Tempo moderno

Riflessioni semiserie tra un tic ed un tac

.Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac“.
Il regalo di Natale di mia sorella. Un orologio a lancette. Analogico. Dice che sono spesso in ritardo, perché non ne porto uno al polso. Non lo sa che sono spesso in ritardo perché non voglio dare la soddisfazione al tempo di stare al suo gioco, ma non fa niente.
Oggi sarei puntualissimo per dire. Non tanto perché saprei che ore sono, quanto perché non riesco a chiudere occhio a causa di quel maledetto ticchettio. E sono le tre di notte, ecco so che sono le tre di notte. Illuminante la cosa. Che poi a che serve un orologio oggi?
Le ore vengono segnate dai promemoria dei cellulari, scandite dalla voce registrata in metro o in autobus. In sovraimpressione sui titoli di coda di fine giornata. Ricordate dai gruppi di WhatsApp. A me spaventano i gruppi di WhatsApp. Sopratutto quando so che ne stanno per creare uno. Sotto i compleanni o in prossimità di festività come il Primo Maggio.
«Sono comodi» dicono. Io ne ho ventisette sul cellulare. Giuro. E l’unico che mi serve manco lo uso. «Sei antico», dicono. Loro sono “comodi”, io sono “antico”.
Loro sono “moderni” e mi regalano un orologio a lancette che non mi fa chiudere occhio per tutta la notte. Minchia che bastardi. È voluta dai. Una vendetta. Del tipo “non dormirai più per tutta la tua vita così sarai sempre puntuale”. La vendetta di mia sorella. Figlia di buona donna. La mia tra l’altro.
Sarà che io mi sento vintage, sarà che mi piaceva tanto girarmene per il corso senza orario e fermare le ragazze chiedendogli il numero di casa.
Era così bello. Così bello chiamare a casa e far girare quella roulette russa in cui potevi pescare la sua risposta alla cornetta, ma anche quella del padre, che di solito era di quelli pronto a prenderti a calci in culo al solo sentire «C’è sua figlia?».
Mi ci sono fatto le ossa a camminare su quel sottile filo, sospeso tra il vaffanculo genitoriale e il baratro della verginità. Mi hanno rovinato tutto gli Sms e quel cazzo di telefono portatile che per infilarlo in tasca dovevi averci i pantaloni almeno di due taglie più grosse, altrimenti sembrava che ti stavi portando dietro un manganello, o che ce l’avevi barzotto per tutto il giorno.
E poi le chat, Facebook, WhatsApp. «Sei poco social». Minchia, sono antico e pure poco social. Eppure sto’ spesso ai bar, nelle enoteche, nei pub. E continuo a rompere le palle alle ragazze, che però ora ti guardano strano.
«Ciao come va?».
«No scusa guarda, sto facendo una diretta su Instagram».
«Che stai a fa?».
Forse mi sono perso qualcosa per strada, forse sono antico davvero. Ma essere sociali un tempo significava comunicare con le persone. Significava condividere delle esperienze.
Mia madre mi diceva sempre «Cammina a testa alta che non guardi dove vai». E sono l’unico a non dare le tranvate ai pali della luce o delle fermate dell’autobus.
Minchia, le mamme hanno sempre ragione mi sa. Le sorelle un po’ meno. Specie se ti regalano un orologio analogico. A Natale. Specie se una sorella non ce l’hai.
E alle tre di notte non riesci a ricordarti che quel cazzo di orologio l’hai comprato te. Perchè faceva tanto “vintage”. Dovrei dire antico forse. Ma poi do’ ragione a mia sorella. Che non può avere sempre ragione.
Ora scusate vado a togliere le batterie a quell’ordigno infernale. Un attimo soltanto.
Minchia.
Il bastardo va ad energia solare.
Tic-tac, tic-tac, tic-tac.

 

Matteo Madafferi

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