Uno, nessuno e Facebook

Ovvero come il manifestare sé stessi attraverso canali multimediali può trasformarsi in annientamento del proprio Io nella ricerca dell’Io altrui

Il Social Network è una realtà oramai imponente e incontrollabile. I controllabili siamo noi. (oohh, il solito esagerato!)

 

Secondo un articolo de “Il Sole 24 Ore” (Luca Dello Iacovo), gli utenti attivi di Facebook nel periodo di Maggio 2013 ammontavano a 1,11 miliardi, e il 30% del fatturato derivava da inserzioni pubblicitarie visualizzate su dispositivi mobili; fatturato del primo trimestre 2013, 1,46 miliardi di dollari.

Lo stesso giornale, in un articolo del 30 ottobre 2013 (Marco Valsania), ci spiega che il giro di affari del social network è aumentato del 60%, ovvero 2,016 miliardi di dollari.

Attenzione, il giro di affari non è il profitto, che si aggira a soli 425 milioni di dollari, ve lo dico per specificare che quelli di Facebook tutto sommato non sono schifosamente ricchi, ma ricchi e basta. I proventi delle pubblicità da inserzioni mobili hanno raggiunto quota 880 milioni di dollari.

Ultimi due numeri: utenti mensili attivi 1,19 miliardi, di cui 507 milioni sono “mobili”.

 

Ora che vi ho fracassato le palline (niente sessismo, non trovo un’espressione adatta anche alle donne) con tutti questi numeri, posso provare a fare le mie considerazioni.

Il senso dei dati che ho riportato non è l’invidia nei confronti di Zuckerberg (non vorrei mai avere una capigliatura agghiacciante come la sua), ma si tratta di un tentativo per comprendere quale situazione sociale determinano. Visto che quando voglio parlo come uno serio?

Più di un miliardo di persone è “un utente attivo di Facebook”, e credo sia impossibile capire quanti di questi lo usano come canale pubblicitario (io, per esempio), come riserva di improbabili avventure, come mezzo di divulgazione sovversiva o per sbaglio.

Facebook unito alla follia dei telefonini, poi, è diventato micidiale. Tutti con cellulare in mano. Chiamatelo Tablet, Smartphone, Iphone, per me non cambia, sempre cellulare in mano è. Inevitabilmente, tutti con la testa abbassata.

Milioni di persone passeggiano schiacciando merde come non hanno mai fatto in vita loro, cadere nelle buche dei marciapiedi è diventata una delle prime cause di morte prima di giungere al Pronto Soccorso, gli incidenti autostradali oramai avvengono tutti al casello per “mancato avvistamento di una coda di auto in attesa”.

Migliaia di persone si sono perse oramai da mesi in giro per le loro città, e non sanno più come tornare a casa; ci sono signori anziani che, in attesa di notifiche da Facebook, sono talmente concentrati sullo smartphone  che oramai si sono rassegnati a cercare la loro abitazione, così quando incontrano quelli come loro, si scambiano gli indirizzi e vanno a trovare i parenti degli altri.

 

Avendo un negozio in un paese turistico (tranquilli, è in fase di fallimento, quindi non sono ricco come potreste pensare), ho visto con i miei occhi la follia partorita da Facebook.

Una ragazza sui vent’anni, un istante prima di ordinare un po’ di affettato ha chiesto agli amici di Facebook cosa potrebbe mangiare per pranzo, e solo dopo le prime risposte mi ha detto: “Ciao, mi puoi dare del Crudo di Parma?”. Poi, quando le ho chiesto quanto ne dovevo affettare, si è fermata un attimo per avere un nuovo consiglio da quelli di Facebook , e dopo qualche secondo mi ha detto con un bel sorriso: “credo che un etto vada bene”.

La spiaggia è il luogo dove gli effetti di Facebook sono a dir poco inquietanti.

Sono della classe ’78, e quelli come me sono sempre andati in vacanza al mare con un unico, martellante, ancestrale ed imperioso motivo: scopare.

Questo super-compito (sì, ho fatto teatro e so cos’è un super-compito, va bene?) comportava come conseguenza tutta una serie di atteggiamenti che rendevano le giornate in spiaggia esperienze mistiche: ore e ore sotto al sole facendo qualsiasi attività ludica col solo scopo di farsi notare dalle ragazze, tentativi spudorati di abbordaggio sulla battigia  -e quando una ragazza diceva “no”, si provava subito con quella dietro, per non perdere occasioni preziose- risate rumorosissime per i motivi appena accennati.

Oggi le spiagge sono luoghi più silenziosi degli obitori. Se vuoi trovare un po’ di pace per scrivere una poesia o riflettere sulla vita, puoi andare sulla spiaggia di Rimini alle cinque del pomeriggio, nessuno ti disturberà, perché sono tutti incollati ai telefonini, in linea su Facebook.

Ho visto un gruppo di ragazzi sdraiarsi sulla sabbia e restare zitti col cellulare in mano. Ad un certo punto, due giovani e innocenti fanciulle straniere (russe, credo) si sono sdraiate vicino a loro; i loro costumini erano così succinti che anche un ombrellone lì vicino ha avuto un’erezione e si è aperto da solo. Beh, i ragazzi non hanno fatto una piega. Si sono girati appena, hanno commentato sottovoce, e poi hanno chinato la testa sul telefonino. Probabilmente uno di loro ha scritto sulla sua bacheca “due gnocche si sono sedute vicino a me”, e i suoi vicini di asciugamano hanno cliccato prontamente un “mi piace”. Mi piange il cuore.

 

Una sera in pizzeria, dopo il lavoro, ho assistito all’episodio più spettacolare della mia vita.

Seduti al tavolo di fronte al mio, un uomo e una donna -forse quarantenni- aspettavano la loro cena e, ad un certo punto e con un gesto teatrale, l’uomo ha preso la bottiglia di Champagne, l’ha stappata e ha preso in mano il bicchiere di lei nel tentativo di versarle il prezioso alcolico. Lei lo ha bloccato, gli ha fatto la foto col telefonino e, mentre lui se ne stava fermo col braccio alzato e il bicchiere in mano, ha pubblicato la foto su Facebook. Subito dopo lui ha abbassato il braccio e lei gli ha mostrato orgogliosamente la foto appena pubblicata. In parole povere, non hanno brindato, però hanno ricevuto sicuramente un sacco di commenti positivi sulla loro bacheca.

 

Con uno studio di ricerca congiunta, il Prof. Dr. Peter Buxmann (Dipartimento di Sistemi Informativi del TU Darmstadt) e la Dr. Hanna Krasnova (Istituto dei Sistemi Informativi del zu Berlin Humboldt-Universität) hanno dimostrato che parecchi utenti di Facebook -un terzo degli intervistati- provano sentimenti frustranti dopo aver “sfruttato la piattaforma”.

Accedere alle notizie riguardanti gli amici -azioni, foto, comunicazioni interpersonali ecc.- comporta un senso di invidia, cioè l’auto-convincimento di non essere in grado di eguagliarli; di conseguenza, gli “invidiosi” pubblicano quante più informazioni possibili per recuperare dignità, generando però l’invidia di altri utenti. Questo circolo vizioso è chiamato “spirale d’invidia”.

 

È per questo motivo che molte donne, più o meno giovani, pubblicano foto sempre più spinte, nel tentativo di eguagliare (e non superare, il che fa molta differenza) qualche altra ragazza vista su Facebook. Diciamo che diciottenni in perizoma davanti allo specchio del bagno, con le tette lucidate e le labbra madide di saliva forse non sono proprio un pugno nell’occhio, ma rappresentano una deviazione del concetto di Social Network.

Social Network” può tradursi con “rete sociale” o “lavoro di squadra”, e credo che il lettore potrà pensarla come me se dico che, visto in questa ottica, anche Facebook può essere un mezzo fantastico per conoscere, farsi conoscere e creare insieme.

Purtroppo, la sanissima voglia di manifestare sé stessi attraverso canali multimediali, può trasformarsi in annientamento del proprio Io nella ricerca dell’Io altrui.

Non so che cavolo vuol dire, ma temo che stia accadendo sul serio.

Roberto D’Izzia

 

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16 Comments

    • beee beeeee beeeeeee
      ehm..
      Ciao Franci, sai qual’è la cosa che più mi sconvolge?
      Ho conosciuto decine di persone che, prese singolarmente, non avevano (hanno?) nulla di ovino, eppure quando si genera l’effetto massa, parte un gran belato.
      Inquietante.

    • Sì, Adriano, secondo me hai utilizzato un termine perfetto.
      Io ero già uscito da Facebook, poi mi sono iscritto nuovamente più che altro per condividere la mia satira del blog, gli articoli di Uki o i video dei miei spettacoli, ma sto seriamente macinando l’idea di cancellarmi per la seconda volta, a meno che non ne esce qualcosa di buono.

    • e allora fai quello che una vera fan deve fare: condividi i miei articoli ovunque, guarda i miei spettacoli su youtube, spargi la voce anche ai vicini di casa (non ai vecchietti perchè sarebbe difficile spiegare il mio cognome), manda lettere al Vaticano e proponi la mia beatificazione…

  • ma non è certo colpa dei social, che anzi, forse una delle prime forme democratiche e dirette di comunicazione. i coglioni siamo sempre noi come al solito

    • Esatto!
      Ho sempre lodato la potenza o potenzialità dei social – e di internet in generale – eppure mi rendo conto che si tratta di un diamante preziosissimo dato in mano a bambini distratti e mezzi rimbambiti dai Teletubbies.

    • Ciao Brenda, concordo. Nei reality, secondo me, la “spirale d’invidia” di cui parlo nell’articolo è elevata all’ennesima, grazie a due probabili fattori.
      Prima di tutto, i corpi in esposizione sono quasi sempre scolpiti e ostentati in maniera assolutamente folle (pettorali, bicipiti, culi, cosce), e centinaia di migliaia di persone vorrebbero partecipare al reality di turno per eguagliare quelle doti fisiche.
      In secondo luogo, il Sistema premia la banalità con fiumi di soldi e notorietà, invogliando così la “massa” a tirare fuori il peggio di sè, pur di avere lo stesso successo.

      • Esatto! Concordo pienamente. D’altronde sono le solite frustrazioni umane stavolta però amplificate dall’illusoria aggregazione della tecnologia che se da una parte maggiora la comunicazione dall’altro la rende univoca, mettendo in secondo piano quella relazionale/faccia a faccia.
        È sicuramente un miglioramento della comunicazione indiretta dei media tradizionali, ma capace di omologare in modo dissennato ogni informazione

        • Le informazioni, sia nella realtà sia nel virtuale, viaggiano sempre e comunque attraverso canali potenzialmente omologanti.
          Tradotto: dobbiamo, secondo me, sempre filtrare ciò che ci arriva dalla realtà e dal virtuale.
          L’omologazione sul web è lo specchio dell’omologazione nella vita reale, solo che lo strumento è talmente potente che ne decuplica gli effetti.
          Soluzione?
          Beh, mi viene da pensare che se il web moltiplica gli effetti dell’omologazione, allora può – dovrebbe – moltiplicare anche gli effetti positivi della contro-omologazione.
          Riusciranno i nostri eroi?

  • Da oggi fan della penna di Super Rò.
    Eliminatevi da ogni social network. Boicottateli. Evitateli. Disintossicatevi.
    Questo vorrei dire a ogni ragazzino che vedo incollato allo schermo. E ancor di più agli ultra-ventenni o trentenni che si ridicolizzano in pose e pensieri da adolescente acneico.
    Io l’ho fatto tempo fa e, nonostante uno strano ed estraniante senso di isolamento sociale, ho di sicuro riconquistato quel pezzo di realtà (realistica e concreta) fatta di tempo e cose da fare-pensare “fattivamente”. E a chi continua a chiedermi con terrorizzato stupore: “Perché non hai facebook?”, rispondo che “Ho altro da fare, altro da vivere”.
    Mortacci de SUCKerberg.

    • Ciao Mina, grazie! Intanto, in merito alla questione “fun” ti consiglio vivamente di leggere la risposta che ho dato a Raika..
      In merito a Facebook.. beh, io mi ero totalmente cancellato da due anni, ma da qualche giorno mi ci puoi trovare, voglio provare ad utilizzarlo come pubblicità per quello che faccio.
      Sono molto d’accordo con te sull’importanza della concretezza, anzi è una mia specie di battaglia, perchè ho sempre cercato di creare momenti di aggregazione.
      Ho avuto allievi a teatro che sparivano, nonostante ci si divertisse molto, ma temo che siano stati “risucchiati” dall’imbuto Facebook. Bello schifo, eh.
      Sta bene boicottare i social, ma come si fa a riportare tutti sulla strada?

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