Fast Animals and Slow Kids: “Forse Non è la Felicità” [Recensione]

La band perugina torna con un nuovo disco complesso e molto bilanciato. Un lavoro che segna la loro maturità artistica..

L’altro giorno andavo ad un concerto con un mio amico e dal mio stereo è partita “Saremo amici”. Quando ho iniziato a cantare «Posso rovinare tutto e lo farò, è una tendenza al disagio che non so più arginare..» il mio amico con aria seria mi ha detto testuali parole: “Questo è proprio il gruppo tuo”. Esattamente.
Per cui, caro lettore, se ti aspetti che questa sia una recensione caustica e piena di saccente sarcasmo, ti prego di desistere.
Questa è la recensione che aspettavo di fare da un po’, per poter scrivere finalmente di un disco che non vedevo l’ora di ascoltare, di una band che aspettavo di ritrovare da qualche tempo.
Loro sono i Fast Animals and Slow Kids, vengono da Perugia e io li amo tanto.
Il motivo del mio amore è esattamente quello che ha colto al volo il mio amico. Sono uno dei pochi gruppi italiani in grado di descrivere il disagio come mi piace che faccia una band: facendomi sentire loro amica, perché è chiaro che questi ragazzi si sentono inadeguati nei miei stessi momenti e per i miei stessi motivi, per cui non posso che voler loro un sacco di bene.

Ma torniamo a darci un contegno quasi professionale.
Il 3 febbraio è uscito il quarto disco dei Fast Animals and Slow Kids, “Forse Non è la Felicità“, edito da Woodworm.
Mettiamola così: forse non è la felicità, ma di certo è la maturità.

«Mettiti le scarpe che c’è da camminare» una delle prime frasi di “Asteroide“, il brano cui è affidata l’apertura del disco, che sembra infatti, preparare l’ascoltatore ad un disco che si presenta come un passo avanti del quartetto perugino che, mantenendo intatta la propria natura, ha dato vita a un lavoro che è la perfetta evoluzione di “Alaska“, il precedente disco datato 2014.
I temi sono sempre gli stessi, il disagio (a me tanto caro) è sempre là, però viene affrontato in modo diverso, quasi con una maggiore introspezione; la rabbia rimane, ma è come se adesso si fosse trovato un armistizio, una sorta di pace armata per imparare a conviverci.
Il tutto è veicolato dalla voce di Aimone sempre incredibilmente precisa, anzi, forse più di prima.
I brani sono un po’ (solo un po’ eh, perché il gigantesco muro di suono c’è sempre, per fortuna) più melodici rispetto ai dischi precedenti, dando così maggior risalto ai testi che si fanno ancora più intensi ed il risultato è una sorta di equilibrio fra l’impatto della musica e quello delle parole che dimostra il raggiungimento di quella maturità artistica di cui parlavo prima.

Uno dei migliori brani è “Annabelle“, primo singolo del disco che è l’esempio perfetto di questo equilibrio, ritmo incalzante ed un testo bellissimo, quasi struggente («Io provo tutto e fa male davvero»).
Si passa poi a “Fiumi di corpi“, che inizia come una ballad, ma poi si impone come il più classico dei brani dei FASK, dal ritmo veloce e le chitarre imperanti, ed è il pezzo che più degli altri mi ha convinta che anche questo disco live sarà una bomba atomica, come tutti i concerti di questi ragazzi e che, già che ci sono, vi consiglio vivamente di andare a sentire dal vivo.

Menzione particolare va fatta per “Ignoranza”: il testo di questa canzone è una meraviglia, se avessi saputo scrivere e se avessi avuto un qualunque talento artistico penso che avrei potuto tranquillamente scriverla io.
Ed ecco che per la seconda volta devo darmi un tono.
Dicevo.
Il risultato è un disco complesso e molto bilanciato, che permette di comprendere in pieno tutti i pregi di questa band. Ogni pezzo dà l’idea di essere stato studiato, pensato e concordato fra tutti i membri della band in ogni minimo dettaglio, a dimostrazione del fatto che questi ragazzi sono cresciuti, e sono cresciuti bene.

 

Federica Dell’Isola

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