Massive Attack @Auditorium Parco della Musica (Roma) – 07/2016

Un rimando continuo tra passato e attualità e in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente a quello che gli viene mostrato e suonato..

Dicesi “blocco dello scrittore” quella forma di ansia che ti fa cancellare tre volte l’incipit perché appare banale, forzatamente ironico… ora tiro contro il muro il portatile, appicco fuoco a casa e inizio una nuova vita lontana da tutti, nutrendomi di licheni e parlando con gli uccelli. Quelli che cinguettano, non quegli altri, ché se parlavo con questi ultimi forse ero fidanzata con qualche ex presidente del consiglio e altro che ansia da prestazione, mi compravo un ghost writer e lo obbligavo a scrivere mentre io davo mille baci a Fuffi, il mio spumoso Bichon Frisè.
Stavamo dicendo? Ah sì, che se mio nonno aveva tre palle era un flipper e io non starei fissando da mezz’ora il muro, pensando a come parlare del concerto dei Massive Attack.

Proverò così: sono andata a vedere i Massive Attack.
Partiamo subito dal presupposto che qualsiasi cosa una qualsiasi persona decide di fare è sempre soggetta a critiche, amplificate da quella cassa di risonanza che è il web. Italiani, popolo di poeti, santi e opinionisti.
Togliamoci il dente, in quest’ultimo tour sono state mosse al gruppo le seguenti critiche:
1) Il prezzo del biglietto non era adeguato alla durata del concerto. Troppo alto il primo, troppo breve il secondo.
2) A Firenze, Robert Del Naja, uno dei fondatori del gruppo di Bristol, ha avuto un calo di voce e alcune canzoni hanno fatto cagare.
3) Sono risultati freddi.
Tutto vero o quantomeno plausibile. Ma quando si tratta di situazioni in cui la parte emotiva gioca un ruolo importante, non ci sono verità assolute. Per uno che si lamenta, ce ne sarà un altro con emozioni diverse e altrettanto rispettabili.

 

Io arrivo all’Auditorium Parco della Musica già maldisposta dalle cose lette in precedenza, dal “non è tanto il caldo quanto l’umidità” (fatto sta che io sono già unticcia e i capelli si stanno arricciando sulla fronte e va bene l’estate addosso, ma c’ho pure l’ascella commossa), dall’aver attraversato tutta Roma e anche dal problema delle doppie punte, non si sa mai.
Poi però incontro una coppia di amici che non vedo da tempo, la Cavea è piena di un pubblico eterogeneo e di lì a poco rivedrò un gruppo dopo otto anni dall’ultimo live a cui avevo assistito.

Massive-Attack-int Alle dieci meno un quarto (minuto in più minuto in meno), i Massive Attack salgono sul palco. Per chi non li conoscesse, direi che è ora di recuperare questa terribile lacuna e nessuno si farà male. Vederli dal vivo è un’esperienza che va provata almeno una volta, perché di vera e propria esperienza mi sento di parlare. La loro forza è riuscire ad accompagnare lo spettatore attraverso un percorso a metà tra sonno e sogno, una sorta di dormiveglia attivo.
La scaletta, se pur priva di pezzi storici come “Karmacoma“, attinge da album vecchi (“Hymn Of The Big Wheels” da “Blue Lines“) al più recente Ep “Ritual Spirits“. Due batterie, sei componenti fissi più vari ospiti alla voce, i Massive Attack regalano un’esibizione serrata e precisa, in cui la parte visuale predomina.

Qualcuno ha parlato di una band fredda. Dal mio punto di vista il gruppo di Bristol, invece, è volutamente rimasto nell’ombra, come mero accompagnatore del pubblico all’interno di un’esibizione. A farla da padrone sono gli schermi alle spalle dei Massive Attack, dove vengono proiettate frasi (in italiano e non), immagini, nomi e codici, in un rimando continuo tra passato e attualità e in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente a quello che gli viene mostrato. C’è spazio per l’argomento Brexit, il terrorismo, personaggi storici, dichiarazioni di solidarietà e messaggi di speranza. I suoni si susseguono veloci, coinvolgenti e alienanti allo stesso tempo. Il pubblico è sospeso tra il lasciarsi andare e la necessità di mantenersi vigile, la Cavea rimbomba sul basso di “Angel” e il cuore spinge contro la cassa toracica.
Il tempo insieme è quasi finito, c’è tempo per “Unfinished Sympathy” cantata magistralmente da Deborah Miller, sullo schermo appare la scritta «Siamo tutti in questa situazione insieme», il pubblico si alza in piedi, è quasi una liberazione.  Mi guardo intorno, vedo i sorrisi e le mani rivolte al cielo, penso a tutti quelli morti in una situazione come la nostra. Penso a chi è morto cantando, chi amando, chi combattendo, penso alla potenza che può avere l’amore quando non è banalizzato.

I Massive Attack vanno via e noi veniamo sorpresi da un’esplosione di fuochi di artificio. Una pacchianata? Un’azione voluta per richiamare altro?
Io so solo che questa serata mi ha coinvolta esteticamente ed emotivamente, ci ha ricordato cose che continuiamo a dimenticare, forse l’hanno fatto in maniera un po’ sorniona, ma mentre lascio l’Auditorium più povera di qualche euro e più sudata di quando sono entrata, mi sento tutto sommato felice.

 

Agnese Iannone

 

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8 Comments

  • il problema è che credo che loro portino in giro il loro show come mestieranti . la differenza poi lo fa lo stato emozionale delle persone e quanto sono mosse dall’amore verso il gruppo …. questo rende ancora belli questi spettacoli
    tenendo sempre conto che stiamo parlando di geni assoluti

    • discorso interessante
      che poi e’ gia’ qualche anno che lo show sono identici , compreso questo…..
      comunque sia sono d ‘ accordo con A. Iannone …… mi trovo in sintonia con le sue emozionali riflessioni :)))

  • vabbe’ si, fanno serate di mestieranza da qualche anno. ma come si fa a rimanere impassibile e a non emozionarsi gia’ solo a rileggere questo report di Iannone. brava l’ autrice a cogliere il senso di questo concerto. i massive attack sono grandi in assoluto

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