Zen Circus: intervista esclusiva sulla Terza Guerra Mondiale

Tra rabbia, potenza punk-rock e new wave si è parlato di guerre, di provincia italiana, di "combat-folk" e di Nick Cave...

La Terza Guerra Mondiale” è il nuovo disco degli Zen Circus. La band pisana è tornata con un lavoro graffiante, forte e coraggioso: dall’energia di “L’anima non conta” alla provocazione di “Pisa merda“, dai ritmi serrati di “Terrorista“alla coda eclettica di “Andrà tutto bene“, “La Terza Guerra Mondiale” è un concentrato di rabbia, di potenza punk-rock dalle derive new wave. Una decisa svolta dopo “Canzoni contro la natura“, un ritorno alle origini ma con un occhio a nuove sonorità. Un’autentica bomba sul panorama indie italiano.
Un quadro preciso e completo dei nostri giorni.

Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Karim Qqru, batterista del gruppo, con il quale abbiamo parlato di guerre, della provincia italiana, di “combat-folk” e di Nick Cave.

 

– “Una guerra mondiale ancora / per cominciare una nuova era”: secondo voi una Terza Guerra Mondiale in uno scenario tormentato come quello dell’epoca in cui stiamo vivendo è effettivamente possibile?

Beh, il pianeta Terra ha 196 stati riconosciuti sovrani: in questo momento 67 nazioni sono coinvolte in conflitti bellici. Un terzo del mondo è in guerra. Credo che questa sia già una guerra mondiale, ovviamente diversa a livello geopolitico e militare dai due conflitti bellici del secolo breve.

 

Vi definiscono “combat-folk”: vi trovate in questo termine? Se doveste usare una parola per definire la vostra musica quale sarebbe?

Credo sia la prima volta che sento questo termine accostato alla nostra musica, e, opinione personalissima, la trovo una definizione molto distante dal nostro lavoro. Folk-punk-rock e power-pop calzano meglio secondo me.

 

La copertina del disco è il simbolo di oggi. Da un lato il progresso della tecnologia e un mondo che “sta bene”, che si fa i selfie sui social network e va agli aperitivi e dall’altro un mondo devastato dai bombardamenti: due mondi separati da chilometri ma alla fine sfondi della stessa fotografia. Sono due mondi così lontani? Le guerre odierne, reali, sono così distanti da noi?

Le guerre odierne avvengono in posti lontani dal suolo italico: sono coinvolte nazioni con nomi strani che spesso non siamo nemmeno in grado di pronunciare correttamente. Non siamo più abituati al tanfo dei cadaveri che marciscono per le nostre strade, sono passate tre generazioni dalla fine della seconda guerra mondiale e siamo così (fortunatamente) abituati alla pace che un attentato che causa 50 morti (fatto ordinario e giornaliero in molti angoli del globo) ci lascia frastornati, shockati e basiti per mesi.

 

– “Pisa Merda” è una dichiarazione di amore/odio nei confronti della vostra città natale, ma potrebbe esserlo anche della provincia italiana in generale e per provincia intendiamo le città che non sono “Milano, Roma o Berlino”: la provincia è davvero priva di stimoli? Dal punto di vista della musica com’è oggi Pisa, cos’è cambiato della vostra città?

La provincia è un luogo colmo di contrasti e contraddizioni. Un contesto sociale in cui il ricambio di gente è limitato crea inevitabilmente dei dossi a livello relazionale e collettivo. Come diciamo spesso la provincia ci ha dato cose grandi e tremende… Cesare Pavese ma anche i sassi dal cavalcavia. Abito fuori dalla Toscana da 5 anni, e, se devo essere sincero, sono tornato a Pisa forse solo 3\4 volte nell’ultimo lustro, di conseguenza non sono molto informato sulle novità musicali cittadine.

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– “Voglio cadere e non aver paura del dolore / voglio ridere e gridare fino a svenire / voglio piangere senza dovermi vergognare / spaccare cose senza poi doverle riaggiustare / voglio esser stretto forte fino a soffocare / signora questo è il terrorismo che io voglio fare”: cos’è secondo voi il vero terrorismo al giorno d’oggi?

Il tema terrorismo è fin troppo abusato nell’era post 11 settembre. A mio avviso è un mezzo usato per fini politici ed economici e non sempre ha a che fare con bombe e kamikaze, anzi.

 

La coda di “Andrà tutto bene” è davvero suggestiva: si immaginano macerie, il mondo come lo conosciamo oggi che infine crolla e voi che al termine chiedete il giusto silenzio. Da dove avete trovato l’ispirazione per questo pezzo quasi strumentale così apocalittico?

La coda finale è nata in sala prove durante un’improvvisazione. Partii con quel tempo di batteria suonato con il rullante senza cordiera ed il ride percosso con una bacchetta per timpani orchestrali: Ufo ed Andrea hanno iniziato a jammare ed in pochi minuti abbiamo creato la base ritmica, melodica ed armonica. Poi in studio di registrazione Andrea ha fatto un lavoro eccellente filtrando voci e postproducendo le chitarre.

 

Nel 2013 avete incontrato Nick Cave a Berlino dopo un suo concerto. Questo mese è uscito il suo nuovo disco, “Skeleton Tree”. Che ne pensate? Quali altri dischi usciti in questo periodo vi hanno entusiasmato? E quali invece state aspettando con trepidazione?

Nick Cave lo abbiamo incontrato nel 2009 in Australia, mentre eravamo in tour con Brian Ritchie per presentare “Villa Inferno”. L’ho sempre preferito nei Birthday Party, ma anche la carriera con i Bad Seeds è di altissimo livello, ed ho tutti i suoi album. “Skeleton Tree” è molto cupo, un disco spesso e nero… ma raramente King Ink sbaglia un colpo. Ultimamente ho ascoltato molto i Converge, gli Alabama Shakes, l’ultimo di Aphex Twin, Giovanni Truppi e Steve Reich. Ieri ho scoperto Giorgieness girellando su Spotify, una bella sorpresa ed una voce notevole.

 

Avete collaborato con Brian Ritchie dei Violent Femmes in passato. Con chi altro vi piacerebbe collaborare?

Un personaggio che amiamo tutti e tre è sicuramente John Fogerty. Personalmente mi piacerebbe molto suonare con Kurt Ballou, Greg Anderson, Han Bennink e Mike Skinner.

 

Il futuro degli Zen Circus: il tour e poi?

Questa volta non faremo la pausa per i dischi solisti, abbiamo tanta voglia di suonare insieme e stiamo già pensando a scrivere i pezzi per il disco nuovo.

 

Francesca Marini

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