Peppino, giovane dei giorni nostri

Il giudizio che diamo oggi fra 40 anni può essere una calunnia infamante. Peppino Impastato ce lo insegna. Dobbiamo osservare, capire e fare le nostre scelte. Ma non giudicare.

.«La mafia è una montagna di merda». Una frase che da 40 anni non ci stanchiamo di ripetere, ogni giorno, sempre più forte. Fino a che non arriva il 9 maggio. E in quel giorno la si deve proprio urlare. «La mafia è una montagna di merda!». Poche parole che rappresentano un bagaglio grosso come un macigno. Un fardello di cui ognuno di noi è responsabile da 38 anni. Tanti ne sono passati dalla notte in cui Peppino Impastato, giornalista, extraparlamentare, attivista di Cinisi, paese alle porte di Palermo, saltò in aria sui binari che portano in città, all’altezza di Terrasini. «La mafia è una montagna di merda». Tra i molti che si sono fatti carico di queste vi è un altro giornalista che con Impastato condivide il nome: Giuseppe Maniaci, meglio conosciuto come Pino. Maniaci qualche giorno fa è finito in una bufera -forse- più grande di lui. Che sia colpevole o meno, questo non si sa. Solo una cosa è certa: la condanna per Maniaci è già arrivata. Dalle Tv, dai giornali, dalle persone che per anni lo hanno seguito. Perché, inutile stare a girarci intorno, tutti ci siamo sentiti un po’ traditi, delusi. E tutti, come spesso accade, ci siamo sentiti in diritto di ergerci a giudici.

E questa storia un po’ fa ripensare a quello che successe al povero Peppino. Una vita -breve, troppo breve- passata a denunciare apertamente e a gran voce i mafiosi. E poi, al momento della morte? Ma procediamo per gradi. C’è da ricordare che Impastato, per fare ciò che ha fatto, ha rinunciato a tutto. Al suo nome, alla sua famiglia. Ha messo a rischio la sua vita, quella della madre, del fratello e quella del padre, morto in un “tragico” incidente d’auto, anche se di accidentale sembrava ci fosse proprio poco. Ma senza prove…

Peppino credeva in ciò che faceva. E faceva solo quello in cui credeva. Non ha mai ceduto ai ricatti, non ha mai chinato la testa. Ha sempre guardato avanti, camminato a testa alta. E questo non vuole essere un elenco di belle cose messe lì ad elogiare qualcuno che non c’è più. Troppo facile. Ogni singolo aspetto del carattere di Peppino Impastato dovrebbe farci riflettere. Sì, perché a distanza di 38 anni è facile rendersi conto di tutto ciò. Dopo quasi 40 anni, col sennò di poi, come si fa a non elogiare uno come Peppino Impastato. Lui che apertamente dalle frequenze della sua piccola Radio Aut denunciava apertamente Gaetano Badalamenti, uno dei tre a capo della Cupola di Cosa Nostra. Lui che non aveva paura di dire la verità. Ma che non inventava mai niente. Oggi è facile rendersi conto di tutto questo. Perché abbiamo libri, abbiamo prove. Abbiamo un processo che è durato quasi 30 anni. Processo che ha dimostrato cosa davvero avvenne quella notte e che Don Tano Badalamenti lo aveva fatto uccidere. Ora la domanda: e poi, al momento della morte?

Facile. «Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba sul binario». Titolava così il Corriere della Sera la mattina del 9 maggio 1978. Già, perché questo era quello che si voleva far credere e questo è quello a cui tutti in un primo momento hanno creduto. Forse non c’era tempo per stare ad approfondire. Già, perché quella stessa notte, tra l’8 e il 9 maggio di 38 anni fa, un altra persona venne ritrovata senza vita. Tutti i riflettori erano infatti puntati sulla morte di Aldo Moro: mesi di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse e una fine così. Tutti i giornali avevano l’obbligo di parlarne. Anche giustamente, perché no. Ma è in questo modo che la morte di Peppino per tanto, troppo tempo è stata accompagnata da un’ombra.

 

E ora torniamo a noi. Pino Maniaci è un infame, farabutto, ci ha presi tutti per il culo. Sì, tutti lo abbiamo pensato, almeno per un istante. Forse qualcuno lo pensa ancora. Ma poi, arrivati a questo punto ci diciamo: e se è davvero tutta una montatura. E se davvero nel suo parlare “scafazzato” come lui stesso lo definisce, Maniaci si è tradito? Se davvero la storia dei cani era un modo -sicuramente discutibile- per ingraziarsi la donna? E se l’estorsione fosse solo pubblicità?
Io non lo so. Voi non lo sapete. Nessuno lo sa. Ma una cosa è certa: se Maniaci è colpevole che venga condannato, se è innocente che torni presto a fare il suo lavoro. Non spetta a noi giudicare. Perché il giudizio che diamo oggi, fra 38 anni, potrebbe essere un grosso peso sulla nostra coscienza. E ancor peggio, una macchia con cui abbiamo sporcato una persona. Pino non è Peppino, e con ogni probabilità non lo sarà mai. Ma così come gli amici di Peppino hanno continuato, così spero davvero che Telejato vada avanti. Telejato come realtà, come speranza per chi ancora ci crede in un Paese diverso, senza mafia, corruzione e nepotismo. Per tutti i ragazzi che da ogni parte d’Italia vanno lì per sporcarsi le mani sul campo, fare qualcosa di tangibile che lasci il segno. Per far vedere che Peppino è vivo, è un giovane del nostro tempo, un ragazzo dei giorni nostri. Per tutti quelli che non vedono l’ora che questa lunga notte tetra finisca e si possa di nuovo ammirare la bellezza delle stelle.

 

«Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
nè il canto del gallo,
nè il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita».
Peppino Impastato

Davide Perillo

 

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