Luigi Tenco: la fine tragica di un compositore unico

Il sacrificio di un uomo che comprese la lenta degenerazione della musica istituzionale italiana..

.«Io sono uno che parla troppo poco, questo è vero ma nel mondo c’è già tanta gente che parla, parla, parla sempre che pretende di farsi sentire e non ha niente da dire».
(Luigi Tenco, “Io Sono Uno”)

 

Luigi Tenco è stato uno dei più grandi compositori degli anni ’60 che la musica italiana ricordi.

Infatti l’unica cosa che possiamo fare è ricordarlo con una vena di malinconia come erano le sue canzoni, questo perché non è stato dato il tempo di far fiorire un fiore preferendolo strapparlo a ciò che era destinato a diventare. Non gli è stata data la possibilità di esprimersi, di dare libertà alla sua immensa creatività musicale, annichilendolo in un oceano di critiche che a poco a poco lo hanno ucciso.
Morto suicida nel tragico Festival di Sanremo del 1967 lasciò un vuoto che difficilmente il popolo italiano e il mondo della musica sono riusciti ad accettare. Un gesto folle come del resto era lo stesso Tenco, senza mezze misure, una presa di posizione determinata dal suo forte carattere ma che illuminava in fondo al suo cuore anche l’immensa fragilità al quale apparteneva.

I primi a rinvenire il cadavere furono il suo amico Lucio Dalla e Dalida (nome d’arte di Jolanda Gigliotti) con il quale fino a quel momento aveva stretto una relazione sentimentale e professionale. Il corpo riportava un foro di proiettile alla testa. Venne trovato un biglietto contenente il seguente testo:
«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».

Incredibile pensare che pochi attimi prima era sul palco del Festival di Sanremo a cantare con passione uno dei suoi ultimi successi “Ciao Amore Ciao” e poco dopo ritrovato nella sua stanza, al numero 219 dell’Hotel Savoy senza vita.

Leggenda narra che gli stessi cantanti Gino Paoli e Ornella Vanoni videro Tenco assumere un mix di alcool e farmaci per smaltire la delusione dell’eliminazione, portandolo secondo alcuni a un precario stato psicologico al punto di spingerlo a un gesto cosi estremo come il suicidio. Con il passare del tempo si sono fatte innumerevoli congetture sulla sua morte cosi innaturale, troppo estrema anche per la logica umana. Si è parlato di droga, di debiti e di Marsigliesi (l’organizzazione criminale operante tra Francia e Italia durante la prima metà degli anni 70). Ma anche di un coinvolgimento del Governo italiano.

Non sono un detective e non mi lascio impressionare facilmente dalle più strane ipotesi; bisogna accettare la morte di Tenco come un gesto privo di ogni fondamento logico guidato dall’irrazionalità (contestatrice) del momento, causata dalla bruciante sconfitta subita in quella lontana edizione di Sanremo. Non tutti possono prendere allo stesso modo la delusione della sconfitta. Ciò alimentò sempre di più quell’incomprensione che lo aveva portato ad allontanarsi sempre di più dal suo pubblico invece che avvicinarlo. L’incomprensione è un problema reale, se non riesci a farti capire e amare ti senti solo, inutile per il mondo in cui vivi portando a tragici finali.

 

Sulla critica al pubblico italiano e sulla commissione però sono d’accordo con il povero Luigi. Se si cerca l’assassino della musica italiana non bisogna guardare lontano o puntare il dito contro il maggiordomo. Pensare che artisti del calibro di Mina e Lucio Battisti sono stati criticati e perseguitati per la loro musica e voce è qualcosa di imbarazzante. Non è un caso che entrambi scelsero poi di allontanarsi da quell’ambiente per il quale non erano riconosciuti ma denigrati.

Oggi stendiamo tappeti rossi. È il sale dell’ipocrisia. È il presente che cerca di riconquistare il passato.

Basti pensare chi sono stati gli ultimi vincitori del Festival di Sanremo e a cosa è diventato lo stesso Festival se non un circo di cantanti provenienti la metà da talent show e quindi raccomandati e usati per puri fini commerciali. Canzoni totalmente prive di sentimento. Animali (addestrati) da palcoscenico. Amara tristezza.
Con enorme arroganza riesco a comprendere e, sia chiaro, non a giustificare.. tale gesto di Tenco contro questa “istituzione“: è come se avesse capito anticipatamente dove saremo andati a finire. Ci sarebbero almeno cento modi per farsi capire, per alzare la voce al di sopra della massa e gridare la propria libertà artistica ma non c’è più spazio per vecchi “lupi” che sono stati lo scheletro della musica italiana e non mi metto certo a fare un elenco, ma solo “pecore” presuntuose date in pasto a un pubblico ignorante.

Il suo atto di protesta arriva al cuore, per darci modo di comprendere, di aprire gli occhi (e orecchie), un atto rivolto ai molti e non al singolo individuo, un sacrificio non vano. Tenco ci ha lasciato perle di canzoni che sono tuttora intramontabili, uniche nel suo genere.
Infine vorrei ricordalo cosi: a Luigi Tenco in un’intervista gli venne chiesto cosa si aspettava dal Festival. Risposta: «Una vittoria».
Tenco, nel modo più sbagliato, è riuscito a vincere.

Giacomo Tridenti

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9 Comments

  • Si insomma , esistono tanti atti di protesta. e infatti qui oltre alla critica avanzata al festival c’è da dire che la sua frustrazione andava al di la’ di tutto …. sarebbe forse accaduto ugualmente? Non saprei ……

  • Non c’è nessuna lenta degenerazione, e non è certo il Festival di Sanremo il metro di misura.
    Se non vi piacciono gli ultimi vincitori, pensate ai primi, da “Grazie dei fiori”, “Vola colomba”, “Tutte belle le mamme”, “Non ho l’età (per amarti)”…

    Tralasciando rare dirompenti eccezioni (Modugno, Celentano, Rino Gaetano…), è ovvio che il marchio di fabbrica stesso del Festival è lo spirito conservatore e rassicuratore della triade Dio/Patria/Famiglia.
    Da Nilla Pizza ad oggi sono cambiati i vestiti, ma non i tessuti. Non vedo però il motivo di fargliene una colpa, sarebbe come andare a un concerto metal e chiedere di abbassare il volume.

    Ma la battaglia di Tenco si combatteva su un palco molto più grande di quello sanremese. Era una lotta continua contro il mondo, che non lo riconosceva e in cui non si riconosceva. Il suo suicidio è, checché se ne dica, la più grande sconfitta del suo essere artista.

    Mi viene in mente Walter Benjamin, filosofo in fuga dai tedeschi nella II Guerra Mondiale. Fermato in Spagna intento ad imbarcarsi per gli Stati Uniti, terrorizzato dall’idea di essere espulso nella Francia nazista, si suicidò. Tutti i suoi compagni di viaggio partirono tranquillamente il giorno successivo, quando gli venne consegnato il visto per andarsene.

    Tenco si è ucciso nel 1967, pare che l’anno successivo sia stato abbastanza intenso per la gioventù. Di lì a poco anche la musica italiana sarebbe cambiata radicalmente: persino il re Claudio Villa si vide franare la terra sotto i piedi, mentre Fabrizio De André (che di Tenco era grande amico e compaesano, tanto che gli dedicò un capolavoro come “Preghiera in gennaio”) pubblicò un capolavoro dietro l’altro. Nel ’69 Battisti si presentò sul mercato e sappiamo tutti cosa è successo poi.

    Battisti, come viene ricordato nell’articolo, è stato criticato aspramente, ma non si è mai lasciato schiacciare. Ha continuato il suo percorso e lo ha intrecciato alla nostra Storia: “un artista non può camminare dietro al suo pubblico – diceva -, un artista gli deve camminare avanti”.
    Non sono ipocriti quelli che lo criticavano e poi gli hanno steso davanti i tappeti rossi, sono quelli che magari hanno imparato a capirlo nel tempo, perché era un innovatore (fino agli estremi della sperimentazione) e aveva bisogno di farsi largo con la spada e la tenacia; metafora della vita di ognuno.
    L’artista incompreso non esiste, esiste quello che non riesce a farsi capire. “Se non c’è strada dentro al cuore degli altri / prima o poi si traccerà”, cantava Fossati.

    Poi il mercato è in continuo movimento, a volte si incontra con l’Arte, a volte no. Ma la bellezza c’è sempre, solo che non sempre è in vetrina (“non si può cercare un negozio / di antiquariato in via del Corso. / Ogni acquisto ha il suo luogo giusto / e non tutte le strade sono un percorso”, canta Niccolò Fabi. uno dei più migliori cantautori che abbiamo oggi).
    Chi davvero si lascia convincere che sia la televisione il metro della musica, probabilmente si sta perdendo tutto quello che succede davvero nel mondo, nei palchi grandi o piccoli disseminati nel Paese.

    I talent show vanno bene per chi ha il culo saldato al divano, chi ha le gambe e le orecchie troverà tante note nascoste ad aspettarlo oltre il cancello.

    “Perciò io propongo,
    per non fare confusione,
    a chi ha meno di cinquant’anni
    di spegnere adesso
    la televisione”.

  • concordo con matteo ….. seppur già si diceva che il suicidio poteva in effetti essere stato un effetto di una frustrazione maggiore, che andava al di la’, sarebbe bene continuare su questa via …. per non sminuire, per centrare il problema ….. come appunto ha fatto matteo.
    in ogni caso, concordo anche con la chiave di lettura di Tridenti … se non altro, seppur con Altre motivazioni , Tenco col suo suicidio ha comunque denunciato un degrado che si stava propagando nelle masse televisive

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