Spiritual Front: intervista per ferite aperte

Il fronte musicale che ci mette anima e spirito

È un fronte musicale di tutto rispetto quello degli Spiritual Front. Nati qualche anno fà da un’idea di Simone Salvatori (voce e chitarra acustica) ed oggi giunti ad una formazione più definitiva con Andrea Freda alla batteria, Federico Amorosi al basso e Giorgio Condemi alla chitarra elettrica, gli Spiritual Front regalano, con modestia e inusuale semplicità, affascinanti attimi di luce ed oscurità, come la sola logica del contrasto può insegnare a fare.

All’indomani del lancio di “Open Wounds” (2013, Tristol), un cofanetto a doppio cd in edizione limitata, che propone in veste più orchestrale alcuni del loro cavalli di battaglia, il quartetto romano padre fondatore del suicide pop, risponde tra il serio e il divertito ad alcune domande prima di uno dei loro ultimi concerti in Italia e si scopre come in fondo nulla si ottiene senza dedizione, costanza, passione e serietà.

Per cominciare una domanda forse per voi un po’ banale e sicuramente che vi avranno posto un miliardo di volte: “Spiritual Front”, alla lettera “Fronte Spirituale” da dove salta fuori?

Simone: In realtà a me piace il contrasto che c’è tra “spiritual” e “front”. Che poi non è un vero contrasto, ma se ci pensi un attimo “spiritual” richiama qualcosa di molto spirituale e “front” invece è più qualcosa di azione, d’imponente, qualcosa di drastico, di forte. “Spiritual” richiama alla mente il mistico, l’aulico, che non ha niente a che vedere con l’azione in termini materiali: è un contrasto bello e anche secondo me abbastanza passabile.

E dunque sei te che l’hai imposto, non è stata un’idea di gruppo?

Simone: No, ma in realtà il gruppo l’avevo iniziato da solo. Una cosa che avevo iniziato così, tra quattro mura tra fine ’99 e inizio 2000. Ma poi io, come ho scritto anche nella nota all’interno di “Open Wounds”(ndr loro ultimo album), non è che ho cominciato a fare queste cose con l’idea che nel giro di qualche anno “io farò il gruppo e espanderò la cosa, comincerò a fare del vino, etc. etc…”

E allora cosa facevi all’epoca?

Simone: Che non facevo!(risa). Ma intendi nella vita di tutti i giorni? Mi ubriacavo spesso (risa), e stavo in fissa con cose tipo il folk più scuro, un certo tipo di cinema, un certo tipo di letture, e poi stavo a casa quindi..

Eri uno studente quindi?

Simone: Sono stato uno studente per tanti anni, ma facevo tante cose perché lavoravo, studiavo, facevo svariate attività. Poi avevo anche gruppi un po’ più metal, ma coltivavo parallelamente questa passione per le cose più folk, industrial fino a quando mi sono detto “fammi provare a fare qualcosa di mio” e da lì poi un po’ alla volta, step by step…

E step by step hai recuperato degli amici per mettere su una band?

Simone: Amici è un parolone (risa). No, poi ho recuperato gente con cui ho cominciato a collaborare. Lui per esempio (indica Andrea, il batterista) è quello che c’è sin dall’inizio. Poi si sono susseguite altre persone, ma questa diciamo è la formazione, quella un po’ più definitiva.Ti aspettavi risposte un po’ più fighe, sono stato un po’ noioso (risa)?

Al limite quando trascrivo l’Intervista posso metterci del mio…

Simone: Qualcosa di eccitante (risa).

La vostra musica invece viene spesso etichettata “nihilist suicide pop”, ma se si va su google e si cerca velocemente nihilist+suicide+pop non si trova nulla, fuorché dei link che riportano proprio a voi. Quindi come padri fondatori e detentori di questo genere potete dare una delucidazione in merito?

Simone: Ma io più che altro uso “suicide pop”, c’è il “nihilist folk” e il “suicide pop”. Poi si, è vero anche che prima mettevamo sempre sulle t-shirt la scritta “nihilist”, che in realtà è questo approccio punk del nichilismo, cioè del rifiuto di verità precostituite e di conseguenza il “nihilist” allude un pò a quello.

Quindi è una distinzione solo a livello concettuale o anche musicale?

Simone: Più a livello concettuale. Anche se “suicide pop” si rifà forse di più a quello musicale, che è “pop”, però “suicide” e pure qui c’è il contrasto: “suicide” è qualcosa di radicale, di definitivo e pop…

E pop è forse qualcosa di più commerciale?

Simone: No ..di popolare, perché il commerciale è differente. Perché pure gli Slayersono commerciali, pure i Marlyn Manson sono commerciali: nel senso che vendono, fanno tanti concerti, cosa che non vuol dire essere pop. Tu puoi essere pop ed essere un gruppo di merda, non commerciale, è un contrasto anche qui.

Quindi voi siete un gruppo pop non commerciale?

Simone: Pop di merda (risa).

Io non ho detto niente! (risa)

Simone: L’hai pensato però (risa). Questo del pop è un concetto sempre molto interpretabile.

E comunque l’hai data te per primo questa definizione, voglio dire è uscita dalla tua bocca?

Simone: Si si perché “sucide pop” dà l’idea, dà il senso di un pop, un po’ sghembo, un po’ oscuro, se non ti piace lo cambio però (risa)

No, però sarebbe bello avere una definizione più generica da poter applicare poi anche ad altri gruppi.

Andrea: Ma è questa in realtà la cosa bella, il fatto che sia legato soltanto a noi e non agli altri gruppi.

Federico: Potresti riassumerlo con “suicide catch ballads for heartbreakers nihilist youth…” (risa)

Simone: No però guarda “suicede pop”, lo metti come un “pop” che affronta tematiche un po’ più decadenti, un “pop decadente”, un “pop negativo”.

E sempre a proposito di generi, è possible secondo voi attribuire al vostro sound una sorta di forza, di virilità, mascolinità o è solo un’impressione?

Simone: Si, nella nostra musica inoltre ci sono anche dei richiami a un certo tipo di cinema virile.

Federico: Noi suoniamo macho (risa).

Simone: Sensuale, c’è dell’iper-sensualità.

Federico: Anche perché la nostra musica è suonata e quello fa molto la differenza.

Simone: I nostri riferimenti sono tutti maschili comunque.

“Open Wounds” è invece il nome del vostro ultimo album, uscito in edizione limitata (solo 2000 copie per tutto il mondo!)

Simone: Si perché è un box un po’ particolare..

..dove voi proponete una rivisitazione di alcuni dei vostri brani più celebri, più una traccia inedita…

Simone: Celebri è bello, magari fossero celebri (risa).

Ma cosa vi ha portato a concepire questo nuovo lavoro?

Simone: Perché in tutti questi anni mi avevano spesso richiesto di stampare I lavori vecchi, ma a me i lavori vecchi facevano schifo, sia per un discorso di produzione, di copertine, di arrangiamenti, di etichette: era proprio come un “open wounds”, una ferita aperta che io volevo chiudere e non parlarne più. Quindi alla fine, siccome è capitato che hanno ristampato delle cose senza il mio consenso, mi sono detto “perché ristampare questa robba vecchia e brutta che a me non piace? Possiamo provare a risuonarla più arrangiata, più leggibile, più capibile”.

E invece sempre ultimamente su YouTube è stato diffuso il vostro nuovo video per “Song for the old man”. Una sorta di western all’italiana con la partecipazione tra l’altro di Gianni Garko. Perché quest’ambientazione?

Simone: In realtà il bello è che siamo anche un po’ appassionati di western, soprattutto quelli italiani e con questo video non volevamo fare un western in costume, di tipo ottocentesco ma piuttosto proporre un richiamo a quel tipo di western che se tu vai in alcuni posti degli Stati Uniti trovi ancora adesso. Nel cinema d’altro canto, il western all’italiana è stato un genere molto importante, che comunque ha ricalcato le orme del western Americano ma l’ha fatto anche in maniera più interessante, più eccitante, anche meglio di certi western americani. Tant’è vero che i western successivi, quelli degli anni ’60 e ’70 si sono rifatti proprio ai western italiani. Però che mi hai chiesto, mi sono scordato (risa)?

Perché hai fatto questo video?

Simone: Perché in verità mi è capitato di conoscere Garko, per delle interviste che gli feci per una tesi, quando stavo all’università e rimasi in contatto con lui e gli proposi questo video. Quindi decisi di fare il video, il pezzo si prestava, chiesi a lui se voleva partecipare e quindi abbiamo fatto un po’ una storia che poteva andare in direzione proto-western, new-western. Garko ha accettato e ha voluto comunque entrare nello script e rifare un po’ tutta la cosa e quindi il video è stato anche un po’ tagliato e cucito sul suo personaggio. In ogni caso ci ha fatto piacere, perché lui è una sorta di leggenda del western italiano, ha accettato di lavorare con noi quindi noi siamo stati contentissimi e siamo andati nella direzione data da lui che comunque si rifaceva bene a questa figura del vecchio.

E infatti com’è uscito questo pezzo? Chi è in realtà questo “old man”?

Simone: Ma io in realtà l’avevo scritto pensando a mio nonno, però sotto c’è il concetto -che poi si ripete sempre un po’ in tutti I testi degli Spiritual Front- di questo legame, questo conflitto tra genitore, figlio, autorità, cittadino, il conflitto tra gli amanti, c’è sempre chi vuole inculcarti delle conoscenze, insegnarti qualcosa, c’è sempre questa lezione che torna costantemente.

Quindi l”old man” alla fine è?

Simone: Un riferimento alla generazione e un riferimento culturale. Sul video è abbastanza chiaro è il concetto edipico fondamentalmente, che poi si riallaccia anche con il discorso del nichilismo: della distruzione del modello che ti precede, del modello culturale che ti ha creato, questo circolo di distruzione e ri-creazione.

Curiosando invece sulla vostra pagina facebook a parte le numerose “merchandising pic”, ovvero le foto dei vostri fan in tutto il mondo con magliette, cd e quant’altro marchiato Spiritual Front, si scoprono anche delle più intime e intriganti performance di Simone (come quella dello scorso aprile accessibile a solo 50 persone nella cripta Borromeo nel cuore di Roma). Di cosa si tratta? Cos’è questo curioso legame con la Chiesa?

Federico: In realtà dovevamo pagare il disco e l’ingresso era 350 euro a testa (risa).

Simone: Ma in realtà se fai un certo tipo di musica è normale che ci siano delle locations che si “confanno” di più, quindi chi ha organizzato ha pensato bene che quelli fossero i contesti giusti per gli Spiritual Front.

Sono ormai celebri le vostre collaborazioni con I Death in June e Ordo Rosario Equilibrio. Ne prevedete di altre in futuro o ormai gli Spiritual Front sono solo gli Spiritual Front?

Federico: Ora ne prevediamo una prossima con Beyoncé (risa).

Simone: No, al momento non è stato pianificato nulla.

Andrea: Spesso non è cosi facile organizzarsi. Per esempio Tomas (ndr Tomas Pettersson, leader degli Ordo Rosario Equilibrio) ha chiesto un sacco di volte di suonare con loro, ma in realtà l’abbiamo fatto soltanto una volta al Festival di Lipsia, abbiamo organizzato un paio di pezzi con Simone e loro.

Simone: Abbiamo fatto uno “scambio” (risa). Dobbiamo fare “Satyriasis 2”, un altro split, ne abbiamo parlato ma non si sa quando: un conto è dire, un conto è fare.

E invece voi non vi stancate di suonare sempre suicide pop? A parte gli scherzi quando non suonate la vostra musica che musica ascoltate?

Federico: Ma per il prossimo disco abbiamo pensato di trasformare “suicide pop” in “suicide girls” che si addice proprio con la virilità di cui parlavamo prima (risa). No in realtà quando non suoniamo e ascoltiamo altra musica, ascoltiamo solo i dischi nostri! (risa).

Giorgio: Non penso che nessuno di noi ascolti gli Spiritual Front a casa.

Simone: Io si.

Federico: Io solo Spiritual Front e il metal degli anni 80.

Andrea: E poi abbiamo ascolti veramente quasi a 360°.

Simone: A parte merda tipo hip pop, rap, che nessuno di noi ascolta.

Federico: Anche perché tu prendi da qualsiasi cosa.

Giorgio: Dipende anche dai momenti: a volte hai voglia di ascoltare una cosa, a volte altro.

Federico: Poi dipende anche dallo studio dello strumento.

Andrea: Pensa che brutto ascoltare solo un genere?

Simone: E’ come fare l’amore sempre nella stessa posizione. Guarda abbiamo comunque tutti degli ascolti sull’alternative rock, new-wave.

Andrea: In realtà non puoi chiderci cosa ascoltiamo, perché non finiremo più di dirti.

E come gruppo italiano, visto che ormai tutti conoscono fin troppo bene le problematiche e gli aspetti negativi legati al nostro bel Paese, cerchiamo per una volta di vedere quelli positivi e quanto conta secondo voi il vostro “made in Italy”?

Federico: Ma quali problemi? (tono ironico)

Simone: Ma guarda posso dirti subito una cosa, posso essere sincero? Io in tutti questi anni che ho bazzicato I locali, I musicisti etc. etc… io ho sentito tutti che si lamentano, però effettivamente non ci sono o meglio sono poche le persone che fanno qualcosa di concreto per cambiare questa situazione. Tutti che dicono l’Italia è un paese di merda, poi quando tocca a loro: “no oggi non posso suonare perché devo uscire con la fidanzata”, “oggi devo andare a giocare a calcetto”, cioè è quella l’attitudine capito? Quindi o ti stai zitto o no che ti lamenti. Si lamentano perché in Italia non fanno niente, poi fanno un concerto e non ci si va perché bisogna prendere la macchina, costa 10 euro..

Noi guarda suoniamo parecchio all’estero, se mi chiamano a fare una data in Russia ci vado, in Messico ci vado, poi sono anche realistico e sono consapevole che non posso campare della mia musica, non è che con questo posso comprarmi una macchina, una casa. Il discorso è che ci può stare l’anno in cui tu fai 300 concerti e vendi più dischi, poi magari l’anno dopo hai solo tre date: quindi devi essere previdente e mettere i soldi da parte e trovarti un’attività che ti permetta poi di suonare, sono rare le persone che riescono a fare solo musica. Io ho sempre fatto lavori di merda che mi permettessero poi di andare a suonare.

Ma comunque la vostra origine italiana è importante o no per la vostra musica?

Simone: E’ importantissima, è fondamentale. E ti dico pure questa cosa. Noi suoniamo parecchio all’estero perché appunto c’è quella componente italiana, chiamala anche stereotipo: quindi completi eleganti, certi riferimenti alla musica popolare italiana, ma io penso che qui potrebbe dire qualcosa anche Andrea (tono ironico), vero Andrea?

Andrea: Hai già detto tutto tu (risa).

Simone: Nel senso che se tu giochi a fare l’americano non ti crede nessuno, non funziona, non è tuo, ok? Noi poi cantiamo in inglese perché è una sorta di codice, di linguaggio internazionale che ci permette di essere comprensibili e funzionare anche all’estero.

E come considerate la scena musicale italiana?

Andrea: Ma il panorama italiano secondo me è più che valido, c’è molta robba interessante.

Simone: Che poi però si disperde, perché non c’è costanza nel lavoro, non c’è serietà.

E per finire una domanda a risposta diretta: qual’è la canzone con cui vi identificate di più?

Giorgio: “Cruisin”

Andrea: A me una che piace tanto è “Bare Knuckle Boy”.

Federico: Per me sono due tanghi: “Cold Love in a Cold Coffin” e “Bastard Angel”.

Simone: A me registrate, su disco “Hey boy” e “Soul Gambler“.

E da fare dal vivo?

Andrea: Io con “Darkroom” mi diverto tanto.

Simone: Ah “Darckroom Friendship”. Io mi diverto con tutte, dal vivo forse più “Bastard Angel”.

Daniela Masella

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