Chi si interroga sulla natura dell’essere umano?

L'egotismo come malformazione dell'immaginazione: una perversione dell'amore che divora sé stessa

«‘Bene e male sono i pregiudizi di Dio’ disse il serpente»: queste le parole di Nietzsche, probabilmente per affermare che l’altruismo è una perversità finalizzata alla sopravvivenza. Perciò, è proprio in nome dell’egotismo, e non tanto dell’altruismo, che l’umanità dovrebbe rispettarsi… perché sebbene i filosofi ci hanno chiarito cosa siano questi concetti, mentre oggi gli scienziati affermano che l’uomo è sostanzialmente cooperativo, di primo acchito è l’odio che sembra prevalere nella storia. Ma forse è così perché l’egotismo è solo una malformazione dell’immaginazione: una perversione dell’amore che divora sé stessa… alla faccia dell’ “Altro”.

 

 

Da sempre, filosofi e scienziati si sono interrogati su quale sia la natura dell’essere umano: è buono, è cattivo, è “neutro”?

Per rispondere a questa domanda non è sufficiente considerare il male nella sua opposizione lessicale al bene, in quanto questo non esaurisce la complessità dei suoi significati.

I concetti di bene e male, buono e cattivo, sono concetti acquisiti e, soprattutto, sono concetti relativi.

Sono concetti acquisiti perché il significato loro attribuito viene delineandosi mediante l’esperienza quotidiana. E sono relativi perché uno stesso atteggiamento può assumere significato differente a seconda della cultura, dello stato d’animo della particolare congiuntura storica in cui quell’atteggiamento viene messo in atto.

È perciò difficile dare una risposta al problema del male, che stando a quanto ci racconta la “Genesi“, è esistito da sempre, da quando l’uomo ha mangiato i frutti delll’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.

La cultura cristiana ci parla del peccato originale, di un fratello assassino (Caino), e della venuta al mondo di chi sacrificandosi ha liberato l’umanità. Ma lasciamo da parte la soluzione teologica alla domanda «unde malum?».

Affrontiamo la questione da altri punti di vista.

 

Da un punto di vista metafisico il male, in quanto antitesi del bene, si identifica come privazione dell’Essere o con il Non essere stesso.

Da un punto di vista morale il male si identifica con il rifiuto, non sempre inconsapevole, di attuare il bene o nella scelta, consapevole anche questa, di compiere il male, dunque, una concezione di male che si interseca perfettamente con il concetto di libero arbitrio.

Ma esiste veramente il libero arbitrio, l’uomo è veramente libero nella sua esistenza, e nella sua essenza? (Sono queste domande che voglio solo porre per spingere a riflettere, ma alle quali, in questo momento, non voglio dare una mia personale risposta, forse in seguito. Chissà?).

 

Vi è poi un punto di vista di concepire il male che si lega ai nostri sensi, alle nostre percezioni e che definiamo fisico o naturale, e identifichiamo il male con il non-desiderabile.

Ma il male è innato o acquisito, e poi l’essere umano è per natura buono o cattivo?

La cultura classica greca con Platone, ci parla di un essere umano cattivo fin da bambino per gli istinti animaleschi che lo animano, e che solo attraverso un certo tipo di educazione alla ragione, fatta da individui maschi adulti “amorevoli”, lo si rende adatto alla società, quindi il male coincide con l’ignoranza, il bene con la conoscenza.

Poi Jean-Jacques Rousseau ci parlò di una natura umana benevola e sarebbe stata la società a corrompere l’uomo. Nello «Stato di natura, ipotizzato da Rousseau, il “buon selvaggio” agisce secondo il proprio istinto, un istinto che si armonizza con la realtà in cui vive e questa armonia rappresenta il fondamento della giustezza delle sue azioni: l’uomo nasce buono e giusto ed è nell’incontro con la realtà civile che egli perde questa originaria purezza e dunque, tutta la struttura morale della società civile è imposizione arbitraria e artificiale di un codice di comportamento che va a sovrapporsi e a cancellare uno stato di correttezza morale innato».

Per Hobbes l’essere umano è per natura “conatus“: sforzo, tendenza, appetito e repulsione. Senza passioni non c’è vita, dato che per Hobbes l’autoconservazione è il primo dei beni, le passioni sono al contempo sia buone che cattive. L’istinto a fare del male è una manifestazione naturale della tendenza all’autoconservazione, lo «stato di natura», in cui originariamente l’uomo vive, sarà «una guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo» (bellum omnium contra omnes) in cui, ogni individuo, se pur forte, deve essere consapevole che può essere ucciso. Per assicurare la propria autoconservazione l’uomo deve armonizzare i propri interessi con quelli degli altri attraverso un contratto (pactum unionis et subjectionis), con il quale si unifica la moltitudine in una persona, nel “Leviatano“: lo Stato. Per Hobbes l’uomo non è naturalmente buono ma ha una natura maligna, in quanto se fosse buono, non avrebbe bisogno di leggi e di un patto artificiale per avere salva la vita e per mettere fine alla conflittualità latente presente nello stato di natura.

Kant, invece, rifiuta di considerare il male come caratteristicanaturale” dell’uomo: essa, infatti, non può essere dedotta dal concetto di uomo; mentre è naturale la libertà di cui l’uomo gode: dunque la responsabilità del male operato dagli uomini può essere attribuita agli uomini soltanto. Per Kant il bene è una predisposizione naturale dell’uomo, e il male una tendenza; l’uomo è legato non solo alla ragione ma anche ai sensi. Ciò significa che l’uomo agisce spesso basandosi sulla sensibilità, invece di agire per il puro dovere della legge morale. Tuttavia egli, in molti casi, non si rende conto di questo e finisce per compiere azioni buone solo esternamente e legate ai sensi e volte ad un fine non morale ma sensibile. Quindi per Kant il bene è una vera e propria disposizione naturale dell’essere umano, mentre il male è una tendenza alla trasgressione. Appare chiaro, dunque, che l’uomo è consapevole della  legge morale ma, tuttavia, egli spesso decide di allontanarsi da tale legge suprema, quindi il male di cui si fa artefice è imputabile al singolo individuo e a lui soltanto.

Questo è quanto ci hanno raccontato per secoli i filosofi.

 

Secondo gli scienziati, in realtà l’essere umano è ambivalente, cioè è contemporaneamente capace di atti eroici e altruistici e di atrocità e abomini; questo vuol dire che l’uomo come è potenzialmente buono è anche potenzialmente cattivo, ciò che fa la differenza è il contesto: in situazioni particolarmente difficili una persona può comportarsi in modo crudele perché il perseguire il bene comporta troppa fatica.

Evoluzionisti come Frans de Waal sono propensi, oggi, a sostenere un origine sociale e cooperativa della natura umana. Per giungere a questa conclusione sono stati fondamentali gli studi di Rizzolati sui “neuroni specchio” che nell’uomo fungono da substrato biologico a fenomeni come l’empatia o l’altruismo. Secondo alcuni evoluzionisti, la storia della specie umana ha selezionato l’altruismo come comportamento utile alla sopravvivenza, rafforzando la cooperazione e lo spirito di sacrificio. Lo stesso Charles Darwin nel 1851 scrisse: «Una tribù con molti membri pronti ad aiutarsi reciprocamente e a sacrificare se stessi per il bene comune, sarebbe vittoriosa sulla maggior parte delle altre tribù».

Qualche anno fa, in merito agli studi sul genoma, anche Rita Levi Montalcini aveva affermato con risolutezza «Non c’è nel patrimonio genetico umano nulla che porti all’aggressività e all’assassinio».

Dunque gli scienziati ci parlano di un essere umano altruistico e tendente al bene.

 

Eppure io mi domando: dove sta l’altruismo, dove sta la bontà nelle innumerevoli scene di sterminio e odio di cui la storia dell’uomo è disseminata? Per non andare troppo indietro nel tempo, basta pensare alle recenti guerre (alcune così tanto “pubblicizzate”, altre quasi nascoste per paura che si sappia troppo) che stanno mietendo vittime in ogni parte del pianeta.

Se veramente l’uomo è buono, questa bontà alberga in poche anime.

Dowkins ha parlato di gene cooperante. Ma spesso la cooperazione avviene all’interno di gruppi, che per quanto ampi e mondiali, a mio avviso sono sempre “chiusi”. La cooperazione avviene all’interno di unnoiin cuil’altronon sarà mai accettato, il simile si unisce al simile. E come scriveva Walter Lippmann «Laddove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa un gran che».

 

Con quanto qui scritto non voglio fare prediche morali, nessuno è perfetto, e tanto meno io, non mi ritengo un’essere dal cuore candido, o privo di malizia, ma mi ritengo tollerante. L’essere umano dovrebbe essere un po’ più comprensibile e un po’ più tollerante nei confronti dell’ “altro”, perché non è nostro “nemico”, ma una miniera di conoscenze e di confronto per (come dice una pubblicità che ho visto ultimamente) imparare a leggere la realtà.

Katia Valentini

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10 Comments

  • Il problema della paura dell'Altro cammina di pari passo con l'egoismo che fagocita sè stessi. sui libri di storia si parla solo di guerre, la distruzione è una costante per il progresso dell'essere umano

      • si certo, queste sono leggi di natura,come direbbe uki, ma il problema è che il male è più facilmente strumentalizzabile. perché sui libri di storia ci sono solo guerre? certo,sono la causa delle ridistribuzione dei confini territoriali tra stati…ma perché nessuno perla di movimenti, fatti, eventi, ecc… positivi??? Anche al tg non si parla mai delle cose belle che accadono ogni giorno, perché accadono! ecco,interroghimoci anche su questo!

        • Ci sono solo pessime notizie perchè ormai tutto si muove sulle linee del consumismo. La regola è the bad news is good news, cioè ciò che sconvolge l'animo umano, in negativo, fa vendere! pensate solo al film si Amanda Knox andato in onda qualche giorno fa, sono rimasta letteralmente sconvolta!

  • io credo al fatto che in realtà l'uomo sia cooperativo. sia la storia delle prime civiltà che la scienza lo dimostrano. il problema è quando l'uomo vuole accaparrarsi più risorse di quanto gli bastano per sopravvivere, e intendo anche più di quanto gli basta per vivere comodo e felice..
    bell'articolo

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