Quando Lennon incontrò gli alieni

L'intervista, il video e le testimonianze della notte in cui gli ET fecero visita a John Lennon...

Lo straordinario racconto dell’Incontro Ravvicinato del Quarto Tipo vissuto dal grande artista a New York negli anni ’70. Confidatosi solo con Yoko Ono e con l’amico Uri Geller, Lennon fu assassinato nel Dicembre 1980

 

«Era verso la metà degli anni Settanta e stavamo mangiando in un ristorante di New York. C’era anche Yoko…»; iniziava così un articolo del quotidiano britannico “The Telegraph” che nel 1996 riportava i contenuti di una conversazione fra John Lennon e un cronista suo amico, il cui nome è rimasto peraltro ignoto. Non era ancora nato Sean, frutto dell’unione fra John e Yoko. Un’unione all’epoca in burrasca. Si erano trasferiti a New York City nella primavera del 1971. La città li aveva accolti a braccia aperte e John e Yoko avevano acquistato un sontuoso appartamento al Dakota, sulla 72.ma Strada Ovest, affacciato sul Central Park. Oggi si sa che la coppia era in realtà proprietaria di cinque appartamenti nello stesso storico palazzo dell’Uptown Manhattan, una residenza agognata dalle stelle di Hollywood, della musica pop e dai magnati dell’industria. Per Lennon e la moglie il gigantesco portone del Dakota si era spalancato subito.

Il mito di Lennon era inossidabile, ma i suoi passati trascorsi e il nuovo impegno politico con gruppi “radicali” americani, lo resero immediatamente inviso all’Immigration Office Americano e all’FBI. Non solo, nel 1968 Lennon aveva subito una condanna per possesso di marijuana e le autorità americane nel ’72 respinsero la sua richiesta di visto permanente negli USA. La sua battaglia come artista arrabbiato e politicamente scomodo (un pesce fuor d’acqua nella vecchia Inghilterra) continuò per anni, sino alla sua morte, avvenuta l’8 Dicembre 1980, per mano di un suo fan squilibrato, Mark David Chapman. Che si sia trattato solo del gesto di un folle ho i miei dubbi. L’ombra di un “Manchurian candidate”, un individuo prescelto, su induzione psicotronica, per portare a compimento un crimine del genere ed eliminare un simbolo politico come Lennon, per me non è da escludere. Io ero a New York in quei giorni così tragici. Ne scrissi su “Area 51” alcuni fa.

 

8 Dicembre 1980, New York City

Da newyorchese vivi dentro una città che cerchi di prendere al laccio, cerchi di mantenere il ritmo. A New York, Manhattan, nel 1980 il punto di riferimento erano le radio FM. Fantastiche, distinte per generi e io ero costantemente sintonizzato su WPLJ e WNEW, le migliori radio rock statunitensi. La sera dell’8 Dicembre 1980 ero a casa con amici. Avevamo appena finito di cenare. Sentivamo WPLJ, come sempre. Forse al microfono c’era Mark Goodman. Improvvisamente, la programmazione si interruppe per qualche secondo e poi partì “Imagine” di John Lennon, senza alcun annuncio. L’avevo sentita mille volte, girai la manopola del sintonizzatore su WNEW, suonava un pezzo dei Beatles, “A Day in the Life”, strano, pensai. Allora andai su WNYU (la radio Fm del campus della New York University) e mandavano un pezzo di Lennon tratto da “Double Fantasy”, uscito in quei giorni.

Deve essere successo qualcosa. Girai di nuovo su WPLJ, un pezzo dei Beatles, poi su CBS FM, Beatles! Poi ancora su WNEW, uno speaker si collega con un inviato in un ospedale, un’altra voce, è un medico, annuncia che John Lennon è stato ucciso, crivellato dai colpi di Mark David Chapman.

Faceva un freddo micidiale, nella media di quell’inverno glaciale sulla Grande Mela, alle otto del mattino del 9 Dicembre 1980: 10-15 gradi sottozero e lavorare in quelle condizioni era disagevole. Arrivai comunque al “Dakota”, dove Lennon e Yoko Ono vivevano, con il mio amico Vinny Cammisa, pronto con la sua videocamera professionale. Sul marciapiedi antistante l’enorme ingresso del palazzo che si affacciava su Central Park, c’era una fila interminabile di gente. Stazionavano lì da ore. Fiori dovunque sul marciapiedi, candele accese, altoparlanti che diffondevano canzoni dei Beatles. Una scena irreale. Una mattina maledetta a Manhattan. Ghiaccio. Lacrime. Dissi, al microfono che mi tremava in mano mentre Vinny mi riprendeva per un servizio che non è mai andato in onda su nessuna emittente italiana: «Gli anni Ottanta saranno bellissimi». Faceva veramente freddo, balbettavo. E purtroppo non sapevo quello che dicevo. New York non fu più la stessa. Le audio cassette registrate delle ore in cui a New York uccisero Lennon, narrata dalle radio Fm, la custodisco gelosamente ancora.

 

I segni tipici del rapimento

Ritorniamo al nucleo. All’Incontro Ravvicinato del Quarto Tipo del quale John Lennon fu protagonista e che riferì dettagliatamente all’amico e celebre sensitivo israeliano Uri Geller. Fu in un bar di Manhattan, in un tardo pomeriggio alla metà degli anni Settanta, che John raccontò a Uri Geller di una sua esperienza che lo aveva profondamente scioccato e che aveva preferito tenere per sé. Si erano sistemati in un tavolo appartato, lontano da occhi indiscreti.

John aveva incontrato degli esseri che, secondo lui, non potevano esistere su questo pianeta. Erano diversi da noi, logico quindi che chiedesse lumi proprio a Geller, il più famoso sensitivo del mondo, il cui nome era balzato agli onori delle cronache in quegli anni. Come l’olandese Gerard Croiset, Geller non “piegava solo i cucchiaini”, lavorava con polizie di Stato e servizi di intelligence di mezza Europa, per ritrovare persone scomparse, esattamente come accaduto qui in Italia, con il caso di Chiara Bariffi, la sfortunata ragazza il cui corpo è stato rinvenuto, grazie ai suggerimenti della sensitiva Maria Rosa Busi, all’interno della sua auto, nel lago di Como.

Lennon raccontò che quella notte, doveva essere il Febbraio-Marzo 1977, stava dormendo con Yoko al suo fianco, nella camera da letto nel “flat” del Dakota. Improvvisamente, una luce. Lennon sentì di dover aprire gli occhi, qualcosa lo stava richiamando. Non era però una voce, era una luce, fortissima che proveniva dalla stanza attigua e che filtrava attraverso la porta. Un “pattern” o “modello” nella fenomenologia delle abduction, questo della luce quale prima sensazione di una “presenza anomala”, che potremmo definire fra i contrassegni di una possibile esperienza di contatto o di “rapimento”.

Lennon pensò a degli intrusi, qualcuno che fosse riuscito a entrare nell’appartamento, si alzò di scatto e si slanciò verso la porta della stanza, la spalancò e si trovò davanti quattro esseri, piccoli ed esili, simili a insetti, ma umanoidi. Avevano grandi occhi, inespressivi e lo stavano fissando. Due di loro afferrarono le sue mani, gli altri due lo presero per le gambe e lo sospinsero delicatamente verso quello che davanti a John si era aperto, un tunnel di luce. John disse a Uri che in quel momento ebbe la visione di tutta la sua vita, quasi come in un film. Un’esperienza straordinaria e meravigliosa, che non aveva mai dimenticato. Non ricordava altro, tranne il fatto che gli esseri avevano lasciato qualcosa nella sua mano.

 

Ecco ciò che esattamente Lennon riferì a Geller, come riportato nell’articolo del Telegraph londinese:

«Ho raccontato questa storia solamente a due persone sai? Una è Yoko, e lei mi crede. Dice di non comprenderla, ma sa che non le mentirei mai. L’ho detto a un’altra persona, ma non mi crede…
Si è messa a ridere, e poi mi ha detto che dovevo essere sotto l’effetto di qualcosa. Beh, mi era capitato un sacco di volte, ma non ho mai visto niente sotto acido che fosse così strano come questi insetti. Ero sobrio quella notte. Non stavo sognando e non ero in acido. Quelle creature c’erano davvero, erano simili a persone, ma non proprio persone e stavano nel mio appartamento».

«Cosa ti hanno fatto?» chiese Geller.
Lennon imprecò di nuovo: «Come sai che mi hanno fatto qualcosa?».

«Perché devono essere venuti per una ragione» rispose Geller.
«È vero, mi hanno fatto qualcosa, ma non so cosa. Ho cercato di cacciarli via ma, quando ho fatto un passo verso di loro, mi hanno respinto. Però non mi hanno toccato, è come se mi avessero respinto con la loro forza di volontà, per telepatia».

«E poi?».
«Non lo so. È successo qualcosa, ma non chiedermi cosa. Forse l’ho dimenticato, rimosso, o forse non vogliono che ricordi. Ma dopo un po’ non c’erano più ed io mi sono ritrovato sdraiato sul letto, accanto a Yoko, però sopra le coperte. E lei si è svegliata, mi ha guardato e mi ha chiesto cosa c’era che non andava. Non sapevo cosa risponderle, ma avevo questa cosa nelle mie mani. Me l’hanno data loro».

«Cos’era?». Lennon frugò nelle tasche dei suoi jeans: «Da allora la porto sempre con me, in attesa di poter fare a qualcuno la stessa domanda. Prendila, forse tu puoi scoprire cos’è».
Geller prese l’oggetto metallico ovoidale e lo ispezionò alla luce fioca. Sembrava solido e liscio e non riusciva a trovarvi segni incisi.

«Non ho mai visto niente del genere».
«Tienilo –mi disse John– È troppo strano per me. Se è il mio biglietto per un altro pianeta, non voglio andarci».

 

Verso un’altra vita

A chi sia capitata un’esperienza del genere (a me è accaduta) ciò che vide Lennon non giunge nuovo. Corpi grigiastri, che sembrano improvvisamente comporsi, agglomerarsi come pulviscolo luminoso, possono apparire improvvisamente, senza preavviso e senza chiedere il tuo permesso. Entrano nel tuo spazio-tempo vitale, ne fanno parte, evidentemente, ma ancora più evidentemente, sono “sbagliati” non dovrebbero essere lì, è impossibile e fai fatica a convincerti che non stai sognando. Lennon era andato a dormire sobrio e si era svegliato lucidissimo e impaurito, di soprassalto. Qualcuno potrebbe obiettare su un possibile “ritorno” di Lsd nel suo cervello, ma Lennon disse a Geller che lo escludeva del tutto, quelle “persone” erano lì per davvero e la loro presenza era reale. Per certo, l’artista visse un “missing time”, ma a quanto si sa, non si sottopose mai a ipnosi per ricostruire più compiutamente gli eventi di quella notte. La sua memoria lucida non rispondeva, era stata cancellata e solo confusamente ricordava sprazzi dell’esperienza.

Vorrei concludere ora con un punto che in passato non avevo preso nella dovuta considerazione e che invece mi tocca profondamente. Nel racconto della sua esperienza di contatto, Lennon dice che gli esseri lo “presero” e accompagnarono attraverso un “tunnel di luce”. La sua fu quindi un’esperienza di pre-morte, collegata a una presenza aliena, in quella quarta dimensione nella quale a volte abbiamo accesso. Già, era il suo biglietto per un’altra vita.

 

Note:

Ho tratto informazioni aggiuntive sul caso Lennon da un articolo del Weekly News, pubblicato il 2 Novembre 1996.

Il giornalista che maggiormente si è dedicato alle stelle del Rock che hanno rivelato di aver avuto esperienze di avvistamento e di incontri ravvicinati, è il newyorchese Michael Luckman, direttore New York Center for Extraterrestrial Research e grande esperto di Ufologia e di fenomeni paranormali. Il suo libro “Alien Rock”, purtroppo ancora inedito in Italia, è da considerare fondamentale per lo studio di una materia sempre più appassionante e che ci coinvolge sempre più profondamente. Perché può accadere a chiunque…
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L’articolo riguardante l’esperienza di contatto vissuta da John Lennon, si completa oggi con il racconto del suo avvistamento UFO a New York City, di cui finalmente è emersa la testimonianza in una video intervista pubblicata su una pagina Facebook ufficiale dedicata a John Lennon.

Al suo avvistamento, Lennon fa esplicito riferimento sulla copertina interna dell’album “Walls And Bridges”, uscito nel 1974, dove leggiamo: “On the 23rd August 1974 at 9 o’clock I saw a U.F.O. – JL (“Il 23 Agosto 1974 alle 21 ho visto un UFO – JL). Una dichiarazione inequivocabile. Reiterata fra le lettere della canzone “Nobody Told Me” (disco singolo uscito postumo nel 1984) in cui dice: “There’s a UFO over New York and I ain’t too surprised” (C’è un UFO su New York e la cosa non mi sorprende molto”).
L’avvistamento avvenne il 23 Agosto 1974 e fu testimoniato anche da May Pang, la ragazza sua assistente con la quale il musicista rimase legato sentimentale per un anno e mezzo. In quel periodo il suo rapporto con Yoko si era raffreddato, John aveva lasciato il Dakota e con May aveva preso in affitto un appartamento al 434 East della 52.ma Strada. Era una serata afosa e Lennon cercava di godersi la brezza del Central Park, sul terrazzo del flat al diciassettesimo piano. In quel momento un UFO apparve in cielo.

L’avvistamento su New York fu confermato da altre fonti. John ne parlò il giorno dopo con il suo fotografo Bob Gruen, che gli chiese se avesse avvertito la polizia. La risposta di John fu: «E cosa pensi che avrei dovuto fare, chiamare la polizia e dire – Salve, sono John Lennon e ho appena visto un UFO nel cielo di New York? – Sai cosa avrebbero pensato? Chissà di cosa si è fatto!».

Fu Bob Gruen a telefonare al Dipartimento di Polizia di New York e riferire dell’avvistamento, omettendo il nome di Lennon. Gli risposero: «Dove si trovava in quel momento, sulla Cinquantaduesima Strada? La sua è la terza segnalazione che abbiamo ricevuto». Più di 400 persone riportarono l’evento di quella sera alle autorità competenti.

Maurizio Baiata

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Intervista esclusiva a Maurizio Baiata

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