opportunità. Non nego di subire il fascino del genere noir, forse perché la mia sensibilità corrisponde alla poetica del dissenso e della disillusione e perché in fondo trovo che un antieroe sia assai più credibile di un eroe. Detto questo, qualunque storia merita di essere raccontata, a patto che si trovi la maniera giusta di farlo. Una maniera individuale, originale, che diventi occasione per affrontare da una prospettiva nuova la vita e se stessi. Qualunque vero artista (chiunque cioè intraprenda l’attività creativa per il solo gusto di creare, senza alcuna garanzia di ottenere in cambio altro che il risultato della propria creazione) crea innanzitutto per sé, per dare sfogo a un’urgenza interiore, per cercare di alleviare inquietudine, tormento, l’impressione di incompiutezza. Persino un autore comico. Quanto a me, parlando di inquietudine e tormenti, avrei certamente l’imbarazzo della scelta!

  • So che stai pubblicando un nuovo romanzo dal titolo “L’ombra del passato”. Puoi darci qualche anticipazione sulla trama?

Si tratta di un racconto investigativo fortemente ispirato dal cinema Noir hollywoodiano. Ragione per cui, tra i primi ai quali l’ho sottoposto, ci sono stati il mio caro amico Silvio Alovisio, autore della prefazione a “Prima e dopo il noir”, e Steve Della Casa, critico cinematografico che ammiro e stimo, dal punto di vista umano non meno che dal punto di vista intellettuale. È stato lui a realizzare la nota introduttiva a “L’ombra del passato” e a far riferimento ad alcune pellicole neorealistiche di sapore noir (“Il bandito di Lattuada” e “Il bivio” di Fernando Cerchio). Citazioni pertinenti, considerata l’ambientazione del romanzo: la Torino dell’immediato secondo dopoguerra. Torino è protagonista assoluta del racconto, assumendo ora l’aspetto della frenetica città industriale che, come un gigantesco meccanismo, si rimette in moto trascinando nei suoi ingranaggi anche i propri impotenti abitanti, ora, invece, l’aspetto muto ed enigmatico della città metafisica, proiezione dell’inquietudine interiore dei personaggi alle prese con domande per le quali non sembra esserci risposta soddisfacente. Il protagonista è un investigatore privato avido, cinico, disilluso. Di quelli che crede d’aver già visto ogni cosa e di conoscere chiunque. Indubbiamente egli si dimostra un acuto osservatore dell’animo umano, ma indagando (vale a dire, innanzitutto, guardando dentro sé stesso), scoprirà quanto ancora il male possa sorprenderlo e quanto l’essere umano deluderlo. Per il resto, il romanzo è breve e spero agile, ma nel suo sviluppo ricorrono tutti gli elementi propri del genere: disillusione, cinismo, spietatezza e morte!

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