Sallustio ovvero dell’eredità (3^ Puntata)

di Andrea Tozzini

A Sallustio tremavano le palpebre. Quella scomoda sensazione d’impotenza che si ha nei confronti dei propri muscoli quando questi decidono di battere come tamburi, lo pervadeva, convincendo la sua rabbia a muoversi contro il fratello Bontone. Dopo la messa funebre, placati che si furono gli animi, la bara della defunta venne posta nella carrozza nera, e i cavalli con i pennacchi cominciarono a dettar l’andatura del corteo funebre.

Subito dietro tutta la famiglia faceva a gomitate per mostrare al paese chi fosse il più meritevole di lode. In testa capeggiava Bontone, che stringeva il braccio di sua madre, sorretta anche dal marchese suo marito. E via via la selva dei parenti veniva lenta, e lacrimevole. Sallustio per ultimo, cantava una canzone che gli aveva insegnato sua nonna da piccolo che faceva pressappoco:

Sulla collina
sta il maresciallo
bagaglio in spalla
lui morirà,
ZanZan! –

Poi scoppiava a ridere seguito da un paio di mendicanti che dalle scalinate della chiesa gli si erano affibbiati, dopo che quello gli aveva elargito un paio di monete false.
– Ragazzi miei! – disse ai suoi compagni – non so voi, ma io credo molto nel detto che dice: “piano piano si va lontano.  Forte forte, si va alla morte!” e qui, sebbene si stia andando verso un cimitero, procediamo veramente troppo lenti. Quindi avrei bisogno della vostra nobilissima partecipazione ad un progettucolo che avrei piacere di esporvi in disparte – e si sfilò un altro paio di banconote dalle tasche, parlando a quelli negli orecchi pieni di mosche, che cominciarono a ridere tanto il piano di Sallustio garbava loro.

– Andiamo! – disse poco dopo.

Le cose si svolsero più o meno nel modo seguente. Sallustio aumentò il passo, insieme ai debosciati suoi compari, fino a superare tutto il corteo. Sotto gli occhi stupiti dei suoi familiari, montò su in cassetta e scalzò il cocchiere che i due mendicanti trattennero con la forza. Poi indossato il cilindro di quello si girò verso il corteo e gridò frustando a più non posso i cavalli

– Forte forte, si va alla morte! – e partì verso il cimitero.

La marchesa Asmatici quasi ebbe un collasso, mentre il marchese De Stanchi cominciò a bestemmiare a più non posso nei confronti di suo figlio, maledicendo il giorno che i suoi lombi ebbero l’imprudenza di gettarsi così senza senno dentro l’utero di sua moglie.  Gli altri sembravano formiche cui fosse stato appiccato un incendio nelle viscere. Nessuno sapevano cosa esattamente si dovesse fare, ora che il feretro da seguire correva via lontano. Intanto Sallustio cantava la sua filastrocca, attraversando al galoppo il paese, che era tutto affacciato alle finestre.

– Piangete gente! Piangete! Hanno rubato una vecchia da morta! – gridava Sallustio – Io sono il ladro gente! L’ultimo di una famiglia di ladri! Mio fratello me l’ha insegnato, derubando prima di me la vecchia dentro questa carrozza! Bontone si! Il vostro amato Bontone! Ha fatto suo il testamento di mia nonna! – e continuò a gridare mentre impazzava nella corsa verso il cimitero.

Quando arrivò, trovò i becchini pronti a trasportar la bara verso la tomba, che subito gli chiesero dove fossero tutti gli altri.

-Arriveranno cari, arriveranno non preoccupatevi. Intanto andiamo faremo senza di loro –

Nel frattempo il corteo procedeva quanto più velocemente possibile lungo la strada verso il cimitero. La gente alle finestre parlottava, indicando di tanto chi Bontone, chi la marchesa. Alcuni gridavano “Ecco il ladro! Chiudete a chiave le porte!”, altri invece si facevano solo delle grosse risate a veder un corteo funebre senza feretro. Bontone, scosso da quanto sentiva alle finestre, prese da parte i cugini Morlacchio e Bebone.

– Qui son cazzi, cari ragazzi. Se non si fa subito qualcosa, rischiamo grosso tutti e tre! – disse
– Ah beh – rispose Bebone – quelli là ce l’hanno con te, mica con noi caro cugino –
Bontone cacciò dalla giacca un coltellaccio e senza farsi notare lo appoggiò sotto la giacca di Bebone
– Ah si? Ti ricordo cugino che… o meglio… dovrei ricordare a tua moglie, e alla tua – disse rivolto anche a Morlacchio – dove si trovavano ieri sera i vostri flaccidi ammennicoli. E per dio, sarebbe pure sacrosanto far cornute donne come le vostre, ma l’uno con la moglie dell’altro, questo sarebbe troppo pure per loro… –
– Cugino, non ti permetto! – provò a ribattere Bebone, quello del canto suo si fece più vicino, pungolando la molle pancetta del fedigrafo.
– Ah no? – poi rivolgendosi al corteo poco distante gridò – Ansiosa! Suspicia! Venite di corsa, ho da parlarvi urgente! – e rivolgendosi di nuovo a quello – ora vedremo cosa posso permettermi e cosa no, e quanto varrà la parola vostra dopo che in giro si saprà che vi fate cornuti a vicenda scopandovi le due sorelle di casa De Odiosi –
– Per dio Bontone, e sia, ti aiuteremo, ti aiuteremo, ma non dire niente alle nostre mogli! – rispose Bebone.
– Richiamale! Richiamale! Ti prego, richiamale! – supplicò Morlacchio.
– Meglio! – disse Bontone e ripose il coltellaccio nel cappotto – allora ascoltate bene quello che ho da dirvi. Questo pomeriggio ci sbarazzeremo di mio fratello Sallustio una volta per tutte! –
Intanto sopraggiungevano le sorelle De Odiosi.
– Che c’è Bontone? Avevi da parlarci? Di’ pure! – disse Ansiosa.
– Nulla tesorino, nulla, torna pure dagli altri – gli rispose intromettendosi Morlacchio.
– Come niente? Zitto coglione – poi rivolgendosi alle sorelle disse loro – Care creature, la situazione si è fatta pesante e insostenibile. Credo che sarà meglio portare tutti a casa mia, dove discutere sul da farsi. I vostri nobili mariti, Dio solo sa quanto legati alla povera nonna, provvederanno loro affinché la sepoltura avvenga, almeno quella, nel più normale dei modi possibile. Riferite così a tutti, io scambierò ancora una parola con Morlacchio e Bebone – prese le mani di quelle e se le portò al petto, stringendole forte.
– Certo Bontone, faremo come dici tu. E voi, mariti nostri, fate come dice lui. A più tardi… – disse Suspicia.
– Bene, due stronze in meno – disse Bontone appena quelle furono lontano.
– Bontone! Ma come ti permetti! – sbottò Morlacchio.
– Suvvia, d’altronde non si sa nemmeno più quale che sia la moglie o il marito, e ora ci sono cose ben più importanti da permettersi cari miei –
– Spiegaci il tuo piano, andiamo! – disse Bebone
– Mentre io tratterrò tutti a casa mia, voi raggiungerete Sallustio al cimitero. Quando la bara sarà calata nella tomba di famiglia, spingerete Sallustio giù con essa, e lo chiuderete dentro quel buco. Nemmeno l’inferno potrà sentire le sue idiozie! Tenete – e passò una busta piena di banconote ai cugini – questo è perché nessuno dei becchini fiati.  –
– E perché tu non vieni con noi? Voglio andarci io a casa a trattenere i parenti! – disse Morlacchio.
– E con la tua provata autorità riusciresti come me a fissare la lettura del testamento a domattina? Ora andate, ci vedremo più tardi, e nessuno saprà più niente di Sallustio. Addio e domani saremo ricchi! –
Bontone raggiunse il corteo e si diresse insieme ad esso verso casa, mentre i cugini, chiamato un taxi, sfrecciarono verso il cimitero.

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