“Il demiurgo è un ibrido”: Kubin e il racconto di un incubo

I romanzi e le grafiche di Alfred Kubin trascendono la realtà

Di primo acchito i lavori di Alfred Kubin ci inquietano, ma poi ci illuminano con la loro straordinaria forza immaginifica. Sono indagini sulla correlazione indissolubile tra Vita e Morte, le quali sempre in coppia e in lotta, come in un macabro matrimonio,  definiscono il grottesco banchetto dell’umanità.

 

Viene definito, dallo stesso autore, come romanzo fantastico, ma in realtà “L’altra parte“, di Alfred Kubin, può essere letto come un rappresentazione letteraria del mondo dell’inconscio umano.

Al di là di classificazioni e dei giudizi della critica, la penna di Kubin, come la sua matita, ci regalano una potente e spettacolare visione dei nostri incubi.

Influenzato dalla psicanalisi, aveva intuito la presenza di una “realtànascosta che preme sulla psiche dell’individuo in maniera inconsapevole; la sua capacità è stata quella di saper rappresentare quest’inconscio in maniera sublime. Attraverso l’arte e la letteratura ha creato mondi onirici dove plasmare e rendere concreti realtà di sogni, in cui la morte, il bizzarro e il macabro la fanno da padrone.

 

Die Andere Seite” (1908), venne scritto in 12 settimane, ed è un vero e proprio incubo razionale, in cui il lettore si trova immerso in un mondo poco rassicurante e in cui l’inconscio prende forma; il tutto corredato da 52 splendide illustrazioni.

Per comprendere appieno l’opera di Kubin, bisogna ricordare che, l’autore stesso, la considerava come la raffigurazione “artistica” dei suoi incubi notturni e diurni (ovvero ad “occhi aperti”). È questa in effetti la chiave per “accedere” pienamente alla sua arte.

La trama del romanzo è molto semplice, ma bisogna leggere tra le righe.

È il racconto di una città, Perla, capitale del Regno del Sogno, retta da un monarca assoluto, Claus Patera, che raccoglie antichità da ogni parte del mondo per costruirla, resti di umanità da qualsiasi nazione per popolarla, e promette ricchezze e felicità eterne. In questo regno il nuovo ed il progresso sono banditi.

Perla, come tutto il Regno del Sogno, è perennemente avvolta da un’atmosfera crepuscolare e pervasa da odori strani, sgradevoli.

Il protagonista, l’io narrante,  alterego di Kubin (tanto è immedesimato col suo personaggio che non lo chiamerà mai per nome, dall’inizio alla fine della narrazione), vi è attratto col miraggio di una rivincita nei confronti della sorte maligna, ci vive, si vede al colmo della sua fortuna, poi cambia qualcosa…

La città finisce per divenire una prigione che trattiene i suoi abitanti con una forzata apatia, una noiosa monotonia che è allo stesso tempo continua incertezza che logora l’anima.

Perla è una visione. Quando la nebbia si dirada, si scorge un mulino dall’aria sbarazzina, una palazzina ottocentesca con una smorfia triste, un fiume noioso ma dal corso implacabile. Perla sa di oppio e nuvole, e la cui stessa esistenza è precaria e sconsiderata.

Nel Regno del Sogno si seguono leggi particolari, regole che spesso ridicolizzano la normalità del mondo esterno, la sua materialità sfrenata e la banalità delle convenzioni. L’esistenza sembra trascinarsi su binari precostituiti: una sorta di forza onniveggente, di orwelliana memoria, riequilibra le cose ogni volta che si verifica un cambiamento, dando la sensazione di non essere mai veramente padroni del proprio destino. L’artificiosità del Regno comincia a diventare intollerabile per il mostro protagonista. Claus Patera è una presenza invisibile ma allo stesso tempo onnipresente, un dio imperscrutabile che dalle profondità del suo palazzo avviluppa uomini e cose in una sorta di sortilegio, un potere occulto dallo scopo oscuro.

Quando il Nuovo fa la sua irruzione in questo luogo, sotto le spoglie dell’americano Hercules Bell, «re della carne in scatola», ciò comporta il crollo e la definitiva scomparsa del Regno insieme alla morte pressoché totale dei suoi abitanti ad eccezione del narratore il quale riuscirà, da sopravvissuto (a prezzo però di una persistente allucinazione: «La realtà mi sembrava una ripugnante caricatura dello Stato del Sogno») a trascriverne il tramonto e la fine.

 

Cosa scopre realmente l’io-narrante (Kubin) attraverso la sua permanenza e la sua ricerca in questo mondo onirico?

L’essenza dell’intero romanzo è sintetizzato nelle ultime parole:

«Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all’inizio di una eterna notte nuziale. Come tutto si rivolta contro di lei, e come sono buone le sue intuizioni! In ogni volto cercavo ansiosamente i suoi segni, nelle pieghe e nelle rughe della vecchiaia scoprivo i suoi baci. Sempre nuova mi appariva; e come erano squisiti i suoi colori! I suoi sguardi  risplendevano così seducenti che i più forti dovevano cedere, e allora lei gettava la sua maschera e senza mantello il morente la vedeva circondata da diamanti, nei riflessi di mille sfaccettature. Più tardi, quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea regnava solo a metà. Divideva le cose più grandi e le più piccole con un antagonista, che voleva la vita. Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti, l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che  l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all’ironia».

«Il Demiurgo è un ibrido».

 

Così conclude Kubin. L’antagonista è in noi: c’è il bene e il male, la vita e la morte, la realtà e il sogno. Gli opposti sono l’espressione di una lotta interiore, nell’inconscio, che si concretizza in azioni esteriori che disegnano un sottilissimo confine tra la gloria e il ridicolo, tra l’essenziale e l’effimero. E il Demiurgo, nell’antica idea platonica l’artigiano divino, colui che plasma la materia informe, è l’intermediario. L’essere che riproduce la forma del mondo delle idee. Come Patera appunto, e come Kubin in questo romanzo. L’altra parte è proprio quella nascosta in noi, e che a volte si manifesta.

Katia Valentini

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