Buon compleanno Lucio Dalla

Bologna si prepara al tributo del grande cantautore

Sette anni senza: ma ciò che resta di lui non può smettere di esistere. Il prossimo 4 marzo 2019 Lucio Dalla avrebbe compiuto 76 anni, a un pugno di giorni dalla data che ce l’ha portato via, per un attacco di cuore, il 1 marzo del 2012. Certo è che la sua Bologna non si piega volentieri alla retorica dei “santini” e dei piagnistei da necrologio, ma preferisce guardare al meglio e al vero. Quindi ha deciso di celebrare non la morte, ma la nascita, di questo suo cittadino affezionatissimo, in perfetta sintonia con un’indole a cui l’artista bolognese era intimamente legato. “Io ci ho provato a vivere altrove – diceva – ma è sempre stato come tendere un elastico, alla fine dovevi mollarlo e mi catapultava lì”. Questa città dal metabolismo vitale e in continua ebollizione di stimoli, eventi, situazioni, sentimenti. La “rossa e fetale” di gucciniana memoria, abbondante di tutto: politica, cultura, poesia, libri, incontri. La Bologna che germina musica: dalla poesia in parola dagli anni sessanta in poi a quella più recente degli scenari indie ed elettro-pop.
E poi la Bologna dei tavoli, tanti: da quelli tradizionali da osteria a quelli verdi dei circoli frequentati in compagnia, che si sposano alla società del progresso e dell’integrazione. La colta giocosità conviviale di una cultura che unisce locale e globale, aperta all’interconnessione e alla liquidità condivisa. È ancora questa la città in cui potremo incontrare di nuovo Lucio Dalla, grazie alla rassegna “Così mi distraggo un po’. Tre giorni con Lucio”, al via dal 2 fino al 4 marzo. Dal sabato al lunedì (giorni a perfetta misura di turista, dunque) saranno coinvolti nel tributo diversi luoghi della città del capoluogo emiliano: il Teatro Comunale, la Cineteca, la meravigliosa casa (oggi casa-museo) in cui l’artista viveva, nella via d’Azeglio in cui era così facile incontrarlo fra un caffè, una bevuta e due chiacchiere da bar. Proprio lì, a pochi metri dalla Piazza Grande che anche grazie a lui è entrata nelle antologie di letteratura, come simbolo della libertà di seguire le proprie inclinazioni: “Una famiglia vera e propria non ce l’ho, e la mia casa è Piazza Grande. A chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho”.

Ma torniamo alla festa. Tre giorni, si diceva: un programma ideato dalla Fondazione Lucio Dalla nell’ambito del Patto di Collaborazione siglato con il Comune di Bologna. Non si tratterà di solo ricordo, ci tengono a sottolineare gli organizzatori, ma di vera e propria presenza: perché Lucio Dalla esiste, ed è un bene comune. Il programma snoderà un percorso fra i luoghi più amati dal cantante, ma è l’apertura della sua casa a rappresentare la vera chicca. Un’occasione davvero speciale per esplorare un universo privato e artistico che ha elevato l’intensità a ragione di vita, costruendo un’alchimia di oggetti di pregio, rarità da collezione, atmosfere e aneddoti: quella volta che suonò con Chet Baker, quell’altra in cui giocò al calciobalilla con Andy Warhol.

Poter entrare in questo mondo è più di un tributo. È il privilegio di conoscere i moltissimi oggetti “parlanti” che hanno popolato il mondo di idee, parole, ispirazioni, rituali, di un artista dall’estro inesauribile, che racchiudeva in sé – parole sue – l’animo efficiente del nord e l’indole sensuale dell’amato sud (in cui diceva, fra l’altro, di aver scoperto il senso del Sacro, e di averlo declinato in una religiosità pagana e caotica). Ogni stanza di casa Dalla (o “Prof. Domenico Sputo”, scherzoso pseudonimo che aveva scelto per il campanello) rappresenta una storia. E ogni storia racconta di una canzone. Non poteva mancare la stanza Caruso, questo è ovvio. Che è la sala dei capolavori. Vale a dire il salone dove ha la sede Pressing Line, etichetta discografica fondata e presieduta da Lucio Dalla, che negli anni è stata artefice di alcuni tra i suoi album di maggior successo. E che ha lanciato molti talenti del panorama musicale italiano (da Luca Carboni a Samuele Bersani, fino al più giovane Pierdavide Carone) attestandosi in un ruolo di talent scout non così comune in un ambiente spesso avaro di veri maestri. Dalla lo era,e diceva di venire acceso dalla vitalità di chi ha voglia di sapere e di crescere. Dei giovani, dunque. Valicava i muri, simbolici e anagrafici. Proprio come i due personaggi della sua canzone, che in una Berlino spezzata, amandosi, pensavano di chiamare loro figlia “Futura”.

C’è anche un mattone del muro di Berlino, in questa prodigiosa casa dei ricordi del Prof. Domenico Sputo. Il polistrumentista dei nostri cuori dal cuore fragile, che forse è diventato angelo. Ma che anziché stare nelle processioni, siede fumando una Marlboro al dolce fresco delle siepi.

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