The Who: quarant’anni leggendari da “Who Are You”

Musica e follia: l'ultimo storico album con Moon tra un concentrato di rock, a tratti grezzo, a tratti decisamente più elegante e raffinato

Il 1978 non è stato un bell’anno per gli Who. Oddio, non che durante la loro storia ne abbiano avuti tanti, di momenti positivi. Di certo non all’inizio della carriera, quando erano quattro scappati di casa abbastanza male assortiti (un ex-bullo – Roger Daltrey, un misantropo – Pete Townshend, un introverso patologico – John Entwistle ed uno psicopatico con la mania degli esplosivi che rispondeva al nome di Keith Moon). Ma non è che neppure nel periodo d’oro, quello che va da “Tommy” a “Quadrophenia”, le cose siano andate meglio: Townshend era continuamente sotto pressione, preda della sua stessa genialità e delle sostanze psicotrope. E poi c’era quel pazzo di Moon da tenere a bada, visto che combinava guai con la frequenza di oscillazione di un atomo di cesio133.

Ad ogni modo nel ’78 il rock tutto se la passava malissimo, a causa di una piccola cosa chiamata punk che, in uno dei grandi paradossi della storia, gli stessi Who, con il loro comportamento sempre perennemente oltre le righe, avevano contribuito a creare. E quel figlio degenerato ora considerava dei dinosauri loro, i Led Zeppelin, e tutta l’immaginifica stagione del prog, nessuno escluso. In un clima del genere, mollare la presa sarebbe stato naturale. Non per Townshend, che capisce il problema e prova a tirare fuori qualcosa di nuovo da questo abominevole caos culturale.
Comprende che la soluzione è provare ad unire la musica, ed è qui che nasce “Who Are You“. Un disco ibrido, punk, rock, pop, elettronico, e a tratti quasi operistico. Tutto contemporaneamente. Sembra una follia, ma ogni cosa è estremamente ben calibrata, basti pensare alla potenza della title track (che oramai è diventata “la sigla di C.S.I.” per buona parte dei “fruitori non praticanti di musica”), o all’incredibile guazzabuglio di “Guitar and pen”, che richiama alle Savoy Operas di Gilbert e Sullivan.

Tutto bello, ma intorno crolla ogni cosa: Moon ormai non è più in sé (morirà tristemente pochi giorni dopo la pubblicazione del disco), la band è stanca, svogliata e depressa, e fa palesi sforzi per nasconderlo, riuscendoci solo parzialmente. Il simbolo di tutto questo è la quinta traccia, con un titolo emblematico: “Music must change”. Un brano che racchiude tutte le frustrazioni e i paradossi di un decennio vissuto a mille all’ora, anche musicalmente: lo stesso Moon a causa delle sue pessime condizioni non sarà in grado di registrarlo, limitandosi a suonare il tamburello e a giocherellare un po’ con i piatti, rivelando di essere ormai solo l’ombra di quel mostro che era.

Il disco è però, a conti fatti, un vero capolavoro, perché segna la fine di un’era. Intendiamoci, gli Who hanno fatto molto di meglio; ma solo qui, e con il precedente “The Who by Numbers” (splendido oltre ogni misura), Townshend e compagni si confessano a cuore aperto.

Sono passati quarant’anni esatti, ma gli incubi dei geni non conoscono età; per questo vale la pena rispolverare un album così, ed ascoltarlo in modo approfondito.
Una nota finale merita la copertina, emblematica anch’essa: Moon, con lo sguardo beffardo che lo ha sempre accompagnato, è seduto su una sedia posta al contrario, sul cui schienale campeggia la scritta “Not to be taken away” (“da non portare via”): davvero nulla è casuale in questo disco, men che meno la storia successiva, che avrebbe deciso a breve di togliere i quattro di Sheperd’s Bush dal jet set della musica pop, cui avevano dato fin troppo, e di spedirli per sempre nell’Olimpo delle leggende.

 

Federico Ciampi

TRACKLIST:
New song
Had Enough
905
Sister disco
Music must change
Trick of the light
Guitar and pen
Love is coming down
Who are you

…«In your hand you hold your only friend
Never spend your guitar or your pen»…

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