I sette fratelli Cervi [Recensione]

“Dopo un raccolto ne viene sempre un altro” (cit. Alcide Cervi)

Bertolt Brecht in una sua frase dice: «Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere».
Il film “I 7 fratelli Cervi” di Gianni Puccini incarna magistralmente l’idea di Resistenza intesa come difesa della dignità, propria e altrui, di fronte ai soprusi e ai crimini della dittatura fascista.
Una storia terribilmente vera, ma raccontata con profonda onestà intellettuale. Una vicenda capace di esprimere la formazione e i sentimenti di giovani uomini attraverso la responsabile presa di coscienza di una famiglia tutta, unita nella terra e nell’antifascismo.

I sette figli di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Ovidio, Agostino ed Ettore, sono i simboli reali della voglia di vivere e progredire opponendosi a qualsiasi ingiustizia e mentalità reazionaria.
Un forte elemento che caratterizza tutta la pellicola sono proprio i due genitori: Alcide e Genoeffa che, negli sguardi, nei silenzi e nelle frasi asciutte, lontane da ogni enfasi retorica, trasmettono ai figli, e allo spettatore, la forza di resistere alle angherie del fascismo. Genitori che, con la saggezza della terra, proiettano il sentimento del bene collettivo insegnando ai ragazzi l’importanza di non bruciare la dignità.
Con un soggetto e una sceneggiatura di Bruno Baratti, Cesare Zavattini (il braccio destro e sinistro di Vittorio De Sica) e Gianni Puccini il film è sapientemente equilibrato nel ritmo narrativo, con flashback che lasciano spazio alla rievocazione di episodi precedenti e interpretazioni potenti che rispecchiano un cast strepitoso dove Gian Maria Volonté (Aldo Cervi), Elsa Albani (mamma Genoveffa Cervi), Riccardo Cucciolla (Gelindo Cervi), Serge Reggiani (Ferrari, il “maestro” antifascista in carcere), Lisa Gastoni (Lucia Sarzi) e Carla Gravina (Verina), solo per anticiparne alcuni, si muovono con una delicata quanto perfetta alternanza tenendo il pubblico sempre attento ai fotogrammi di tutta la drammaticità della vicenda.

Rivedere oggi, un capolavoro del 1968, non è soltanto una scelta emotiva o informativa. Nel film non c’è alcuna traccia di calcolato o superficiale intrattenimento. Vedere, rivedere o consigliare di scegliere il lungometraggio “I 7 fratelli Cervi” significa prendere coscienza della nostra storia di esseri umani. Riacquisire consapevolezza del significato di democrazia che, forse, troppo spesso diamo per scontato.
Non è solo cinema di impegno civile e storico, è un capolavoro che può, a distanza di più di 50 anni, destarci da un intorpidimento culturale.
Potremmo riscoprire una bella forte sensibilità per la rivelazione del valore del termine dignità, quella stessa dignità ormai preda del profitto e di un egoistico abbrutimento sociale.
La narrazione si concentra negli ultimi tre anni della vita dei sette fratelli. La scelta registica di Puccini è incentrata soprattutto nel chiarire la psicologia, i rapporti familiari e i piccoli e grandi episodi che condussero i figli di Alcide a proiettarsi con decisione, già negli anni della dittatura antecedente alla guerra, verso la lotta antifascista.
Come anticipato i flashbacks, in bianco e nero, ci riportano indietro donandoci immagini di un passato che affresca uno scenario importante, necessario per comprendere il presente rievocato. Molto coinvolgente l’incontro in carcere tra Aldo e il comunista Ferrari. Quest’ultimo lo formerà attraverso la forza della conoscenza con libri e confronti sull’importanza del libero arbitrio e del senso collettivo fondamentale per condurre un popolo alla rivolta.
Attraverso la cultura i fratelli condividono e crescono, creano una biblioteca, capiscono l’importanza di rendere pianeggiante il terreno, si oppongono al proprietario retrogrado che non vuole comprendere l’innovazione, mantengono la dignità e davanti all’imposizione di lasciare tutto com’è e se ne vanno a cercare un posto dove rendere fertili le loro idee. Acquistano un trattore sul quale fissano un mappamondo perché il sapere va sempre tenuto presente anche davanti al duro lavoro nei campi.
Realizzano un pozzo conquistando l’autonomia dell’acqua. Volontà di emancipazione collettiva e terra come vita che si alternano ai pochi attimi di tranquillità tra le feste di paese e gli incontri con ragazze che diventeranno le loro spose.
In anticipo sui tempi la scelta di Aldo, il più grande, che decide di portare alla casa di famiglia Verina (Carla Gravina) la donna che ama e che non ha volutamente sposato “perché non sta al parroco decidere chi si vuole bene”.

La sequenza delle scene ci accompagna attraverso un significato preciso, il regista riesce, malgrado la quantità di eventi da narrare, a condurci verso la sensibilità ribelle che parte da Aldo e si diffonde verso tutta la famiglia. Importante l’episodio nel teatro dove l’attrice Lucia Sarzi, interpretata da Lisa Gastoni, recita volutamente brani atti a far nascere una presa di coscienza nel pubblico. E Aldo comprende immediatamente il messaggio ed entra subito in contatto con un gruppo comunista clandestino. Nella sua completezza il film disegna l’itinerario dei fratelli che dal cattolicesimo passano per il socialismo paterno fino a giungere al comunismo di lotta rifiutando le direttive dogmatiche. Arrivano i tempi di guerra con i primi segni di lotta partigiana. Azioni dimostrative tra città e campagna. Le andate e i ritorni dalle montagne al cascinale mentre papà Alcide e mamma Genoeffa accolgono, nascondono e sfamano decine e decine di ex prigionieri perseguitati dal regime fascista. Ed è proprio in una notte che la cascina viene circondata dai fascisti che vigliaccamente danno fuoco alle stalle. È il 25 novembre 1943 i fratelli Cervi, dopo una coraggiosa resistenza, si arrendono perché, tre le fiamme, sentono di dover salvare la vita di donne e bambini. Viene preso anche papà Alcide che verrà subito separato dai figli e scoprirà la loro fine molto tempo dopo. Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Ovidio, Agostino ed Ettore Cervi insieme a Quarto Camurri, vengono condotti al Poligono di tiro di Reggio Emilia e fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943.

Una storia di donne e uomini, di terra e raccolti, di e volontà di emancipazione e resistenza. Nessuna retorica eroica, in questo tipo di cinema stiamo parlando di esseri umani.

Stefano Pavan

Regia: Gianni Puccini
Sceneggiatura: Gianni Puccini, Cesare Zavattini, Bruno Baratti
Fotografia: Mario Montuori;
Montaggio: Amedeo Giomini
Musica: Carlo Rustichelli;
Interpreti: Gian Maria Volonté (Aldo Cervi),
Lisa Gastoni (Lucia Sarzi),
Carla Gravina (Verina),
Elsa Albani (mamma Genoveffa Cervi),
Oleg Jakov (papà Alcide Cervi),
Serge Reggiani (Ferrari, l’antifascista in carcere),
Don Backy (Agostino Cervi),
Riccardo Cucciolla (Gelindo Cervi),
Renzo Montagnani (Ferdinando Cervi),
Gino Lavagetto (Antenore Cervi),
Ruggero Miti (Ovidio Cervi),
Benjamin Lev (Ettore Cervi),
Andrea Checchi (Dante, il “francese”),
Rossella Bergamonti (la moglie di Antenore),
Virgilia Dorval (la moglie di Gelindo),
Gabriella Pallotta (la moglie di Agostino),
Duilio Del Prete (Dante Castellucci),
Massimo Foschi (Don Pasquino Borghi),
Produzione: ALBERTO MORETTI per Centro Film;
Girato nel 1967 e uscito nel 1968;
Durata: 105′.

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