Runa Raido: “Il Primo Grande Caldo” [Recensione]

Testi lucidi ed impietosi. Un sound compatto ed esistenziale, ma trascinante. Una band romana specchio di storie ormai comuni e drammi repressi

Sono sempre molto esitante nel metabolizzare una indie rock band italiana, conosco il rock alternativo nostrano, ne conosco le paludi. C’è un sound che si sente spesso tra gli emergenti, fatto da intenzioni alternative ma allo stesso tempo pulite, tessitrici di fila rock ma non per questo sporche per forza, spesso tutto ciò non è nulla di eccitante. Tuttavia, devo ammetterlo, i Runa Raido m’hanno sorpreso.

 

Sarà che il “Kutso Noise Home” di Matteo Gabbianelli dove è stato registrato il disco ha trovato il giusto compromesso. Non lo so, bravi, bravi tutti, ma forse è la scelta dei modelli delle chitarre, forse sul serio quel sound i Runa Raido ce l’hanno davvero nella pelle, così com’è, come lo si sente. Finalmente, ecchecazzo!

Musica e testi d’autore amici, si, possiamo dirlo, con sorprendenti sonorità tutte italiane. Parole amare, decisamente contrariate verso le realtà socio-culturali e dissimulatrici delle nostre credenze.

 

Ecco allora che il ritornello incalzante di “Michele“, il primo pezzo, sta li a dimostrarcelo, per scardinare tutte le convenzioni della “bestia” che preme… che poi sarà “seme”, tra forze matrigne e un impetuoso rock! Gran bel pezzo.

 

Al tempo dei fuochi” coinvolge per una linea melodica instabile e mutevole, con un arrangiamento che allo stesso modo varia lasciando tuttavia un sostegno solido, compatto. Ottima prova compositiva.

 

Poi arriva il protagonista di “Il Primo Caldo“, con cui ci identifichiamo per comprensione, tra ricordi e speranze, fendenti che ancora sanguinano, nel tempo che passa… da cui imparare a camminare e respirare, su un brano che invece non finisce mai.

 

Con “Estate Torna” i sentimenti si quietano, ma solo per penetrare più a fondo. Arrivano gli arpeggi, una ritmica più composta, ci cullano le tastiere, arrivano le parole a tinteggiare un quadro impressionista. Ma qui non si cede a nulla, è l’atmosfera che conta. C’è speranza… a ballare senza il tormento della morte.

 

Si continua alla faccia delle “Buone Maniere“, e allora, fanculo a tutto e tutti! Contro i simulacri degli impacchettamenti, i “trucchi” politici.. Qui si suda alternative… a modo loro. Una maniera che ci piace.

 

L’Ep si conclude con una cover di Fabrizio De André, talmente sentita che i Runa Raido riescono a fare una cover come cristo comanda, ossia secondo un “personale” tributo all’arte, innanzitutto, di quell’artista, che poi è il Faber… e il pezzo è “La Domenica delle Salme“, c’è poco da scherzare.

 

Insomma, un’eccellente rivalutazione della lingua italiana e purezza d’intenzioni, sebbene si rimanga nelle “tradizioni” rock nostrane. “Il primo grande caldo” è un album senza troppi orpelli, schietto, trasversale, può piacere, può piacere a molti… e sarebbe un bene.

Fatale

 

 

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