Ilaria Mainardi autrice de “Il racconto di un sogno”; l’intervista

Un interessante saggio sul capolavoro seriale di David Lynch

Ilaria Mainardi risiede a Pisa, sua città d’origine. Qui ha visto maturare l’amore per il cinema, scrutato col rispetto e la sospensione incredula che si deve a ciò che è al tempo stesso familiare e misterioso. Con LesFlâneurs Edizioni ha pubblicato il romanzo La quarta dimensione del tempo (2020). Collabora con il sito di critica cinematografica www.spietati.it.

  • Chi è Ilaria Mainardi, si presenti al pubblico?

Sono una grande appassionata di cinema, ragione principale della voglia di scrivere questo saggio dedicato a un artista contemporaneo, David Lynch, per il quale ogni definizione calza sempre troppo stretta. La passione è il motore primo, ciò che invoglia allo studio e fa accettare anche le delusione e gli inciampi. Qualche anno fa, quasi per caso, o meglio su richiesta di una giovane editrice, ho cominciato a dedicarmi alla scrittura. Per MdS Editore, ho poi pubblicato il libro per bambini, “Mastro Tasso e il suo cappello”, illustrato da Andrea Guglielmino, che è anche critico cinematografico, e con Les Flâneurs è uscito nel 2020 il mio romanzo di ambientazione americana, “La quarta dimensione del tempo”. Si tratta di una storia che vede al centro un viaggio, un ritorno, sia fisico che simbolico. E, come sempre, è un po’ anche una dichiarazione d’amore per quel cinema che ha forgiato il mio immaginario, che è stato la fucina dei miei sogni più belli (e tenaci!).

  •  “Il racconto di un sogno. Ritorno a Twin Peaks” è un saggio cinematografico che è stato il precursore del bingewatching, come è nato questo progetto editoriale?

Il progetto nasce dalla richiesta di un approfondimento per la rivista di cinema on-line, Gli spietati, con la quale collaboro da alcuni anni. Da questo primo embrione è scaturito poi un lavoro più ampio, che si propone di essere un viaggio senza approdo. Cercando di togliere da Twin Peaks un po’ di quella patina dogmatica, che talvolta rischia di soffocare la complessità dell’arte cinematografica (o cine-televisiva, in caso di opere che sembrano degli ibridi, per tipologia di linguaggio), ho provato, nei limiti delle mie possibilità, a lavorare per rimandi e per suggestioni. L’arte è magma e la mera comprensione razionale, intesa come percorso univoco da un punto a un altro, è una fontanella: c’è molto altro da indagare e si deve sperare, non di spegnere la brace che pulsa, ma di rinfocolarla con le proprie idee, le proprie intuizioni; con la propria voglia di non esaurire i significati, quanto piuttosto di stratificarne sempre di nuovi. Per quanto riguarda il binge-watching, si tratta di un fenomeno non correlato con una serie. Sociologicamente e forse anche psicologicamente è più complesso di quello che sembra. Difficile addentrarsi in simili argomenti senza banalizzare o peccare di moralismo, però credo che sia sempre opportuno riflettere sul concetto di “compulsione” nella società contemporanea. Uno dei rischi è che l’irrefrenabilità dell’impulso faccia perdere di vista la complessità intrinseca delle cose. La contemplazione – attiva, non estatica – della bellezza ha i suoi tempi.

  • Ci parli del simbolismo del mondo onirico, confuso e irreale della terza stagione della serie di David Lynch.

Ritengo che Lynch sia uno di quei registi sui quali è difficile appiccicare un’etichetta univoca. Ci si può provare, certo, ma, appena messa, già ci accorgiamo che non è quella giusta, che qualcosa ancora ci sfugge. Mi ha molto colpita una recente intervista a Walter Siti, pubblicata sull’Huffington Post. Lo scrittore, rispondendo a domande sul suo recente lavoro, Contro l’impegno, cita Engels e Balzac. Sostiene che un autore possa dire, grazie allo stile, “strumento di conoscenza autonomo”, qualcosa di inaspettato per lui stesso. L’arte, quella di David Lynch non fa eccezione, è un linguaggio che mischia e supera i linguaggi: è onirica come può essere iperrealista – e magari lo è nello stesso momento –, ci costringe a esercitare la facoltà dello sguardo obliquo, perché non è detto che la frontalità sia la prospettiva gnoseologicamente migliore. L’arte non mette al sicuro e non consola, fornisce domande più che risposte.

  • ll saggio è arricchito dalla prefazione di Luca Pacilio quali sono le riflessioni e gli spunti più interessanti?

Luca Pacilio, lo dico senza piaggeria alcuna, è un critico dotato di due doti che non è facile trovare insieme: acutezza e sensibilità.
La sua prefazione, ed è stato un vero onore che abbia accettato di scriverla, è un faro. Pacilio ha intuito, come meglio non avrebbe potuto, i miei scopi (persino più di me!) e ha saputo fornire ai lettori una mappa di consultazione colta e non ridonante.

  • L’opera è organizzata in quattro capitoli ce ne parla?

Il racconto di un sogno. Ritorno a Twin Peaks è in parte organizzato per cerchi concentrici, ovvero dal generale al particolare, e in parte si struttura secondo un principio tematico. Credo che sia un modo di procedere ordinato, che agevola la lettura e, allo stesso tempo, autorizza a non seguire la successione prestabilita, se si desidera “andare subito al sodo”. Il lettore troverà così una dissertazione che parte dalla fruizione contemporanea del prodotto audiovisivo, per arrivare alla figura di David Lynch, fino poi ad addentrarsi in modo più compiuto nel “racconto” vero e proprio, quello che riguarda la terza stagione di Twin Peaks.

  • Ha altri progetti editoriali in programma?

Per il momento ho soltanto qualche idea in fieri e un sacchetto ricolmo di sogni!

  • Cosa pensa dell’editoria italiana?

Posso parlare solo per l’editoria che ho conosciuto, quella fatta da piccoli imprenditori che lavorano in modo infaticabile per pubblicare e promuovere libri a cui sono affezionati, di cui vanno fieri. Spero che questa editoria, che fra le altre cose si batte per garantire una reale bibliodiversità tematica e stilistica, sia sempre più guardata con amore e rispetto sia dagli operatori del settore che dai lettori. La grande editoria è una risorsa importante, ed è probabilmente il sogno segreto (neppure troppo!) di tutti coloro che scrivono. Tuttavia esiste anche altro e non si tratta affatto di un campionato amatoriale. Per fare alcuni esempi: Edificio Fellini. Anime e corpi di Federico, scritto da Isabella Cesarini e pubblicato nella stessa collana di Il racconto di un sogno. Ritorno a Twin Peaks, ovvero Boulevard, è un saggio competente, intelligente, caratterizzato da una prosa raffinatissima. Oppure ancora, la trilogia di Michele Sabella, scritta da Ferdinando Salamino per Golem Edizioni, non ha davvero nulla da invidiare ai noir psicologici che raggiungono le vette della classifica editoriale. Ma potrei citare molti lavori di autori e autrici che stimo: Fabrizio Bartelloni (MdS Editore), Daniele Titta (CasaSirio), Rossana Papa (Les Flâneurs Edizioni) che sono eccellenti nella difficile arte del racconto, Sandra Faè che ha pubblicato con Maratta Edizioni un ibrido fra romance e chick lit, che ha De André come filo conduttore ideale ecc. ecc. E solo per citare alcuni talentuosi poeti, conosciuti meno di quanto meriterebbero: Laura Bertolini, Rossella Venusto, Alessandra Bava, Alessandro Cannavale. L’editoria è un mondo variegato, pieno di piccole, belle sorprese: vale la pena di esplorarlo compiutamente.

  • Come ha vissuto questo ultimo anno?

Parafrasando una celebre battuta di C’era una volta in America: “sono andata a letto presto”.

Guido Vaudo

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