Queens Of The Stone Age @Rock In Roma (06/2014)

Un concerto al fulmicotone, canzone per canzone... solo per rocker!

Si è aperto ieri il “Rock in Roma” e si è aperto con i controcazzi.
Si perché per la prima volta nella storia della Città Eterna, ecco che arrivano i Queens of the Stone Age (band che non ha bisogno di presentazioni, e se per caso ne avete bisogno voi… significa che state leggendo l’articolo sbagliato, e che potete andare a fare in culo a leggere da un’altra parte, grazie 🙂  Dopo 2.768 anni di Storia, dopo aver visto l‘ascesa in cielo di Romolo, la morte di Cesare, il crollo dell’Impero, il Barocco, Alemanno e Papa Ratzinger, poteva dico io la nostra bella città perdersi i QOTSA? E dai su, non scherziamo.
La giornata è assolutamente soleggiata e promette bene, io arrivo presto in quei dell’Ippodromo di Capannelle (luogo che ospita la manifestazione), mi metto in fila e mi prendo una birra per ammazzare l’attesa. Il concerto si fa al palco centrale, e quindi una volta entrati dai cancelli, c’è un po’ da camminare per giungere fin dove è allestito il palco. Si attraversa tutta una festa in cui si beve e si mangia e si comprano cose. Capisci subito che lo sponsor principale-totale è il PostPay, e se ce l‘hai ti fanno gli sconti per comprare le cose. Io non ce l’ho, e pago la birra €5,00 al bicchiere.
Il palco spicca da subito per via della sua mole, davvero degna di quella dei palchi per i grandi Festival internazionali. Una volta giunto in prossimità, mi prendo un’altra birra per ammazzare l’attesa e poi mi posiziono davanti ed al centro del palco. Non ci sono subito i QOTSA. Loro magari stavano ancora mangiando qualcosa, magari li hanno portati
all’Ariccia, che dall’Appia è proprio un attimo. Comunque… ad aprire le danze o scaldare il pubblico o come vi pare, ci sono We Are Scientists, che da questo momento in poi con il vostro permesso chiamerò WAS. Salgono intorno alle 20:45, e per tutto il tempo ci provano seriamente. Il pubblico dopo il quarto pezzo inizia a risponde ai divertiti “Grazie” del cantante Keith Murray con dei “grazie” meno divertiti, che intendono dire “grazie a voi ragazzi, ora potete anche andare, ok?”. Non per colpa dei WAS, intendiamoci, loro ci provano seriamente, ma la voglia di vedere Josh Homme e soci si fa mano a mano sempre più insistente, e questo non sempre porta un effetto benefico nelle persone ubriache di birra al prezzo che sapete. Keith Murray fa finta di non vedere le diverse paia di mani che lo invitano a andare via, e continua a saltare nella sua aderente camicia a scacchi rossa. È decisamente brizzolato, e nei video del gruppo appare molto più giovane di ora, il che mi fa dubitare sulla data di pubblicazione dei video suddetti. Comunque… il resto della band si compone di Andy Burrows alla batteria e Chris Cain al basso. Dopo una decina di pezzi e un paio di centinaia di inviti ad andare (andate a prendere una birra, portatevi 5 €, ragazzi) se ne vanno ed annunciano i QOTSA. Tutto tace (tranne le urla del pubblico, certo) fino alle 22:00 circa, quando un conto alla rovescia di un minuto s’illumina sopra il palco. E’ l’ora, ci siamo.

Il pubblico si unisce forte al conto alla rovescia. I Queens of the Stone Age entrano tutti intorno al 37. Josh no. Lui entra al 25 perché il 25 fa più figo. É un numero decisamente più rock ‘n’ roll. Comunque, camicia azzurra e pantalone che potrebbe essere blu scuro o nero, non vedo bene. Troy Van Leeuwen è sempre elegante nel suo completo scuro. Nel frattempo che vi ho informato circa l’abbigliamento dei due, ecco che il conto alla rovescia arriva a 4.
3.
2.
Buio.
Boom.
Le prime note sono quelle di “You Think I Ain’t Worth a Dollar, But I Fell Like a Millionaire” dall’album “Songs for the Deaf” (2002) e quando attacca la batteria si vede il delirio a perdita d’occhio. La folla scalciante fa alzare un polverone che ci copre tutti, e Josh Homme promette in pieno quello che sta cantando: «I’ll be Massive Conquistador…» ..il Conquistatore Massiccio venuto da lontano per l’occupazione sonica del nostro territorio.
Neanche a dirlo, sono subito tutti conquistati&aggiogati dalla chitarra di lui.
Dopo la prima seguono altre due bombe del panorama rock: “No One Knows“, sempre dallo stesso album, e “My God is the Sun” primo pezzo live della serata estratto dal
nuovo album “Like Clockwork” (2013).

Il pubblico è caldissimo perché ha capito l’andazzo: niente prigionieri per stasera. Il gruppo è in gran forma e Josh urla al cielo il suo caldo inno pagano: «Curali, con il fuoco dall’alto/ In ginocchio, il mio Dio è il Sole…», ed intanto tutti i pagani presenti hanno iniziato a risuonare.

Neanche una parola e Josh Homme accenna lievemente il riff di “Burn the Witch“, singolo di punta dell’album “Lullabies to Paralyze” (2005). I colpi sordi che introducono il pezzo sono tanto potenti ed oltraggiosi da somigliare al Diavolo che bussa alla tua porta: altro che i colpi del destino nella Quinta di Beethoven. Qui c’è proprio il Diavolo o qualche altro demone antico sul pianerottolo. Solo i bravi ragazzi non aprono.
I colpi sordi sono inframmezzati dal coro del pubblico e il sabba ha inizio.

Smooth Sailing” (da “…Like Clockwork”) con la sua sinuosità e “In my Head” (“Lullaby to Paralyze”) allentano un po’ la tensione fisica che a questo punto è davvero impetuosa.
Dopodiché Josh Homme parla per la prima volta, ringraziando tutti, ricordando che è la prima volta che viene a Roma, città che lui ama moltissimo, (potevi venì prima
allora, a noi sempre qui ce trovavi) e chiedendo se siamo pronti a divertirci fottutamente. E noi siamo pronti.
Quindi neanche il tempo di prendere fiato ed ecco che arriva “Feel Good Hit of The Summer” dall’album “Rated R” (2000) e arriva proprio quando tutti l’aspettavano, fresca e
ritmata come sempre. Segue dallo stesso album “The Lost Art of Keeping a Secret” con il suo consiglio universale «Qualunque cosa fai, non dirlo a nessuno».
Dean Fertita alle tastiere annuncia il tema di “…Like Clockwork“, che inizia proprio così com’è: delicata e disperata. Homme si aggrappa all’asta del microfono, e il suo falsetto si posa sottile sulle note del pianoforte, mentre la prima strofa spiega nell’aria le sue ali melodiche, e si fa strada tutt’intorno una commovente e soffice disperazione.
Si continua poi con il disco in promozione, e parte la grottesca e divertente “If I Had a Tail“, che ci riporta tutti in prima linea. “Little Sister” da “Lullaby to Paralyze” viene presentata con la solita dedica a Natasha Shneider, compianta musicista e amica della band, già in tour con i QOTSA nel 2005. “Make it With Chu” dall’album “Era Vulgaris
(2007), si insinua tra il pubblico come solo un capolavoro musicale sa fare, con quella parte vocale che permette ad Homme di giocare al crooner e di ammiccare alle (nostre) donne.

Le canzoni che seguono sono “I Sat by the Ocean” sempre dal disco in promozione, la a dir poco travolgente “Sick sick sick” (Era Vulgaris) e la tossica “Better Living Through Chemistry” (“Rated R”), più che un titolo un consiglio da seguire per tutti i giovani lettori di questo articolo.

Poi l’attesissima “Go With the Flow” (“Songs for the Deaf”), che appena inizia fa capire subito il motivo di tanta, tanta trepidante attesa da parte del pubblico. A questo punto i ragazzi salutano, ringraziano, promettono di rivederci presto e se ne vanno.
Il silenzio è rotto solo da rutti, urla barbarico-isteriche ed incitamenti vari. Gli incitamenti vari (o forse i rutti?) provocano l’effetto voluto. I QOTSA tornano dentro.
Homme si siede al pianoforte e tutti capiscono che è il momento di “The Vampyre of Time and Memory” struggente ballata estrapolata dall’ultimo album che vede, per l’appunto, Homme al pianoforte. Ed eccolo lì Joshua Homme, 41 anni cazzo, il campione del rock n roll, testa di serie, dischi d’oro ecc, ecc… eccolo che urla al cielo sono sopravvissuto, hurrà!, e lui si che lo può cantare, lui che è passato per tutto, che mille volte ha cambiato la formazione alla band e mille volte è riuscito a renderla sempre così convincente. È sopravvissuto e lo grida forte, lui che poteva andare a morire come tutti in un lavoro di merda, o nel magma di quelli che ci provano a fare i musicisti rock, ma che poi proprio non ce la fanno, e lo sapete tutti che sono loro la maggioranza. Lui ce l’ha fatta, è l’eletto (..del popolo eletto inoltre, perché mi pare sia ebreo) e ce lo dice, e non è vanità e non sembra spocchia. È solo consapevolezza.
Una volta alzatosi dal piano parte una “3’s and 7’s” (“Era Vulgaris”) al fulmicotone, con Jon Theodore (il nuovo batterista ex The Mars Volta tra gli altri) che non fa dimenticare quel culturista di Joey Castillo (ex Danzig tra gli altri) se non per mere questioni di cuore, soprattutto per quelli che, come me, sperava di vedere Joey. Ma ripeto, solo questioni piagnucolose, perché Theodore suona bene tutte le difficili parti di batteria del gruppo.
A questo punto tutti sappiamo cosa manca: manca “A song for the Dead“, l’ultimo assalto, l’ultima occasione di scatenarsi per questa serata. E lei parte, non si lascia attendere, pesante e malvagia, sporca e cattiva, assolutamente minatoria; insomma tutte quelle cose che amiamo trovare in un pezzo di rock ‘n’ roll. La canzone si protrae, si frena d’improvviso, riparte di slancio, si abbatte su tutti noi. Ed è così che poi finisce, con un boato di applausi e poi un devastante silenzio. I QOTSA salutano e vanno via, senza troppe parole. Personalmente nel complesso speravo di sentire di più quell’atmosfera desertica e calda che questo gruppo ha sempre espresso nei suoi live. Certo da qui a dire che sono stati un po’ freddi, molto tecnici e solo esecutori ce ne vuole. Non mi sbilancerei, ecco.
L’evento è stato perfetto, il Rock in Roma non poteva sperare in un inizio migliore. Il vostro affezionatissimo si è divertito un bel po’ e dopo un birra se ne è andato via,
mentre i mezzi di pulizia già iniziavano a spazzare il pratone sotto il palco, il pubblico a defluire e i roadies a smontare quel po’ po’ di palco.
Il sogno era terminato in modo così fragoroso, che ora da svegli ancora ce lo portavamo in giro nelle orecchie, sotto forma di fischio sordo.
«Che musica impressionante!»..

Danilo Pette

foto: Riccardo Marinelli

 

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