“Stoner”: la vita qualunque di un uomo qualunque

Quando il passa parola dei lettori e il tam tam sui social network creano la fama di un romanzo

.«La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato».

 

A volte il passa parola dei lettori e il tam tam sui social network riescono a fare la fama di un romanzo. È quanto è successo con “Stoner“, terzo romanzo di John Edward Williams (1922-1994).

Quando si dice i casi della vita. Pubblicato per la prima volta nel 1965, in cui era arrivato alle duemila copie, venne poi dimenticato per decenni. Dopo la ripubblicazione del romanzo, prima in una riproposta del 2003, poi nel 2006 per “The New York Review of Books Classics”, e infine nel 2011 (con postfazione di Peter Cameron); e dopo che l’autrice di best-sellers Anna Gavalda ha deciso di portare il libro in Europa traducendolo in francese (“Le Dilettante”, 2011), “The Stoner Phenomenon” è decollato verso un successo ogni giorno più grande. Si tratta di un libro commovente, dotato di un’attualità senza tempo e di una notorietà che il suo autore non ha potuto godersi.

In Italia è uscito soltanto nel febbraio 2012.

 

Il romanzo racconta la vita di William Stoner, un uomo americano che seguiamo dall’infanzia contadina nelle campagne di un desolato Missouri fine ‘800 sino ai primi anni del ‘900 quando a 19 anni si iscrive all’università. Ed è proprio in quell’ateneo che passerà tutta la propria esistenza. L’ambientazione universitaria è più che altro uno scheletro narrativo di base per raccontare una storia in cui c’è dell’altro; l’università rappresenta un mini-universo in cui il nostro personaggio si chiude, tutto accadrà fuori da quelle mura, ma non per lui: la prima guerra mondiale, la crisi del’29, la Grande Depressione, il secondo conflitto mondiale, il progresso. Ma per Stoner gli unici grandi conflitti sono le piccole baruffe del quotidiano: un matrimonio fallito già la prima notte di nozze, l’invidia dei compagni prima e dei colleghi di università poi, una figlia anaffettiva che darà alla luce un bambino solo per andare via dall’inferno domestico della vita familiare degli Stoner, un’amante giovane ma pronta a sacrificarsi in nome dell’amore, una moglie con cui non comprende più se sono vecchi amici o nemici ormai esausti, poi la malattia, la pensione, la morte.

Una vita apparentemente grigia, piatta, tanto da dubitare che fosse degna di essere vissuta e che nascondeva invece sotto la cenere della monotonia e dell’inettitudine una grande capacità di provare emozione e passione, pur non riuscendo mai a comunicarla, a trasmetterla, a lasciarla trasparire.

Questa emozione e passione la incontriamo per la prima volta, quando il giovane Stoner, andando contro i desideri dei genitori, decide di cambiare facoltà e passare da Agraria a Letteratura Inglese. Ascoltando una lezione di letteratura (si tratta del “Sonetto 73” di Shakespeare, noto anche come il sonetto dedicato all’autunno), il personaggio vive un’esperienza di uscita dal tempo e dallo spazio contingenti, e decide cosa farà da adulto.

Stoner ha vent’anni, eppure capisce che il segreto della letteratura, e della sua esistenza, sarà questo: saper imparare ad amare la vita tanto più quanto più ne cogliamo, come nel sonetto di Shakespeare, i suoi tratti di passaggio verso la dissoluzione, come nell’autunno.

Il romanzo si costruisce intorno a ciò che il protagonista ha deciso di amare –perché Stoner, sia chiaro, non è un inetto, malgrado tutto: saprà tenacemente amare il suo lavoro, la figlia, Katherine, anche se, o proprio perché, sa che dovrà lasciare tutto questo fra breve.

 

Nel romanzo di Williams il narratore manda a Stoner la morte fin dalla prima pagina: tutto ricomincia da lì; e possiamo pure dire che tutto finisce dall’inizio. Chi legge segue il protagonista nella sua vita verso la morte, come un personaggio in temporaneo esilio dalla stessa.

Ci sono esseri la cui mitezza sembrerebbe inspiegabile, a volte persino irritante, ma che tuttavia nascondono in sé una forza insuperabile che è quella della rassegnazione. Perché alcuni scelgono una lotta più difficile, tutta interiore.

Stoner, ha compreso che: «Era se stesso, e sapeva cosa era stato».

Sapere chi si è, e cosa si è stati: questa è la verità del personaggio, e qui consiste il fascino di Stoner.

Bellissima la tranquillità, la mitezza del personaggio, il modo in cui attraversa quasi con rassegnazione l’esistenza e ci domanda “Che cosa ti aspettavi?”.

 Katia Valentini

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