Venezia 73: di Festival, di cinema e di animali notturni

Passando per il Festival del Cinema di Venezia tra anteprime, red carpet e le menzogne di una vita a ripresentarsi sempre... fin dalle inquadrature perfette e pulite di Tom Ford

Per l’undicesimo anno consecutivo, sono stata alla Mostra del Cinema di Venezia. Da quando avevo quattordici anni, non c’è agosto per me, che finisca senza il viaggio verso il Lido e l’immersione totale in quell’atmosfera magica e surreale che si respira solo lì, per dieci giorni. All’inizio ero ancora troppo piccola per vedere i film (l’accesso in sala è ammesso solo ai maggiorenni), quindi mi godevo tutto quel che c’era di collaterale: indimenticabili le ore asfissianti passate ad aspettare sotto il sole per guadagnarmi un posto in prima fila davanti al red carpet e ottenere un autografo da Johnny Depp o una foto con Jude Law o per vedere da vicino Charlize Theron e poter dire: “Mah, dal vivo non è poi così bella!” Ovviamente lo è… eccome se lo è! Poi ho cominciato anch’io a vedere i film e a sentirmi una privilegiata solo per il fatto di poter vedere qualcosa che non ha ancora visto nessuno, insieme a tanta altra gente che condivide con te lo stesso amore per quell’arte meravigliosa e la stessa curiosità ed eccitazione del momento. E poi gli applausi (e i fischi) in sala, le proiezioni con il cast seduto proprio davanti a te, i commenti a caldo del primo della classe – ce n’è uno a ogni proiezione – che ha certamente già visto l’inquadratura del settantottesimo minuto di quel film in una pellicola anglo-iraniana del ’53.

Quest’anno, purtroppo, la magia è durata pochi giorni. Sono riuscita a vedere solo tre film, ma molto, molto belli tutti e tre, in modi e per motivi diversi. Ho visto “La La Land“, di Damien Chazelle, un musical delizioso che strizza l’occhio ai famosissimi film musicali della MGM che fecero grande Hollywood negli anni ’50, ma con personaggi, situazioni, e problematiche tutte contemporanee. Ho visto anche “In Dubious Battle“, di James Franco, tratto dal romanzo “La Battaglia“, di John Steinbeck. È la storia di uno dei primi scioperi organizzati da un gruppo di braccianti negli anni immediatamente successivi alla crisi del ’29. Steinbeck è un autore che amo molto e non è facile da adattare per il cinema, ma Franco ha fatto davvero un buon lavoro.

 

Il film di cui vorrei parlare qui, però, è un altro: è “Nocturnal Animals“, di Tom Ford. Quando un film è in grado di entrarti nella testa dal primo momento e ti fa riflettere, regalandoti spunti ogni volta diversi, non solo sul film in sé, ma su di te, su quello che sei, su quello che tutti siamo come esseri umani, vuol dire che quel film è un’opera d’arte. Che poi il primo mestiere di Tom Ford non è fare film, ma fare vestiti, borse, scarpe e profumi. È uno dei più famosi stilisti del mondo. E come sia stato in grado di concepire nella sua vita due film, uno più bello dell’altro, è un mistero. Davvero, ha un talento straordinario. La sua opera prima è stata “A Single Man“, uscito nel 2009, che raccontava con estrema eleganza e delicatezza l’elaborazione di un lutto e il dramma personale di un uomo. Ora, sette anni dopo, si è rimesso dietro la macchina da presa per raccontare un altro dramma, che questa volta coinvolge l’umanità intera, perché, di fatto, ci mette davanti agli occhi la verità su chi siamo e su come siamo fatti. È una storia sporca, violenta, di dolore e di vendetta, di un viaggio dentro e fuori di sé e di come non facciamo altro che affannarci per rimettere insieme i pezzi di ciò che rompiamo.
Appena finito il film, ho pensato: okay, se c’è una lezione che si può trarre da Nocturnal Animals, è che niente, niente di ciò che facciamo finché siamo vivi ha mai una conclusione definitiva. Qualsiasi sia la piega che prendono le nostre vite, prima o poi, in un modo o nell’altro, siamo chiamati a fare i conti con chi siamo (stati), con le scelte che facciamo, le persone che incontriamo lungo la strada, e soprattutto con i rapporti che stringiamo e che sciogliamo. E quando li sciogliamo, siamo davvero sicuri di lasciarceli alle spalle, chiuderli una scatola, seppellirla per sempre e gettare via la chiave? Sembra che questo film voglia dirci: Un attimo, fermi tutti! Stiamo molto attenti agli addii, perché non sono che pure illusioni.

NOCTURNAL ANIMALS

Lo so, starete dicendo: va beh, ma di che parla il film? Eccoci. La protagonista è Susan, interpretata da Amy Adams, una donna ricca, figlia di genitori conservatori e bigotti, che, giovanissima, ha sposato Edward (Jake Gyllenhaal), un ragazzo di cui era sinceramente innamorata, un aspirante scrittore, un “sensibile”, un romantico. Un «debole», secondo la famiglia di lei, che avrebbe voluto ben altro per la figlia. E siccome «Tutte finiamo per assomigliare alle nostre madri», dopo pochi anni di matrimonio, Susan chiede il divorzio e si accomoda tra le braccia sicure dell’uomo modello (Armie Hammer), un ragazzo bello, ricco e potente: decisamente un “non debole”. Vent’anni dopo, Susan è diventata una donna di successo, dirige un’influente galleria d’arte a Los Angeles, ma è profondamente infelice, depressa, insoddisfatta. È un’insoddisfazione composta, però: un sottile e costante dolore freddo e forse per questo, tanto più invadente. Vive in uno stato perenne di apatia che le rende impenetrabile ogni sentimento: persino il tradimento del marito modello le è indifferente. È elegante, composta, gelida come il bellissimo e asettico arredamento della casa in cui vive, come le inquadrature perfette e pulite e che le incorniciano il viso. Questo stato di apatia, però, viene sconvolto quando riceve dal suo ex marito il manoscritto di un suo romanzo, sorprendentemente dedicato a lei. Comincia a leggerlo di notte, perché lei non dorme mai, e mentre lei lo legge, noi lo “vediamo”. Il film, infatti, è costruito su questi due piani (tre, se contiamo i flashback della storia di Edward e Susan): Susan nel presente e la storia del libro, che parla di un uomo la cui vita diventa un inferno, dopo che gli vengono violentemente uccise moglie e figlia da una banda di malviventi, durante un viaggio notturno per le pianure del Texas. Questo libro accende progressivamente delle scintille nell’animo ghiacciato di Susan, fino all’incendio finale. La tensione aumenta sempre di più, e a noi seduti nelle nostre poltrone, il cuore comincia a battere, alla stessa frequenza del cuore di Susan, perché vediamo che le storie cominciano ad avvicinarsi, si incrociano, convergono e si sovrappongono, perché sì, le vicende sono diverse, ma è evidente che il trauma da sciogliere è uno solo. Il romanzo è una complessa metafora della loro storia e Edward ora vuole mettere davanti agli occhi di Susan, in un modo atroce, crudele, tutto quello che lei ha buttato via. Vuole che lei viva il suo stesso inferno, che però per lui è stato diluito in vent’anni, invece per lei lo concentra in poche ore di lettura. Una tortura!

Allora Nocturnal Animals è un film sulla vendetta? Non lo so. Molti hanno detto così all’uscita del film, anche il primo della classe, che, tra l’altro, ci ha visto pure un po’ di Hitchcock in alcune scene. Io non sono la prima della classe, anzi! Però secondo me è un po’ limitante dire che si tratti di un film sulla vendetta. Per me, l’essenza di Nocturnal Animals è molto più profonda e complessa di così. Certo, il romanzo recapitato a Susan è la vendetta di Edward, su questo non ci piove, ma io credo che il senso del film stia in quel turbinio di emozioni, in quell’uragano che questa cattivissima vendetta scatena in Susan. Quindi non nella vendetta in sé, ma in quello che provoca.

Leggendo la storia della sua vita, presentatale, però, in un modo così sporco, violento e spietato, Susan fa un viaggio dentro di sé che non aveva ancora mai compiuto. A poco a poco, rompe il ghiaccio che aveva fatto da schermo alla sua anima, ricordo dopo ricordo, rimpianto dopo rimpianto. Si guarda allo specchio ossessivamente, più e più volte, quasi a cercare affannosamente di strapparsi la pelle e osservarsi dentro. Gli occhi di una bravissima Amy Adams sono disperati e taglienti come coltelli quando finalmente Susan vede quello che ha sempre avuto dentro e conosce quel dolore gelido che l’ha paralizzata, quella sottile angoscia che l’ha resa un animale notturno. Susan si rende conto che non c’è stata mai una chiusura alla fine di quel matrimonio.

 

Avete mai avuto la sensazione che un film (o un opera d’arte, in generale) parli con voi? Io questo ho sentito alla fine della proiezione. Ho sentito che il film mi diceva: Oh, sveglia! Sto parlando con te e con tutti quelli vicino a te! Non esistono addii, non esistono chiusure! Tutte le volte che diciamo “addio” a qualcuno, mentiamo. Mentiamo a lui o a lei e, soprattutto, a noi stessi, nello stesso preciso momento. E le bugie che raccontiamo a noi stessi sono le peggiori, perché si aggrappano come dei parassiti ad ogni spigolo dell’anima. Lo sappiamo tutti, questo, in fondo. Ma Nocturnal Animals ce lo spiattella davanti agli occhi, violentemente, come uno schiaffo in piena faccia. È inutile prendersi in giro, non ci lasciano mai. Magari a volte si nascondono e noi crediamo davvero che non ci sia più traccia, ma sul più bello sbucano da fessure piccole, tortuose, insospettabili dentro di noi. Da angoli nascosti, notturni, che nemmeno sapevamo di avere.

Non c’è verso, ritornano. Ritornano sempre.

 

Chiara Fasano

 

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