Una giornata all’Arkham Asylum… ed è follia!

“Madness”: il nuovo volume illustrato per calarsi nei panni degli insani.. nel manicomio di Gotham City

«Forse tu non pensavi ch’io löico fossi!» dice il Diavolo per presentarsi a Dante nel XXVII canto dell’Inferno. Quando la logica e la ratio si piegano al servizio del disordine… lì si concentra il Male, talmente claustrofobico da far impazzire, capace di creare un vortice di pura follia… allora l’insanità ricerca nel crimine il mezzo per il caos, una bolgia senza alcun punto di riferimento fagocitata dall’oscurità, come appunto l’insana mente del criminale squilibrato acerrimo nemico di chi invece, per controllare la paura, la usa fino al sacrificio di sé pur di ristabilire le condizioni originali, quell’armonia perduta tuttavia oramai macchiata di sangue! Questo è l’immaginario dell’eterna lotta tra i maniacali piani criminali del Joker e l’eroe oscuro Batman creata dalle menti geniali di Bob Kane e Bill Finger.

 

Da qualche tempo è uscito il volume, “Arkham Asylum: Follia” (“Madness”), scritto e disegnato da Sam Kieth. Le illustrazioni di Kieth (matita dei primi cinque numeri di “Sandman”), valorizzate dal coloring di Michelle Madsen e Dave Stewart, sia grazie alla storia narrata che alla sperimentazione grafica, risultano essere un approfondito viaggio, pieno di spunti, nel luogo più oscuro e inquietante della città di Batman: l’ospedale psichiatrico Arkham, la struttura in cui vengono rinchiusi i più folli tra villain di Batman e uno dei luoghi topici di Gotham City.

Il personaggio che veicola il lettore all’interno della delirante realtà di Arkham è l’infermiera Sabine Robbins, giovane madre costretta a fare questo lavoro –turni di 24 ore compresi–  per pagare il mutuo. Attraverso i suoi occhi, chi legge può vivere l’orrore di un’intera giornata passata fra le mura di Arkham, giornata scandita ora per ora, in un crescendo di ansia, paura e nevrosi, dal tichettare di un orologio che perde sangue.
Nonostante l’istituto si trovi su un’assolata collina, basta varcarne i cancelli per ritrovarsi proiettati in una realtà da incubo. Da incubo non solo per i villain che sono lì rinchiusi (il Joker, Due-Facce, lo Spaventapasseri e tanti altri), ma anche per i soprusi e i ricatti che sono costretti a subire i lavoratori.

 

«Tracciate il pennone sottospecie di mozzi!! E’ il giorno della morte che dà alla vita il suo valore!»

«Nessuna causa è persa finché c’è un solo folle a combattere per essa»

 

06:00 Inizia la giornata.

E’ tutto qui, Madness. Una giornata dentro all’Arkham Asylum, a far compagnia agli infermieri, ai medici, agli inservienti e a loro… ai pazienti. Niente di più.

Potrebbe, in effetti, essere addirittura una giornata come le altre, per tutti loro. All’orrore ci si abitua. E invece no. Sam Kieth gioca proprio sul concetto di base della storia e della sua idea… e se il lettore guardasse al manicomio con gli occhi di qualcuno che non si è ancora abituato a quell’orrore? Gli occhi di qualcuno che ha ancora qualcosa a cui tenere (e da perdere).

Sabine è una donna forte, una madre e una moglie amorevole.

Intimo e discreto nella caratterizzazione dei personaggi, Kieth tira fuori dal cilindro delle idee interessanti (come la passione per il collezionismo del Joker) e delle tematiche profonde, innate nell’animo umano.

Tutto l’orrore del buio che sparisce, almeno per un momento, al pensiero della propria famiglia, del proprio bambino e dei pochi momenti di gioia che una donna può concedersi in una giornata incubo.

Eppure non c’è vittoria nella metafora della vita fornitaci dall’autore. Non c’è liberazione, solo momentanee concessioni di pace.

Quando sono pochi, ognuno impara ad amarli di più, i piccoli momenti.

Certo, voi che siete estranei alla routine non noterete i particolari. Lo sgabuzzino delle scope, il gocciolio dalle tubature, il ticchettio dell’orologio che rallenta.

Noterete però del sangue che cola, da quell’orologio. E la vostra tensione salirà, senza che riusciate a rendervi conto del perché.

Ci sa fare Kieth. E’ innegabile. Scrive ed illustra in maniera quasi maniacale, mettendo giù tutto quello che la sua fantasia gli suggerisce e confermando un’originalità piuttosto rara in un media che tende ad omologare, alle volte, soprattutto alle corti delle grandi case editrici.

Bisogna ammettere però che i livelli del grande capolavoro Batmaniano di Kieth, “Secrets“, non sono eguagliati. Non si raggiungono quei picchi di pathos, né ci si avvicina all’elevatezza qualitativa di quei dialoghi, eppure Madness si presenta come un progetto sincero e allo stesso tempo molto studiato, frutto di infinite rielaborazioni dell’autore stesso.

Non un lavoro tirato via velocemente, dunque. Ma la continuazione di un esperimento che Kieth porta avanti da un po’ di tempo, sin dai tempi di Secrets, cercando di estenderlo, evolverlo ed ammettendo di aver avuto dei momenti di stress dovuti proprio alla scrittura e alla realizzazione grafica di questa storia.

Consegnandolo alle stampe Sam si è promesso che a Gotham, e ad Arkham, non ci tornerà per un po’. A differenza di Sabine, una vacanza dall’orrore possiamo concedercela tutti.

 

 

 

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