Buzzcocks @Villa Ada (07/2014)

La gloriosa band pop-punk inglese emoziona il pubblico senza sconti

Nel “Grande Lebowski“, il magnate omonimo chiedeva al Drugo cosa fa di un uomo, un uomo. Fare ciò che è più giusto, a tutti i costi? La prendo alla lontanissima mentre mangio un pezzo di pizza davanti al computer per riformulare la domanda: cosa rende un concerto tale?
L’acustica sicuramente, la location, quanto disperato un gruppo è più dell’altro o quanto politicamente impegnato.
Sì ma poi? La parte dell’intrattenimento dove la mettiamo?
Ora che ho finito la pizza forse riesco ad arrivare al punto.

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Dopo una sequela di concerti bellissimi ma al limite della depressione, i Buzzcocks sono arrivati come una risata stupida con gli amici durante un discorso serio.
Ecco, i Buzzcocks sono divertenti. Non che i loro testi dicano cose sciocche o prive di fondamento, solo che hanno un’energia contagiosa che fa passare un loro live liscio come l’olio.
Vado con ordine per chi fosse vissuto nell’eremo di Camaldoli a innaffiare i tigli fino a oggi.
I Buzzcocks sono un gruppo pop punk inglese degli anni’70, dai ritornelli facilmente memorizzabili e una sezione ritmica pulita, che con i dovuti cambi di formazione è arrivato ai giorni nostri.

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Quest’anno la band ha suonato nella cornice del laghetto di Villa Ada durante la manifestazione Villa Ada “Roma Incontra il Mondo“, che come gli anni precedenti si è rivelato un luogo perfetto dove passare qualche ora della propria vita.
Stavolta ad accompagnarmi c’era la mia amatissima sorella, che quando ha saputo del concerto mi ha gentilmente detto qualcosa che suonava più o meno come “non te inventa’ niente, stavolta ce vengo pure io” (ciao Silvia, questo è per te).
Arriviamo al parco al tramonto di un lunedì sera senza traffico, appena in tempo per vedere il cielo cambiare colore sullo specchio d’acqua del laghetto mentre ancora c’era qualcuno che correva tra gli alberi.
Il concerto sarebbe iniziato di lì a un’ora e mezza, quindi c’è stato tutto il tempo per una birra sedute ai tavolini e un taglia e cuci orientativo.
Se avete dei fratelli e vi ha detto bene come me, sapete di cosa sto parlando. Trovarmi lì a chiacchierare con mia sorella, mentre un dj set pre-live passa pezzi dei Pulp, degli Smashing Pumpkins e dei Clash, è uno di quei momenti per cui varrebbe la pena fermare il tempo.
Abbiamo dormito vicine, fatto le vacanze con mamma e papà, ci siamo mandate a quel paese e ora beviamo da bicchieri di plastica ascoltando canzoni che ci ricordano qualcosa, anche solo la nostra infanzia insieme. A questo punto vorrei mettermi a piangere mezz’ora di seguito cantando con voce rotta “You Are My Sister” di Antony and the Johnsons, ma ho un live report da portare a casa. Quindi mi riservo di farlo dopo insieme alle lacrime di coccodrillo per aver mangiato la pizza quando avevo detto oggi solo proteine.

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Poco prima del concerto il posto si comincia a riempire e noto con piacere che non ci sono solo baffi alla chef Rubio o vestitini a fiori, ma di tutto e di più. Si vedono bretelle e Dr.Martens, magliette dei gruppi più disparati, pois, gonne di jeans e quant’altro. Il pubblico va dai coetanei dei Buzzcocks con i figli al seguito agli appena maggiorenni.
Quando la band di Manchester sale sul palco, una discreta folla ha occupato lo spazio sottostante.

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Va subito detto che i componenti, almeno quelli degli esordi, non sono di primo pelo per ovvi motivi. Se non ci fosse un telo alle loro spalle che riporta il nome del gruppo, non mi stupirebbe se spuntasse fuori mio padre alla batteria. Un rotondetto Pete Shelley potrebbe far parte della Premiata Forneria Marconi e non darebbe nell’occhio.
Sto quasi pensando di offrire il mio posto a sedere, quando cominciano a suonare e non la smettono più se non un’ora e mezza dopo con una brevissima pausa prima dell’encore.
Io non li avevo mai visti dal vivo, ma so che più o meno lo spettacolo che propongono è sempre lo stesso. Il punto è, chi ne vorrebbe un altro?
Non hanno più nulla da dover dimostrare, sono ormai nella Hall of Fame e possono permettersi di divertirsi e di far divertire.
Non solo, sono bravi e sanno dosare bene i pezzi fino ad arrivare a quelli che un po’ tutti aspettavamo -“Ever Fallen In Love e What Do I Get” su tutte– senza far calare l’attenzione del pubblico.
Tutti balliamo, tutti cantiamo e quando mi giro sono tutti felici come bambini davanti a uno spettacolo di animazione.
Steve Diggle è, tra tutti i componenti, il mattatore della serata. Indossa una camicia a pois piuttosto striminzita e una capigliatura incredibilmente folta e scura che ricorda quella specie di casco dei Playmobil sfoggiato da Joachim Löw durante i mondiali. Salta, scalcia e offre tutto il repertorio della rockstar senza rompersi un femore.
Mia sorella non fa altro che ballare e ogni tanto si gira per dirmi “Oddio che emozione!“, il che racchiude un po’ il pensiero di tutti i presenti.
Il concerto si chiude con “Oh Shit” e mai titolo fu più azzeccato quando capisco che la serata è terminata, tiratissima e piacevole.
I Buzzcocks salutano con grandi strette di mano, la folla comincia a disperdersi e noi ci avviamo verso la macchina con un altro ricordo da condividere.

Agnese Iannone

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