L’illusione della felicità e Il miraggio del lavoro (rubatoci dai robot?)

La società si fonda su servi e padroni. Oggi si chiama lavoro. Eppure potremmo trovare la felicità da quegli stessi "strumenti" che oggi sembrano sottrarci quello che ci viene "venduto" come l'unico nostro mezzo di sopravvivenza

La Costituzione italiana difende il diritto al lavoro, ma il diritto alla felicità? Il lavoro spesso rappresenta un pensiero assillante, che tutto ci rende fuorché felici. Non credete? Possiamo pensare che anche la scuola abbia il fine di educarci al lavoro e considerarlo dunque come qualcosa di assolutamente necessario pur tuttavia così affligente. Ma quindi la Costituzione ci sta mentendo?

 

Gli insegnamenti di Marx

Alquanto lucidamente, questo economista dell’Ottocento, che tutti probabilmente abbiamo sentito nominare, aveva analizzato il mondo capitalistico. Dalle sue analisi risulta che il profitto che i capitalisti hanno è dato dalla forza lavoro degli operai e non dalle macchine su cui investono. Questo è dovuto al fatto che tanto le macchine quanto l’operaio per svolgere un determinato lavoro impiegano un certo tempo. La macchina è legata a un tempo determinato, che viene appositamente settato, mentre l’operaio può svolgere manualmente l’operazione in tempi diversi. È dalla quantità variabile di tempo che si ottiene il guadagno.
Il futuro per il capitalista previsto da Marx non è roseo: vi è una contraddizione interna nel sistema capitalistico, in quanto il maggiore investimento nei macchinari porterà ad avere un lavoro fatto in tempi sempre più rapidi, ma la quantità di merce prodotta in gran quantità rimarrà invenduta e il guadagno basato sul lavoro dell’operaio diminuirà perché diminuiranno gli operai impiegati.

 

I tempi attuali

Non ci sono più i macchinari intesi da Marx, quelli delle industrie della rivoluzione industriale per intenderci. O meglio, ci sono quelli ma ci sono anche molti altri tipi di macchinari che, essendo molto evoluti, possono sostituire del tutto l’intervento umano. Forse Marx si deve riattualizzare, anche se il problema della sovrapproduzione resta.
Quindi secondo me in parte è ancora attuale.

E quindi, come stanno le cose al giorno d’oggi? Potrebbero i robot, poiché queste sono gli evoluti macchinari di cui stiamo parlando, rappresentare una risorsa? O sono una minaccia?
Al giorno d’oggi il tempo che ogni essere umano dedica al lavoro, nonostante la disoccupazione che in alcuni paesi come il nostro sembra non avere fine, è ancora tanto. E che il lavoratore possa essere sostituito dalla macchina è una possibilità ed evenienza che lo preoccupa, poiché teme di restare disoccupato.

 

Prima ancora c’era Locke

Lo “stato di natura” di Locke, cioè come tutti quanti nascono prima di costituire una società civile, è uno stato in cui vige l’assoluta libertà, nessuno è assoggettato ad un padrone, quindi nessuno è schiavo. Innanzitutto se io sono schiavo di qualcuno (come può accadere nel mondo del lavoro) non posso dirmi libero.

E se sono schiavo del mio lavoro? Il discorso è esattamente lo stesso penso io: essere schiavo vuol dire essere dipendente da e assoggettato a, quindi si può anche essere schiavi del proprio lavoro senza avere un padrone in carne e ossa. Ed è proprio questo il più grande problema di oggi, lasciatemelo dire. Le élite che tirano le fila… non usano più le catene, ma ci minacciano con l’illusione dell’ “occupazione”.

 

Riconsiderare il concetto di lavoro

In ogni caso, dal mio punto di vista, prima di gridare al complotto, alla cospirazione capitalistica, bisogna fare una distinzione: la felicità prevede un certo grado di libertà e non un asservimento. Ma il lavoro produce solo questo assoggettamento?
Pensate ai medici, agli infermieri, a chi lavora nelle forze dell’ordine, agli (almeno alcuni) insegnati: questi sono, per fare degli esempi, persone che hanno deciso per vocazione di fare quel lavoro lì, quindi non tutti i lavori escludono la felicità! C’è anche chi è felice di fare il lavoro che fa, o che comunque si sente soddisfatto: condizione rara forse, ma pur sempre esistente… sebbene credo dovrebbe sempre rimanere distinta dall’occupazione intesa come unico mezzo di sostentamento e a volte di vera e propria sopravvivenza.

Quindi quello che probabilmente si è perso è la concezione del lavoro come qualcosa che ci possa appagare. Forse è questo tipo di concezione che la nostra Costituzione aveva del lavoro, oltre al discorso sui diritti minimi garantiti di uno Stato che prendere atto di una società ormai capitalizzata.
Le moderne tecnologie potrebbero è vero servire a risolvere molti problemi, sostituendo l’uomo lì dove possibile: di certo una macchina non può sostituire un uomo nelle professioni come quello dello psicologo, dell’insegnante o dell’esperto di comunicazione, per esempio. Il sistema capitalistico ha cambiato l’idea del lavoro, questo è stato probabilmente il problema, e Marx sottolineava anche questo: il lavoro risulta addirittura qualcosa di alienante.

Per cambiare la società, va cambiato il modo di pensare e di intendere il lavoro innanzitutto, secondo me. È inutile appellarsi ad uno stato di natura in cui siamo tutti liberi e felici, perché questo stato di natura può presentare anche il caso in cui un individuo cerca di prevaricare su un altro: è sempre Locke che ce lo insegna. A quel punto venendo meno la vita, viene meno anche la possibilità di essere felici. Quindi il collegamento libertà-felicità deve essere analizzato con attenzione e non trattato unicamente secondo faziosi interessi. Voglio dire che ad esempio l’automatizzazione dei processi potrebbe benissimo diventare una ben più desiderabile alternativa nella quale i ‘moderni mezzi di produttivi automatici‘, strappati dal dominio dei capitalisti, vengano finalmente impiegati per ridurre il lavoro umano, pur continuando ad assicurare un reddito decoroso ai lavoratori e dandoci più tempo da dedicare alla felicità. In teoria, con una produzione automatizzata scientificamente tarata per soddisfare le esigenze di tutti non avrebbe più alcun senso pretendere un prezzo in cambio dei prodotti ma, al limite, solo un piccolo contributo lavorativo, in termini di competenze, di tempo esistenziale e di progettazione, per far sì che il sistema funzioni correttamente e/o venga ottimizzato.

 

Roberto Morra

 

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