Perché il “Kafka” di Pietro Citati

Kafka come un archetipo della modernità: un angelo sporcato dal demone e dal tormento dell’Assoluto...

Per Pietro Citati la critica è l’arte di interpretare un testo, un cambiamento continuo di punti di vista, una ricerca che tenta di raggiungere la grande opera d’arte. La forza dell’opera d’arte è di parlare sempre all’infinito a tutti, perché contiene in sé un aspetto, non religioso, ma metafisico

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Consiglio ai lettori di Uki il bel volume di Pietro Citati,“Kafka”. Non è una novità editoriale, il libro apparve, infatti, nel 1987, ma è una lettura da farsi perché permette di penetrare non solo nella psicologia di uno degli autori più complicati del ‘900 ma anche di rileggere i suoi libri attraverso un occhio che è tra i più acuti e perspicaci del nostro tempo. Pietro Citati è uno dei migliori prosatori italiani.

Lo stile di Citati è saggistico ma un saggio che si arricchisce sempre di elementi biografici avvincenti. I suoi libri sono ampie biografie dei personaggi principali della letteratura otto-novecentesca. Vorrei qui solo ricordare accanto a “Kafka”, il “Goethe”, il “Tolstoi”, “La colomba pugnalata” su Proust, i saggi su russi, inglesi e francesi contenuti nel volume “Il male assoluto”. È un saggista che possiede il dono di una lingua ricca, variegata, sfumata, che sa penetrare con grande vivacità nelle pieghe della psicologia degli autori studiati. Uno psicologo raffinato, dunque, accanto ad un maestro della parola.

Il suo stile sempre chiaro e preciso, la sua capacità, direi, di dipingere più che disegnare o scolpire immagini cristalline e perfette, rendono i suoi libri appassionanti. Non è tra i prosatori d’arte che possegga il demone dell’oscurità e della complicatezza, tuttavia, egli si addentra nei personaggi con una dialettica complicata, a volte paradossale. È come se mirasse a raggiungere il cuore degli autori, nelle pieghe del quale egli si avvolge per sinuose ambagi.

Non saprei dire se è uno scrittore barocco. Rifugge dal barocchismo della forma anche se nei contenuti si mostra tale. La sua sensibilità parossistica, “mimosenscheit”, gli consente di toccare una varietà quasi infinita di tonalità senza perdere mai il dono della chiarezza. È un nostro contemporaneo forse proprio per quella complessità di analisi e di letture, per quello scandaglio profondo ma anche per quella sua dialettica che gli consente di spostarsi da un aspetto all’altro degli autori sottoposti all’analisi della sua mente.

Direi che è proprio la mente, questo enorme magazzino della nostra creatività, a sedurre Citati. Si leggano, in proposito, le pagine del bel libro sull’Odissea, “La mente colorata” e vi si troveranno gli aspetti molteplici, la varietà multiforme del pensiero umano. Ciò fa di ogni libro di Citati un libro di sensibilità moderna. È il moderno, d’altronde, che attira la curiosità di questo saggista che tenta una ampia ricostruzione delle idee della modernità attraverso le opere e i personaggi della letteratura.

 

Questo Kafka è proprio la ricostruzione di una vita e di un archetipo della modernità. E il saggio ha il colore dell’anima di questo grande novecentesco. Non è forse casuale che il libro incomincia col ritratto di Kafka, “Un uomo alla finestra” in cui viene presentato un uomo distante dalla realtà, isolato, sradicato, separato dal resto del mondo dal vetro di una finestra. Esiste dunque una barriera invisibile, come il vetro, che separa Kafka dalla realtà, una realtà di cui però egli è attratto, direi, morbosamente, che trova in lui uno specchio fedele e lucidissimo. Basti pensare a quegli occhi, così neri, così profondi e penetranti per vedere subito in Kafka una luce trasparente, una lente acutissima e sensibilissima da cui si guarda inesorabilmente la realtà. Il ritratto di Kafka emerge da un lungo confronto con l’interiorità dello scrittore attraverso le sue lettere, le sue riflessioni intime, i suoi diari. È un via vai da un lato all’altro di una psicologia tormentata, avulsa, alienata. Attraverso le febbri, i tormenti, le volute dell’anima viene descritto un temperamento complesso, un’esperienza di vita rinunciataria e avvilita.

 

Kafka volutamente rinuncia alla vita e poco a poco si aliena. Diventa, come dice Citati, lo ‘Straniero’, l’Estraneo che rifiuta ed è rifiutato. Occorre vederlo alle prese con l’amore per scoprire in lui la mente che indaga, il tormento che lo brucia e infine la rinuncia che lo domina.

 

Citati descrive il mondo del sottosuolo in cui vive, durante e dopo l’esperienza amorosa, Kafka . È l’autosservazione che domina Kafka, l’ossessione, la sete demoniaca di conoscere e di conoscersi. Ma è anche l’uomo più delicato, più fragile, più sensibile del mondo. È come un angelo che ha raggiunto il grado purissimo della conoscenza di sé, dopo di che si è rinchiuso nel sottosuolo, si è privato della vita.

L’angelo Kafka dunque è un demonio? La domanda percorre il libro di Citati, al termine del quale egli sembra dirci che non si tratta di un demonio ma di un angelo. Egli vive la vita assoluta e impossibile dell’angelo che conosce tutto, anche i sentieri orribili del Male. Anzi, nel confronto col male si forma una delle coscienze più pure e rarefatte che ci è dato conoscere. È proprio dal tormento dell’Assoluto che nasce la psicologia di Kafka, si perfeziona la sua prosa, si rarefà la sua anima.

Rarefazione sempre più estrema, come se egli volesse disperdersi come fumo nell’aria e si sa che di fumo è fatta, alla fin fine, l’anima. Dal conflitto con la realtà non poteva che nascere la lettura della Legge intesa come l’assoluto in cui è ingabbiato il nostro tempo (rimando alla lettura del mio saggio su “Il processo di Kafka“).

 

Egli è stato un profeta. Dai cunicoli della sua interiorità egli ha visto il mondo di oggi chiuso nel fanatismo della Legge. Ha interpretato l’esigenza di Dio, la sua assenza nel nostro tempo. Come un angelo ha visto il tormento e l’esigenza della Legge di un Dio e l’ha sofferta pagando in prima persona. Come un angelo ha vissuto con angoscia tutta la disperazione del proprio tempo e l’ha espiata.

Giuseppe Cetorelli

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