La magia dell’incipit

Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore… Il dono di farsi amare egli lo possedeva dentro di sé, per così dire nella propria natura, senza dover ricorrere ad artifici

Penso a tutti quei libri rimasti chiusi, adagiati sugli scaffali di una libreria e che nessuno comprerà. Penso anche alle biblioteche pubbliche poco frequentate e a quelle domestiche che ricevono solo qualche spolverata periodica. Ogni volta che la mia mente viene attraversata da questi pensieri una domanda sorge ostinata: perché non leggere anche soltanto l’incipit di un romanzo? Sono sicuro che se tutti facessero questa semplice operazione il numero dei lettori crescerebbe, quantomeno i fruitori della letteratura contemporanea.

Nel corso della storia gli incipit delle opere letterarie sono mutati: nel XVIII e XIX secolo gli attacchi erano concepiti per una consumazione lenta, fatta per pochi e profondi lettori.
Nella contemporaneità gli esordi sono progettati per catturare immediatamente il lettore, più alfabetizzato ma meno attento, renderlo edotto sin da subito delle intenzioni o “maleintenzioni” di chi scrive.
La velocità che permea la nostra vita quotidiana ha imposto un cambiamento all’arte dello scrivere, occorre essere disadorni e coinvolgenti sin da subito per evitare che il lettore si stanchi e metta via il libro prima di aver terminato il capoverso iniziale. La verbosità fiacca le buone intenzioni del lettore contemporaneo, il quale corre e lavora a ritmi esasperati. Spesso senza sapere il perché di tanta frenesia lascia un libro che non riesce a rapirlo.

Quella che mi accingo a compiere è una breve navigazione tra gli incipit memorabili, ho cercato di toccare continenti e nazioni di provenienza di ogni singolo capolavoro. L’opera che fonda la letteratura americana è “Moby Dick” di Herman Melville, «Chiamatemi Ismaele» è uno degli esordi più belli che abbia mai incontrato.

Dal Nordamerica spostiamoci verso il Sudamerica e andiamo a scoprire il Realismo magico di Gabriel Garcia Marquez e il suo capolavoro: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». (“Cent’anni di solitudine“).

L’epifania di ogni opera ha la funzione di immergere il lettore in un’atmosfera che ne condizionerà irrevocabilmente la disposizione d’animo. Come la tonalità di una sinfonia evoca immagini liete o meste, “l’intonazione” d’esordio di un romanzo ci aiuta a vivere pienamente la storia.

Dalla letteratura latinoamericana arriviamo in Europa e resuscitiamo un grande classico nostrano: «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi…» (“I promessi sposi“).
La sapienza descrittiva di Alessandro Manzoni ci induce quasi a scorgerlo il lago, di avvertirne le brezze di superficie dietro l’ultima fronda che nasconde la bellezza.

In Europa è nato anche il romanzo più lungo della letteratura occidentale, “Alla ricerca del tempo perduto” è l’immensa cattedrale letteraria di Marcel Proust: «Per molto tempo sono andato a dormire presto. A volte, appena spenta la candela, i miei occhi si chiudevano così subitamente che non avevo nemmeno il tempo di dirmi: “Mi addormento” e, mezz’ora dopo, il pensiero che era tempo di cercare il sonno mi svegliava; volevo posare il libro che credevo di avere tra le mani, soffiare sul lume; non avevo smesso dormendo di riandare con il pensiero a ciò che avevo letto, ma quelle riflessioni avevano preso una piega un po’ particolare; mi sembrava di essere io stesso l’oggetto di cui il libro parlava: una chiesa, un quartetto, la rivalità tra Francesco I e Carlo V». (“Dalla parte di Swann – Alla Ricerca del Tempo Perduto“).

Talvolta si incontrano esordi che suscitano orrore, disagio, paura. A mio giudizio occorre affrontarli per vincere una possibile ignavia dell’intelletto, per conoscere le nostre angoscie e tutte quelle sensazioni che sappiamo essere presenti, ma che evitiamo per comodità: «Destandosi un mattino da sonni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto…». (“La metamorfosi” di Franz Kafka).

Verso la vecchia Europa spira forte il gelido vento russo. Quelle latitudini hanno donato all’umanità grandi geni letterari, Lev Tolstoj è uno di questi. Le sue tematiche volte verso l’alto denudano la nostra anima e pongono l’uomo dinanzi agli aspetti più misteriosi della religiosità: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». (“Anna Karenina“).

Qualche anno prima nacque Fëdor Dostoevskij, uno scrittore/filosofo che ha tramutato la letteratura in escatologia, ovvero in un ragionamento continuo sugli stadi ultimi dell’uomo. Prendendo per mano il lettore, gli fa “conoscere” Dio, la sua irraggiungibilità e al contempo la sua ineludibile presenza nei destini dell’uomo. Gli aspetti esistenziali sono presenti in nuce come un filo invisibile ma inflessibile, a cui tutto il tessuto narrativo soggiace: «Alla fine di novembre, durante il disgelo, il treno della linea ferroviaria Pietroburgo-Varsavia si andava avvicinando a tutta velocità, verso le nove del mattino, a Pietroburgo». (“L’idiota“).

Ora per quanto acutamente e mirabilmente si analizzi un racconto, un romanzo, una composizione musicale o un quadro, ci sarà sempre qualcuno che rimarrà indifferente, qualcuno che non sentirà il brivido lungo la schiena, qualcuno che non si commuoverà. Questione di sensibilità culturale e di intelligenza emotiva. Per dirla con il poeta americano Charles Bukowski: «A ciascuno il suo inferno».

Giuseppe Cetorelli

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