Arau: intervista sulla musica che verrà

“Arau” in lingua sarda indica l’atto della coltivazione, il nostro solco, la nostra "identità"

Dopo l’uscita del cortometraggio “Un’altra musica“, in cui il cantautore Arau ha incarnato uno dei tanti artisti che negli anni, con la speranza di trovare ascoltatori per la propria musica, si sono ritrovati a ripercorrere le strade già percorse dai loro miti del passato, è uscito ufficialmente il singolo “L’anno che verrà“, eseguito dal vivo nel cortometraggio.
Il brano non è una semplice cover ma è la personale rivisitazione che il musicista sardo ha fatto del capolavoro di Lucio Dalla in compagnia della sua fedele chitarra Slide Weissenborn da ginocchia, ormai marchio di fabbrica della musica di Arau.

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Arau: un nome molto particolare per un cantautore. Come l’hai scelto?

Bentrovati voi di Ukizero. Il nome d’arte è sempre stato un punto di partenza importante quando si decide di voler creare un progetto musicale, serve a scolpire nella roccia un messaggio che indica a tutti chi siamo, che tipo di musica vogliamo proporre. Mi vengono in mente nomi come gli “Elio e le Storie Tese”, il nome è molto singolare e trasmette immediatamente l’immagine di un preciso indirizzo musicale, oppure “Afterhours”, ti fa pensare a qualcosa di inusuale, alternativo, evocativo come la loro musica, oppure più semplicemente “Elisa”, che ha scelto invece di raccontare se stessa attraverso la propria musica.
Per quanto mi riguarda, ho ricercato un nome che mi permettesse di mantenere un legame con la mia terra di origine, la Sardegna. Infatti “Arau” è una parola in lingua sarda, che tradotta, indica l’atto della coltivazione della terra. Il lavoro della terra implica umiltà, dedizione, cura, sincerità, tutti concetti che descrivono me e la mia musica.

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Dopo alcune uscite discografiche inedite, questa volta hai deciso di dedicare anima e corpo ai cantautori del passato, nel progetto “Un’altra musica”. Raccontaci la genesi di questo progetto.

Io non amo la banalità nella musica, così come nella vita, e penso che per non risultare scontati serva tirar fuori tutto il coraggio che si ha a disposizione, perché nella musica coraggio e noia sono secondo me inversamente proporzionali: quando uno dei due valori tende a salire, l’altro tende a scendere.
Oggi c’è un po’ di appiattimento generale: siamo saturi di cose già viste e dette. Così per uscire un po’ dalla routine dei tanti videoclip pubblicati ogni giorno, ho pensato ad un progetto diverso, infatti “Un’altra musica” non è un classico videoclip ma un vero e proprio cortometraggio con una sinossi, degli attori e molto altro.
Fondere il mondo dell’arte e del cinema è stato molto stimolante e affascinate, una bomba di sinergie creative. Poi, con il coraggio necessario di cui vi parlavo, mi sono messo in gioco creando un arrangiamento che mi permettesse di tirar fuori un mio marchio di fabbrica, la chitarra slide, che è da sempre mia fedele compagna di avventure.
I grandi cantautori di oggi hanno attraversato diverse generazioni e i loro brani più famosi sono stati “saccheggiati” oramai da tanti. Io credo che invece la gente possa esser più stimolata ad ascoltare un brano reinterpretato in maniera personale, anziché coverizzato e suonato ricalcando le note dell’originale, perciò ho fatto un’operazione di rielaborazione completa de “L’anno che verrà” di Lucio Dalla e sono molto orgoglioso del risultato che ne è venuto fuori.
Credo che oggi ci sia bisogno di non dimenticare i cantautori storici perché avendo dettato (e dettando ancora oggi) la cultura musicale di questo Paese attraverso le loro singole rivoluzioni, sono i migliori maestri per offrire stimoli di innovazione alle nuove generazioni.

Il progetto “Un’altra musica” è principalmente il cortometraggio omonimo, di cui parlavi, nel quale un cantautore (interpretato da te ma nel tuo ruolo possono rivedersi in molti) cerca di trovare la propria strada nella musica e una sera, dopo un concerto, finisce a cenare in un locale dove sono passati tanti artisti prima di lui. Si può dire che questa storia sottolinea anche l’importanza di spazi pubblici, in un certo qual modo di aggregazione, nel quale una cerchia di musicisti – in questo caso i cantautori – possa riconoscersi? Cosa rappresenta il ristorante “da Vito” per questi artisti?

Devo dirvi intanto che, a dispetto del locale ormai datato, il cibo che offre il ristorante “da Vito” è buonissimo! A parte questo, quel locale è un posto penso magico, un luogo chiuso all’interno di una campana di vetro dove il tempo pare si sia fermato. Tutto è rimasto come allora, lo senti nell’aria che respiri, ti pare di vedere seduto ancora in qualche tavolo uno dei grandi artisti del passato che lì hanno cenato dopo qualche loro concerto.
Licia Navarrini, attrice di teatro e di cinema, colei che ha avuto l’arduo compito di insegnarmi per l’occasione i rudimenti del teatro, mi raccontò che da piccola scappò di casa prendendo il treno per andare a raggiungere il ristorante “da Vito” e per incontrare il suo mito di allora, Francesco Guccini.
Insomma, provate ad immaginare una vita senza i Social o Internet, dove la comunicazione avveniva con il contatto diretto; in un tempo del genere, quello spazio era diventato non solo un luogo di musica dove poter incontrare il proprio beniamino, ma un nuovo e coinvolgente modo di condividere e comunicare le proprie emozioni con la società, un modo per poter dire a tutti “io esisto”.
Oggi è proprio quello spazio reale (e non virtuale) che servirebbe e che invece manca a questa generazione fatta di rapporti complicati.

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Come all’interno del cortometraggio, ti è mai capitato nella realtà di trovarti in un posto per caso, insieme alla tua chitarra, e di esser invitato a suonare per i presenti?

Devo essere sincero, io suono principalmente per una ricerca di benessere fisico e mentale, se non ho questa necessità cerco di evitare esibizioni estemporanee a richiesta, per cui sì, mi è capitato, ma ho evitato… Però ricordo che una volta, durante l’attesa snervante in aeroporto, decisi di prendere la mia chitarra e suonare un brano di Mike Dawes, “Boogie Shred”. Be’, ebbi un bel po’ di attenzioni graditissime e molta gente mi chiedeva di continuare a suonare.

Questo discorso ci fa pensare all’importanza della musica dal vivo, che fino a due o tre decenni fa era seguita con un certo interesse e invece adesso è più bistrattata sia dagli avventori che dai proprietari dei locali. Hai notato anche tu un cambiamento in questo senso?

Ovviamente sì. La musica inedita dei nuovi cantautori o dei nuovi gruppi penso che oggi giri troppo poco nei locali, rispetto a quanto avveniva in passato, un po’ per i costi di Siae e roba varia, e un po’ per i mille problemi tecnici legati ai decibel, per cui è molto più semplice intrattenere con i vari streaming Spotify e quattro casse al muro. Ma in sostanza credo che la musica in Italia sia bistrattata da sempre: siamo il popolo delle canzonette e quando provi a spiegare che fai il musicista ti chiedono poi qual è il lavoro “vero” che fai nella vita.
Tornando al cortometraggio “Un’altra musica”, uno dei cantautori più importanti che frequentavano il locale “da Vito” e che vengono citati dal grande Franz Campi/barista nel video stesso, è proprio Lucio Dalla, del quale, come dicevi, hai fatto tua una delle canzoni più intramontabili: “L’anno che verrà”. Per la serie: “è nato prima l’uovo o la gallina?”; ci incuriosisce sapere se hai pensato prima al progetto “Un’altra musica” e dopo ti è venuto in mente di cominciare con Dalla o se, al contrario, avevi avuto prima l’intenzione di lavorare su questo pezzo di Dalla e da lì hai pensato di dar vita a questo articolato e particolarissimo progetto. Com’è andata davvero? L’interpretazione del brano di Dalla era nata in maniera del tutto casuale, come quando si prova a canticchiare e ripetere una canzone con il proprio strumento musicale. Da lì poi, nacque l’esigenza di cercare la giusta cornice per un quadro che si era cercato di dipingere. Il progetto ”Un’altra musica” è semplicemente una cornice dove al centro ho cercato di mettere la mia visione della musica di ieri e di oggi.

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Dopo Dalla il progetto prevede altri cantautori interpellati per prendere alcuni loro successi e farne tutta “Un’altra musica”. Puoi svelarci quali saranno i prossimi e quali sono le tempistiche di realizzazione dell’intero progetto? Al termine prevedi anche l’uscita di un album oppure il discorso sarà sviluppato attraverso cortometraggi e singoli?

Il continuo di “Un’altra musica” è già in atto: siamo alle prese con l’arrangiamento del brano del nuovo cantautore da omaggiare nel secondo episodio, e questa volta sarà dedicato al grande Fabrizio de Andrè. Le tempistiche per la pubblicazione sono ancora incerte; ho intrapreso la scrittura della sceneggiatura ma serve tempo, riflessioni e bisognerà fare bene la punta alle matite per evitare errori e migliorarsi sempre più nel discorso del cortometraggio.
Parallelamente sono anche alle prese con il mio prossimo inedito e anche su questo ci saranno tante novità, ma è presto per parlarne. Ho tante idee in questo periodo: mi piacerebbe concretizzarle tutte, vedremo se ci riuscirò.

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Abbiamo parlato di musica dal vivo ma non ti abbiamo chiesto ancora dove possiamo ascoltarti live prossimamente. Hai già un elenco di date oppure vuoi darci le coordinate per seguirti sul web in attesa che vengano fissate?

Attualmente ho fatto a malincuore un passo indietro per i live per concentrarmi con tutta l’anima a produrre questi lavori che ho in mente, ma spero di potervi dare al più presto nuove date che saranno pubblicate sul mio sito ufficiale www.arau.it e sui miei canali Social.

Grazie e buon lavoro!

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Enza Vincenti

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