Svizzera 1954: Il riscatto mondiale del popolo tedesco (Speciale Mondiali -Part.6)

Il miracolo della Germania Ovest contro la squadra d'oro ungherese

C’era una volta la squadra più forte di tutti i tempi…

Dopo il fallimento della spedizione in Brasile del 1950, la guida tecnica della nazionale italiana passò da una mano all’altra senza risultati soddisfacenti. Il primo a provarci fu Piercarlo Beretta detto Carlino, titolare della celebre industria di produzioni di armi bresciana, che rimase sulla panchina azzurra giusto in tempo per rimediare la figuraccia olimpica di Helsinki ’52, uscendo dal torneo ai quarti di finale. Beretta rimase in carica fino al maggio 1953, quando si arrivò ad una commissione tecnica composta da Angelo Schiavio e Silvio Piola, che videro nell’ungherese Lajos Szeizler (vincitore di 8 titoli con squadre di club fino ad allora) l’uomo giusto per rilanciare il football made in Italy.

Del resto in quel momento il calcio ungherese era di gran moda: la nazionale magiara, e l’Honved di Budapest che ne costituiva l’ossatura, avevano seminato bel gioco, reti e spettacolo in tutta Europa, raccogliendo ovunque applausi, consensi e vittorie. Fu proprio la nazionale magiara ad eliminarci con un secco 3-0 da quelle olimpiadi finlandesi, e a festeggiare l’alloro olimpico nella finale di Helsinki battendo per 2-0 la Jugoslavia. La vittoria alla olimpiadi non fece altro che allungare la striscia di imbattibilità che l’Aranycsapat (“squadra d’oro” in ungherese) aveva iniziato nel 1950. Per questo motivo, ma sopratutto per il grande spettacolo che lo squadrone magiaro riusciva ad offrire sul campo, l’Inghilterra invitò Puskas e compagni a confrontarsi in uno scontro amichevole a Wembley, fissato per il 25 novembre 1953. Se l’Ungheria aveva dalla sua una striscia di 24 incontri senza sconfitta, gli inglesi potevano vantare un ‘Home  Record‘ (imbattibilità casalinga) che durava da 90 anni. Un invincibilità che cadde inesorabilmente con un tennistico 3-6, replicato sei mesi dopo a Budapest da un umiliante 7-1.

 

Nonostante i disastri delle guerra, ed una generazione di campioni giunta all’apice con la finale del 1938 persa contro l’Italia, l’Ungheria riuscì e riemergere e a mettere su uno squadrone davvero leggendario. L’asso indiscusso dei magiari era Ferenc Puskas, colonnello dell’esercito, dotato di una classe immensa e della celebre staffilata a pelo d’erba. Le altri splendenti stelle erano Nandor Hidekguti, autentico cervello di metà campo e per questo considerato uno dei primi registi classici della storia del calcio moderno, Sandor Kocsis, implacabile centravanti e Zoltan Czibor, fortissima ala sinistra. Con questi uomini, dopo il successo nei Giochi Olimpici di Helsinki, l’Ungheria si presentò come favoritissima del Mondiale 1954.

 

La Fifa festeggia i 50 anni con un mondiale casalingo

Era un’Europa frastornata e letteralmente in ricostruzione quella che si affacciava alla prima metà degli anni ’50. Dopo la colorata esperienza brasiliana, la Fifa volle rispettare la regola dell’alternanza col SudAmerica e decise di assegnare ad un paese del vecchio continente l’organizzazione della 5^ coppa del Mondo. Alla fine la scelta ricadde sulla Svizzera: sia perché alla Fifa sembrò una buona idea celebrare il 50° anniversario dalla fondazione organizzando il Mondiale in casa (la sede è tutt’ora a Zurigo), sia perché il paese elvetico, avendo poco patito le barbarie della guerra, era quello che certamente disponeva delle risorse economiche necessarie per affrontare un’avventura di quel tipo.

 

Alle qualificazioni parteciparono 45 selezioni provenienti da tutto il mondo, comprese Germania (diventata Ovest dopo la divisione a tavolino) e Giappone, escluse come abbiamo visto dalla precedente edizione. Poche sorprese per l’assegnazione dei 14 posti in palio (due spettavamo di diritto a Svizzera e Uruguay per essere rispettivamente paese ospitante e campione in carica): su tutte l’eliminazione della Spagna, legata ad un episodio tanto bizzarro quanto curioso. Gli iberici dovettero vedersela contro la Turchia, ma la vittoria per 4-1 di Madrid e la sconfitta 1-0 subita ad Istanbul, mandarono le due squadre allo spareggio. La partita si giocò a Roma il 17 marzo 1954, ma il 2-2 del campo non stabilì quello che di fatto costituiva l’ultimo posto da assegnare. Non essendo ancora stati introdotti i calci di rigore, fu il sorteggio di Franco Gemma, 13enne bambino romano, a far volare la Turchia in Svizzera rispedendo a casa gli sfortunati spagnoli. Completavano il quadro delle 16 partecipanti Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania Ovest, Inghilterra, Italia, Jugoslavia, Scozia ed Ungheria per l’Europa, Brasile e Messico per l’America, Corea del Sud per l’Asia.

 

Non finivano però qui le bizzarrie di questa edizione della Coppa del Mondo: confermata la formula a 4 gironi da 4 (che resterà in vigore fino al 1970), per la prima volta vennero individuate due teste di serie a raggruppamento; oltre a condizionare la composizione dei gironi, questa discutibile formula prevedeva che le due squadre più forti non si sarebbero affrontate. Questo sistema, che fortunatamente nacque e morì in Svizzera, generò situazioni di favoritismo, innescando polemiche e controversie fra tutte le eliminate. Le prime due di ogni girone avrebbero poi dato il via alla fase ad eliminazione diretta partendo dai quarti di finale.

 

L’edizione 1954 della Coppa Rimet fu la prima trasmessa dalle televisioni. Se da un lato l’ingresso delle telecamere negli stadi portava nelle case degli appassionati quello che venne definitivo ‘il più grande spettacolo del mondo‘, dall’altro toglieva forse un po’ di poesia al calcio stesso, da sempre raccontato ed ascoltato alla radio, dove la fantasia di ogni radioascoltatore  trasformava ogni sterile sgambata in un dribbling leggendario.

 

Altra figuraccia azzurra, L’Ungheria non ha avversari

La tragedia di Superga impoverì sensibilmente il nostro calcio, sia a livello di club che di nazionale. Il catenaccio cominciò a diventare il metodo di gioco più utilizzato, facendo stragi di 0-0 o di vittorie col minimo scarto. Questa desolante situazione si rispecchiò anche in Svizzera, dove il tecnico Czeizler ci mise del suo sbagliando due formazioni su tre. L’Italia esordì nel torneo perdendo per 2-1 contro i padroni di casa, un partita mal giocata in cui l’arbitro brasiliano Viana certo non ci favorì annullando il regolare gol del 2-1. Il successo sul Belgio per 4-1 nel secondo turno, e la concomitante sconfitta degli elvetici per mano degli inglesi, portò ad uno spareggio per l’accesso ai quarti di finale ancora contro la Svizzera. Se il primo incontro andò male, il secondo finì addirittura peggio: il 4-1 con cui i rossocrociati ci surclassarono ci eliminò dalla competizione e permise loro di avanzare assieme all’Inghilterra. Nessun problema, invece, come da pronostico, per il bolide ungherese, che con il 9-0 alla Corea del Sud e l’8-3 alla Germania Ovest si assicurò il passaggio del turno; assieme Puskas e soci si qualificarono proprio i tedeschi, i quali dovettero ricorrere allo spareggio contro la testa di serie Turchia (sconfitta con un sonoro 7-4 dopo il 4-1 del girone) per accedere ai quarti. Brasile ed Uruguay, le protagoniste dell’ultimo mondiale, passarono con facilità il turno; dietro di loro Jugoslavia, che batté a sorpresa la Francia per 1-0 estromettendo i transalpini dalla competizione, ed Austria, che tenne fede allo status di testa di serie vincendo entrambe le partite del suo girone.

 

I quarti di finali si aprirono con Svizzera-Austria, gara che segnò il record assoluto, ancora oggi imbattuto, di reti segnate in un incontro di Coppa del Mondo: 12. A spuntarla per 7-5 furono gli austriaci. Del resto i mondiali svizzeri, con 140 reti in 26 gare, rimangono i più prolifici di sempre, con una media di oltre 5 gol a partita. Lo stesso giorno si giocò anche Uruguay-Inghilterra, altro match ricco di gol che vide prevalere i campioni in carica per 4-2. Il day-two dei quarti di finale propose quella che poteva benissimo essere considerata una finale anticipata: Brasile-Ungheria. I verdeoro, nelle cui fila si cominciavano ad intravedere talenti come Djalma Santos, il futuro viola Julinho, e Didì, ci provarono con coraggio. Inutili le reti di Djalma Santos e Julinho: i gol di Hidekguti, Lantos e la doppietta Kocsis infransero bruscamente, e per l’ennesima volta, le speranze mondiali dei carioca. L’ultimo quarto di finale mise di fronte Germania Ovest e Jugoslavia.

Devastata dalla guerra e divisa in zone manco fosse un tabellone di Risiko, la Germania iniziò lentamente a rivivere, ma per tornare a parlare di sport si dovette aspettare fino al 1948. La rinnovata federazione calcistica riorganizzò il campionato nelle tre zone di occupazione delle potenze occidentali, e nel 1950 la neonata Germania Ovest esordì in campo internazionale battendo la Svizzera per 1-0. I giocatori più rappresentativi erano il portiere Turek, i centrocampisti Morlock e Fritz Walter, quest’ultimo autentico faro della metà campo tedesca, e il potentissimo panzer Rahn in attacco. Dopo il pesante 8-3 rimediato nella gara contro l’Ungheria, la condizione dei tedeschi era andata in crescendo. Nonostante i favori del pronostico, la Germania ebbe non poche difficoltà nel giocare contro gli slavi. Alla fine ci vollero un clamoroso autogol di Horvath ed un gol segnato a 5′ dal termine di Rahn per piegare la Jugoslavia e volare in semifinale.

 

In Semifinale toccò ai campioni in carica dell’Uruguay saggiare la classe degli scatenati ungheresi: nonostante lo 0-2  di inizio secondo tempo, la Celeste recuperò lo scarto pareggiando nell’ultimo quarto d’ora grazie alla doppietta di Hohberg. Nei tempi supplementari venne poi fuori la superiorità dei magiari, che con Kocsis in 5′ misero il doppio punto esclamativo su una vittoria che li trascinava in Finale.

Sulla sua strada l’Ungheria si sarebbe trovata la Germania Ovest, esaltata dal perentorio 6-1 rifilato ai cugini austriaci.

Al vecchio Wunderteam rimase la consolazione della medaglia di bronzo, unico traguardo ottenuto in Coppa del Mondo, conquistata dopo il 3-1 all’Uruguay nella finalina per il 3/4° posto.

 

Il miracolo di Berna.

Secondo i pronostici i tedeschi rappresentano un buon sparring partner per i disinibiti ungheresi, ruolo che la Germania aveva già svolto con ‘successo’ nel primo turno beccando 8 reti. L’Ungheria non arrivò però nelle migliori condizioni all’appuntamento del 4 luglio. I magiari cominciavano ad accusare un po’ di stanchezza già mostrata nella semifinale contro l’Uruguay, e le condizioni non ottimale di Puskas, alle prese con un problema alla caviglia, sembravano poter diminuire il gap tra le due compagini. In realtà però i primi 10′ della gara avvalorarono la tesi che vedeva l’Ungheria già con la Coppa Rimet in mano: dopo soli 8′ Puskas e Czibor portarono a 27 i gol realizzati in 5 partite dell’attacco magiaro, un 2-0 che faceva presagire ad un replay-match della gara giocata nel girone. I tedeschi però, non persero la bussola: diligentemente orchestrati da Fritz Walter, non più giovanissimo ma ancora dotato di grande visione di gioco ed ordine tattico, trovarono non si sa dove e come la forza di reagire. Morlock, 2′ dopo il raddoppio di Czibor, accorciò le distanze con un tocco sottomisura. L’Ungheria continuò a giocare in scioltezza, ma il buco di portiere e difesa su un corner permise a Rahn di segnare al 18′ il gol del pari, 2-2. La reazione dei magiari si concretizzò nel palo colpito da Hidekguti, ma nonostante la veemenza offensiva il primo tempo si chiuse in parità .

 

La ripresa si trasformò in una dura battaglia senza esclusione di colpi, un clima certamente più adatto ai rudi calciatori teutonici che ai talentuosi giocatori magiari. L’estremo difensore tedesco dovette superarsi in più di un’occasione per impedire ai magiari, apparsi visibilmente a corto di fiato, di portarsi nuovamente in vantaggio. Le due faticose partite contro le sudamericane influenzarono la lucidità degli ungheresi: Puskas fallì due occasioni che in condizioni migliori non avrebbe mai sbagliato, e Czibor centrò due volte i legni. Questa serie di occasioni mancate convinse i tedeschi che l’impresa era possibile, e a 6′ dalla fine accadde l’inevitabile: la velocissima azione d’attacco partita dai piedi di Walter portò il pallone a Rahn, che evitato l’intervento di Lorant lasciò andare un gran tiro che si infilò a fil di palo alla destra del portiere. La reazione orgogliosa dei magiari si spense sul fischio dell’inglese Ling, che al 90′ annullò a Puskas una rete a molti apparsa regolare. Ungheria a tappeto, la Germania Ovest era campione del mondo.

 

Gli Ungheresi persero, ad un passo dal trionfo, un titolo che forse meritavano più ogni altra squadra. Il presidente Fifa, dopo aver consegnato la coppa ai tedeschi, si congratulò con un frastornato Puskas augurandogli una prossima volta. Quello in realtà sarebbe stato l’ultimo volo dell’aquila magiara, la favola del calcio ungherese, così come la strepitosa striscia di 32 risultati utili consecutivi, si fermò sotto la pioggia di Berna.

 

Già all’indomani della finale, cominciarono a circolare voci più o meno verosimili che cercavano di dare una spiegazione all’inaspettata sconfitta dell’Aranycsapat. Le prime critiche andarono all’arbitro inglese Ling, reo si di non aver convalidato a Puskas il gol del pareggio a tempo scaduto, ma autore in realtà di una direzione tutto sommato positiva. Addirittura si arrivò a dire che le autorità magiare avessero venduto la partita in cambio di una cospicua fornitura di trattori, indispensabili per risollevare l’agricoltura del paese. L’ipotesi meno fantasiosa, e forse più plausibile, giustificava la strepitosa crescita di condizione dei tedeschi nel corso della manifestazione da un massiccio utilizzo di doping. Non a caso, alcune settimane dopo la finale, alcuni giocatori tedeschi furono colpiti da uno strano morbo itterico che li costrinse ad abbandonare temporaneamente l’attività.

 

Nel giro di pochi anni, dopo la sommossa del 1956 e l’invasione delle truppe sovietiche, i grandi nomi del calcio magiaro fuggirono all’estero. Compreso Puskas, che trovò nuova gloria in Spagna tra le file del Real Madrid, componendo con Di Stefano e Gento il trio delle meraviglie che regalerà alle Merengues 5 Coppe Campioni consecutive.

Carlo Alberto Pazienza

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SPECIALE MONDIALI:

> “World Cup Story -Il gioco più bello del mondo” (Part. 1)
Uruguay 1930 (Part. 2)
Italia 1934 (Part. 3)
Francia 1938 (Part. 4)

> Brasile 1950 (Part. 5)

Svezia 1958 (Part. 7)
Cile 1962 (Part.8)

 

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