Summer Hits

Ferie d'agosto, genuflessi alla realtá. Riveriamo sorridenti e sanguinanti... [Racconto breve]

Ecco che entra qualcuno dal viale… no forse il vento ha fatto cigolare il cancello arrugginito, avessi messo un po’ di svitol non avrebbe interrotto il mio lavoro. Ho le tempie sudate, le orecchie mi scoppiano, ma devo andare avanti, devo farlo per loro. La sega si inceppa, devo staccarla, ricominciare dal selciato già aperto. La notte sembra non finire mai, e in ogni caso il lavoro è ancora molto. Avanti e indietro all’infinito con il muscolo del braccio mangiato. Si, ricordo bene l’inizio della stagione balneare, nessuno aveva fatto caso alle ombre proiettate a giorno lungo l’intero litorale. Quel giorno dei primi di agosto il vento soffiava forte e alzava lungo la spiaggia iodio e salsedine. La luce del sole, irreale, come un set scenografico filtrava ombrosa attraverso il cielo umido. Lei era seduta al tavolino del baretto del lungomare, cappello nero a tesa larga, occhiali da sole come megaschermi, sporchi di sale e polvere, shorts e canotta, succhiava aranciata da una cannuccia e le labbra dal taglio netto e sottile mostravano una dentatura scintillante. L’aria intorno si era fatta un vortice di vento, gocce d’acqua e sabbia. Io le sorrisi e le chiesi se potevo sedermi lì. Lei parlava un buon inglese, sebbene fosse di chissà quale paese del cuore dell’Europa, carattere serafico o indolenza estiva, spiavo i lineamenti della sua bocca e si avrei voluto esserle lì nel vortice del suo alito quando con il suo accento marcava a fuoco le parole e succhiarle via l’anima. Si lasciò accompagnare lungo il viale assolato che portava alla sua abitazione, ridevamo come bambini, lei mi invitò a salire. Ora, non so con certezza che ora fosse, né a che ora provai a uscire dalla sua casa. Lei aveva capelli biondi e lisci e un viso angelico che ascoltava il battito delle mie arterie dal fondo di due occhi d’azzurro espanso e fondi come l’oceano. La sua bocca sapeva di arance e i suoi fianchi erano levigati quando le tolsi i vestiti di dosso e ci divorammo nel fresco della sua stanza, mentre intorno il mondo mutava. La luce gialla e viva che filtrava dalle persiane aperte sulla strada, andò via via scomparendo per far posto a una flebile e spenta luce bluastra, un aria gelida, impensabile fino a poco prima, penetrò dalle persiane fino ad arrampicarsi lungo la mia schiena. Non so quanto tempo trascorsi lì sul suo letto ad imprimere nella memoria le sue beltà, se ore, mesi o giorni. So solo che ci fu questa sessione interminabile e le sue lezioni d’inglese negli intervalli. Quando mi congedò e io salutandola con un «See you later» presi la mia strada, sembrava quasi sera e come se fosse da poco piovuto il diluvio universale e l’aria fresca degli abissi siderali fosse stata soffiata a gran potenza da un ventilatore intergalattico proprio lungo la mia strada del ritorno. Sentivo ancora il suo odore tutt’intorno e proseguivo con la mente vuota, quando notai sull’asfalto luccicante una enorme macchia di sangue con al centro quello che sembrava un cadavere. Sconvolto, e ancora incredulo, mi avvicinai , girandolo per una spalle vidi i resti di un uomo che era stato fatto a brandelli. La pelle sfilacciata, segni di morsi sul viso, sulle reni, un buco grande come un pugno nel torace, dove avrebbe dovuto stare il cuore che, invece, giaceva aperto come una albicocca troppo matura alcuni metri di distanza e che continuava a grondare di sangue. Ancora impaurito, trattenendo a stento i conati di vomito che stavano per prendere il sopravvento, corsi come un pazzo a cercare aiuto. L’orologio lungo la via segnava le tre e quarantotto, l’ora del diavolo suppongo. Per la strada solo silenzio e una ferma luce bluastra di un giorno che non voleva finire. Arrivai di corsa lungo la strada dei disco-pub, dove stanziava la solita movida notturna estiva. Trovai dinanzi una mattanza. Migliaia di cadaveri di turisti e gente del posto in villeggiatura sventrata, fatta a morsi. Ogni cadavere aveva il cuore a brandelli lanciato lontano dal corpo. I corpi giovani vestiti a festa, i trucchi sugli occhi, i tacchi a spillo, le t-shirt aderenti, le camice coreane, impregnati di sangue sfavillante nella luce bluastra. Forse svenni, o forse entrai in panico per pochi attimi che allora, in quel tempo sospeso nella luce perenne, divennero ore. Morte le modelle che mostrano le tette per attirarti a bere all’entrata dei pub, morti i rozzi Dj dai nomi improbabili, venuti chissà da quale buco intertemporale degli anni ‘80 fin lì solo per premere il tasto play del loro Mac e urlare sguaiati qualche amenità nel microfono, massacro della folla danzante smarritasi in una perversa escalation di volgarità, drink al veleno e idolatria del denaro. Svoltai l’angolo, passando per il lungomare, cadaveri da ogni lato, i clienti dei ristoranti con la testa spaccata sul fritto misto oramai freddatosi, i vucumprà e i venditori ambulanti delle fiere di paese spacciati, separati per sempre dalla merce da quattro lire, le comitive di burloni coi crani scoperchiati e il cervello sparso come un dipinto astratto. Mentre, nell’aria infernale di puzza e luce abissale, suonava ad alto volume e senza sosta la base di un karaoke: “Non dirmi mai…”. Sgomento, la fine del mondo era arrivata, ma si era scordata della mia anima, e mi compiacqui percorrendo a ritroso la strada per ritornar da lei in quanto nulla, al momento, aveva senso. Attraversando la piazzetta del villaggio scorsi sul palchetto montato per l’occasione la presenza di alcune sagome sul palco, mi avvicinai nascosto tra gli eucalipti e i pini. Sul palco presenze avvolte da una forte luce bluastra stavano dando atto ad una premiazione. Il presentatore rivolto ad un pubblico invisibile, camicia sbottonata e pelo in vista, qualche chiletto di troppo, con forte accento locale, e parlata da uomo della strada, stava stilando la classifica per i mediocri tra i mediocri, «Coloro che nel corso dell’anno meglio si sono conformati al trend generale», che man mano, sfilando, ritiravano il premio e incassavano un silenzioso applauso dal pubblico invisibile. «Al Cavalier Commendator Gran Duca Umberto del Casato d’Angiò, per aver negli ultimi due mesi lanciato e sponsorizzato, coi soldi del granducato, la sua linea uomo mare Gigiò – mocassino fluo, pantalone di tuta scosciato e giacca con doppio avvitamento sulla panza; all’editore Gerolamo D’Alessandria, per la sua rivista patinata fatta di scandali e trombate – e la sua stalla di comparse mezzo sangue; al regista Carpanzano per la sua serie infinita di film d’autore flemmatici e innocenti, che tanto hanno entusiasmato questo pubblico di coglioni; al rapper Gerontex per aver ottenuto due miliardi di visualizzazioni sul proprio sito internet, cinquanta gigantografie su cartelloni pubblicitari locali in cui è ritratto mentre con posa sessuale morde una soppressata tastandosi l’addome scolpito, nonché l’amore incondizionato dei fans della scuola elementare di Abbiategrasso. E infine, ultimo, ma non per questo meno importante, chi mediocre tra i mediocri era destinato a ciondolare tra negatività e indolenza, a ridere dei mediocri cadere, ma che con un gesto del tutto naturale ha ripercorso le prodezze cinematografiche della commedia porno italiana anni ’70». A questo punto una grande luce bianca esplose dal cielo proprio su di me, braccandomi dalla pineta in cui mi ero imboscato per assistere allo spettacolo surreale. Corsi. Con il cuore in gola, le ginocchia pesanti sull’asfalto, rincorso da tutti i premiati e dal presentatore. Le loro auree bluastre mostravano visi di cera fatiscente. Rinunciai alla bionda, raggiunsi casa mia, chiusi la porta dietro, chiusi tutte le entrate, sbarrai le finestre. Smontai la libreria nello scantinato e ora, con la sega in mano, sudato come ad agosto sotto il sole caldo, inchiodo assi alle finestre. Non reggeranno ancora per molto, sebbene abbia perso il conto dei giorni, loro sono qua, proprio dietro queste assi di legno, sento la loro luce vibrante pulsare. Entreranno, alla fine, sono sicuro. E lei sarà in prima fila per ridurmi come gli altri cadaveri. Mi getterà sul pavimento, dalla sua bocca zanne mostruose si chiuderanno sulla mia bocca, le sue unghie artigli di ferro entreranno nel petto, mi strapperanno il cuore e lo faranno a brandelli, poi la sua mano lo lancerà lontano. Io finirò annegato dentro la pozza del mio sangue e sullo schermo nero spunterà la scritta in Times New Roman “FINE”.

 

Giancarlo Pitaro

 

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