“Il Conte di Montecristo”: Un libro eterno, senza fine e senza confini

Un feuilleton devastante e coinvolgente apprezzato da intere generazioni. Un turbine di emozioni nelle loro peggiori degenerazioni sociali ed esistenziali

Le Erinni non sono solo personificazioni mitiche, esse dimorano negli angoli più ascosi dell’anima, nella parte più oscura della nostra coscienza. Il volto della vendetta assume le dolci pieghe di una donna, ma può essere anche il sangue ribollente di un ragazzo, di un giovane al quale tutto è stato tolto nella più atroce delle ingiustizie

L’arte dell’Ottocento ha raggiunto il suo culmine quando ha mescolato il folle riso con la più imperterrita discesa nelle tenebre.
Il male assoluto di cui è pregno il XIX secolo mostra il vuoto gelido e vertiginoso, illimitato e senza confini che domina la coscienza moderna. E straordinario e moderno è il grande romanzo di Alexandre Dumas, credo non vi sia lettore che non abbia lacrimato dinanzi alla forza di volontà del protagonista, alla disperazione senza scampo di Edmond Dantès.

Dunque immaginate un giovane ufficiale di marina, alto e forte, bello come giovinezza comanda e nel pieno di tutte le più ardite facoltà dello spirito, pronto a coronare il suo sogno di felicità. Un mattino, che sembrava fluire come tutti gli altri, si ritrova imbrigliato dalle insidiose trame di due rivali e di un ambizioso magistrato. Dantès viene arrestato a Marsiglia il giorno stesso del suo matrimonio e rinchiuso per ben quattordici anni nell’oscuro castello d’If. Anni infernali che nessun essere umano può immaginare, nessuna creatura dovrebbe soffrire a quel modo; se un inferno esiste è certamente quello che con la nostra malvagità contribuiamo a creare giorno dopo giorno. Quante volte Dantès avrà pensato di togliersi la vita, per far cessare il dolore cronico dell’anima prima che del corpo. Una cella dove non si ode che il mare tutt’intorno, persino la naturale bellezza delle onde lì si tramutava in angosciosa attesa del nulla. Un nulla fatto di mura spesse, pietre fredde e scheggiate, topi, ragnatele, silenzio di tenebra rotto da lamenti e gemiti, chiavistelli e rumore di catene trascinate, le urla dei carcerieri che risuonavano come volgari rutti. La Restaurazione dopo il dominio napoleonico si affaccia alla mente di chi legge con il volto cereo dell’ingiustizia, inferta ad un ragazzo che assumerà le sembianze dello spietato e misterioso e gelido Conte di Montecristo.

Pubblicato nel 1844 il romanzo si apre con l’arrivo a Marsiglia di un bastimento a tre alberi, il Faraone, che veniva da Smirne, Trieste e Napoli. L’anno è il 1815 (lo stesso del Congresso di Vienna), il mese febbraio e il giorno il 24. Ho così scandito la data di ambientazione perchè possiate ricordare che gli anni, i mesi e i giorni della nostra vita – se scevri di una chiara periodizzazione – sono destinati scivolare nell’imbuto stretto dell’oblio.
Si tratta di un anno maledetto per il protagonista, avrebbe dovuto essere quello della svolta, del sogno coronato come lo sono il giorno e l’ora dei matrimoni felici.
Invece il sogno di felicità verrà infranto dal maglio della cattiveria umana, la legge dei potenti si abbatterà sugli umili e come in una sorta di congiura superiore, gli oppressi saranno costretti dalla turpe aristocrazia al bavaglio dei sentimenti. «Una bella ragazza dai capelli corvini, dagli occhi vellutati di gazzella, era in piedi, appoggiata a un tramezzo;  […]  le sue braccia nude fino al gomito, braccia brune che sembravano modellate su quelle della Venere di Arles, fremevano con impazienza febbrile, mentre batteva il suolo con il piede agile e arcuato, in modo che si intravedeva la forma pura, fiera e ardita della gamba, fasciata da una calza di colore rosso a rombi grigi e blu» Questa è Mercedes nella mirabile descrizione che ne fa Dumas e come nell’Iliade di Omero è per amore di una donna che si muoverà guerra.
Mercedes è un’Elena che causerà indirettamente la sofferenza di Edmond Dantès, poichè la sua bellezza è tale che Fernand Mondego pur di conquistarla darà di piglio ad un meschino stratagemma. Sbarazzarsi di Edmond cominciò ad essere un pensiero costante e tormentoso per Fernand, sino alla celebrazione dell’abominio al quale prenderanno parte una schiera di tipi umani tra cui si staglia la figura di un ambizioso magistrato.

Alla base vi sono quelle che psicologi e psichiatri chiamano “malattie dello spirito”, l’invidia generata dalla gelosia mette in scena un teatro dell’orrore dove a dominare sono i sentimenti negativi. La gelosia di Fernand si tramuterà presto in una insopprimibile invidia, disposizione che induce l’uomo a godere del male altrui e a rattristarsi, al contrario, dell’altrui bene innescando una reazione a catena che imprigionerà Dantés nel castello d’If.
La vendetta spietata sembra essere l’unica strada percorribile e da quel momento la reclusione fisica sarà il luogo dell’anima, dove l’immaginazione e l’ingegno potranno liberarsi e dare il meglio.
L’atto del vendicarsi appare a Dantès come l’unico mezzo attraverso il quale opporsi e combattere la prosopopea di chi crede di essere onnipotente e di aver già vinto. Ma, come gli insegnò l’abate Faria, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria. Ogni volta che a un corpo viene applicata una forza, esiste un altro corpo che la esercita. La terza legge della dinamica di Newton, o principio di azione e reazione, stabilisce che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. In questo caso l’azione è quella dell’ingiusta condanna comminata a Dantès mentre la reazione si identifica nella nascita del Conte di Montecristo.

Moralmente si può affermare che a dare vita a Montecristo sia stata la malvagità e l’insana ambizione umana. Paradossalmente sono stati coloro che hanno esercitato violenza a generare colui che li avrebbe brutalmente perseguitati.
L’incontro con l’abate Faria si rivelerà decisivo per Edmond. L’anziano abate era povero, malandato e senza alcun potere; però egli possedeva un segreto che rivelerà solo dopo aver dotato Edmond di una forza immensa. Affrancherà il giovane dall’ignoranza, gli insegnerà la filosofia, la storia, la scienza, la matematica, svelerà il mistero della meridiana che misura il tempo, lo preparerà a difendersi sia intellettualmente che fisicamente. I quattordici anni di carcerazione si tramuteranno in quattordici anni di studio, tirocinio e addestramento. Doteranno Edmond delle migliori armi per progettare la vendetta e vivere per celebrarla. Solo dopo essersi abbeverato alla fonte del sapere gli sarà concesso di affondare le mani nell’incalcolabile tesoro dell’isola di Montecristo. L’abate Faria era conscio che il potere materiale e utilitaristico avrebbe portato alla corruzione il giovane, se non gli avesse insegnato a controllarlo e se non fosse riuscito a trasmettergli un’etica fondata sulla cultura e sul sapere.

Giuseppe Cetorelli

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