Mogwai @ Atlantico (Roma) – 10/2017

I maestri scozzesi del post rock hanno suonato a Roma i brani del nuovo album e non solo, tra misteriche distopie sonore e la straordinaria vastità delle emozioni

Come si torna indietro nel tempo, se non esistono nella realtà futuristiche macchine e maghi Merlini con le Converse? Come si ascende ad altre dimensioni, se il massimo che possiamo fare è evitare di restare impantanati nel traffico delle nostre città? Io un trucco ce l’ho e sono qui apposta per svelarvelo.
La musica.
Io torno indietro nel tempo e scavalco i mondi con la musica.
Era il 2006 quando Mtv programmava il video di “Friend of the night“, un brano oscuro e melanconico, il genere di sonorità che mi piacevano da impazzire quando avevo sedici anni. Ne avevo venti quando mi decisi ad esplorare i Mogwai e a tenerli sempre con me nell’Mp3, per far sì che la colonna sonora delle mie giornate fosse composta anche da brani come “Take me somewhere nice” o “Are U Still In 2 It“, vere e proprio perle del gruppo post-rock di Glasgow. Poi per un po’ li ho persi di vista.

Ed eccoci quindi alla sera del concerto all’Atlantico, in quella che per me è una delle tante zone di frontiera di Roma. Da una parte si è ancora nella città, dall’altra si è già sulla strada per andare al mare; con la musica dei Mogwai posso dire di aver avuto la precisa sensazione che l’Atlantico di lì a poco avrebbe spiccato il volo e si sarebbe trasformato in una capsula pronta a vagare nella via Lattea.
Per un’ora e mezza il gruppo scozzese governa le sensazioni dei tanti spettatori, le plasma e manipola a proprio piacimento, le note che tocca sulle corde delle chitarre o sui tasti del piano sono come una tavolozza di colori con cui si dipinge la straordinaria vastità delle emozioni. Loro si prendono tutto il palco, si scambiano spesso di posto, tra roadies e membri del gruppo ci sono rocamboleschi cambi di strumento nel bel mezzo dell’esecuzione di un brano, e una canzone che inizia tranquilla e lenta improvvisamente può esplodere di energia, con le luci che danno agli occhi quello che la musica dà all’animo.

In scaletta c’è spazio soprattutto per l’ultima fatica dei Mogwai, “Every country’s sun“, un disco sontuoso ed elegante che si amalgama alla perfezione con i grandi classici che pure non mancano, su tutti “I’m Jim Morrison, I’m dead” e la splendida e potentissima “Mogwai fear Satan”, con cui il concerto si chiude, lasciando addosso la sensazione di aver assistito a qualcosa che non è di questo mondo.

 

Ilaria Pantusa

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