L’Ordine Divino Naturale e la Religione perduta

La vera natura di Dio e la sua trasposizione nei Miti e nelle religioni (esoteriche)

ORIGINI DELLA RELIGIONE (PART. 2)  –  Dalla contemplazione ed osservazione “senza scopo” della natura, gli antichi saggi concepirono una Sapienza perfettamente coerente con la cosmovisione scientifica attuale (quella avanguardistica). Oggi si è persa quella Religione che partiva dal cuore degli uomini per fondersi con le forze “sovrapersonali” e quelle impersonali, ovvero, con l’inconscio e la natura.

 

 Abbiamo visto nella prima parte di questo speciale sulle “origini della religione”, come quest’ultima sia nata da un sentimento spiritualista, per così dire: numinoso, nei confronti delle forze che vivificano la Vita e la natura da parte dell’uomo. L’immensità assoluta della Vita era per gli antichi un sublime mistero governato da una “forza divina. Attraverso l’uso di vegetali psicotropi i primi sciamani scoprirono uno stato di alterazione di coscienza in grado di illuminare le loro menti e di portarli a “sintonizzarsi” con l’Energia trascendentale dell’Esseità (le energie sottili fino alla vibrazione primigenia a fondamento della realtà cosmica secondo gli scienziati), avendo così esperienza del divino. In particolare funghi enteogenici come l’Amanita Muscaria avevano persino ispirato le prime rappresentazioni simboliche della divinità per venerare le sue esclusive forze vitali. Gli antichi sciamani scoprirono dunque che Dio era l’energia vitale che permeava tutta la creazione e parlavano di forze, spiriti, anime, ecc… per simboleggiare tutte le sue diverse manifestazioni. Allo stesso modo oggi la scienza parla di un unico campo di energia non manifesto alla base di tutto l’universo e delle sue leggi di natura.

Inoltre specifico sempre che qui ci soffermiamo solo sulla chiave di lettura che ha a che fare unicamente con i “codiciermeneutici delle sacre scritture e con gli studi delle scienze esoteriche in tutti i Testi religiosi del mondo (sappiate che gli antichi libri sacri contengono nascoste tutte le leggi di natura dell’universo neanche fossero dei manuali di fisica), compresa dunque la Bibbia, che verrà quindi presa in considerazione attraverso i significati simbolici della ghematria e non dal punto di vista “letterale”. In quel caso infatti si aprirebbe un complesso discorso ‘a parte’ che non considereremo in questa sede (per una conoscenza della traduzione “letterale” della Bibbia e su come e “chi” abbia inserito quelle “sapienze” nel Testo potete seguire il lavoro del prof. Mauro Biglino).

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DIO É ESSEITÁ: L’Essere trascendentale e impersonale inteso come campo unico di Energia Cosmica

Ebbene, tutto nell’Universo è vibrazione, dal piano della materia fisica fino a quello delle energie più sottili tutto si muove! Nello specifico: se nel nostro universo tutto si muove, ne consegue che tutto vibra: allora la vibrazione è il moto dell’energia. Albert Einstein diceva: «Per quanto riguarda la materia, abbiamo sbagliato tutto. Ciò che abbiamo chiamato la materia è energia, la cui vibrazione è stata così abbassata da essere percepibile ai sensi. Non c’è materia».

L’energia null’altro è che una “variazione della curvatura dello spazio”, esattamente come la massa. Al centro di questa “curvatura” vi è un micro buco nero, sul bordo del quale si formano le particelle subatomiche e successivamente gli atomi quando l’energia vibra più velocemente (e dunque si solidifica). Infatti, l’energia variando la curvatura dello spazio, genera le cosiddette “particelle subatomiche” e quindi gli atomi. Ma la cosa davvero eccezionale è che l’atomo “è bucato”, cioè contiene nel suo centro un buco nero sul bordo del quale girano gli elettroni e protoni e tante altre “cose”.

In sostanza, moto uguale vibrazione, vibrazione uguale suono. Tutto è in espansione, qualsiasi forza energetica è costituita da particelle che si muovono secondo una certa lunghezza d’onda e una certa frequenza al secondo. La realtà è dunque energia (vibrazione, onde sonore) che si muove attraverso dei ritmi dovuti dalle sue frequenze vibrazionali. Oggi la scienza sta arrivando alla conclusione che la differenza tra coscienza e materia, mente e corpo, è solamente nella vibrazione. Come il ghiaccio è acqua e vapore in 3 differenti stati così noi siamo corpo, mente ed anima. Siamo una potente ricetrasmittente collegata con l’Universo!

L’UniVerso è un tutt’Uno energetico manifestato da Vibrazioni. Tutta la creazione è una sinfonia di suoni, di vibrazioni, in cui le singole parti si inseriscono attratte dalla risonanza con i suoni simili. Il suono di fatto influisce sulla materia fisica e ha la prerogativa di creare schemi geometrici nel momento in cui “forma” la materia per mezzo delle “informazioni” contenute le frequenze vibrazionali di base. Per esempio, determinati suoni corrispondono sempre alle stesse figure; infatti: acclamando i suoni di antichi linguaggi, come il sanscrito o l’ebraico, le figure che si producono rimandano sempre al simbolo alfabetico (originario) che si pronuncia.

La nostra vita è il risultato delle vibrazioni specifiche di ogni cellula -in altre parole, ogni cellula ha il suo suono: la sua nota. Allora, il potere generativo fondamentale risiede nella vibrazione che, con la sua periodicità, sostiene i fenomeni e i loro due poli.

– Ad un polo abbiamo la forma, lo schema figurativo;

– in corrispondenza dell’altro polo troviamo il movimento, il processo dinamico.

Questi tre campivibrazione e periodicità come campo di fondo, e forma e movimento come i due poli– costituiscono un indivisibile insieme, anche se talvolta uno di essi può avere il predominio. Il suono genera le forme e le recenti esperienze sul movimento ondulatorio confermano un nesso tra onde, sostanza e forma, riguardante anche tutti gli organismi.
Ogni “corpo” nell’universo è un sistema di gerarchie annidate di frequenze vibratorie che si manifestano come sistemi discreti all’interno di sistemi più grandi e più complicati: un universo di strutture vibratorie da quelle elementari a quelle sempre più grandi e sempre più complesse. Infatti, l’intero universo, dalle particelle sub-atomiche, alle forme di vita più complicate, alle nebulose ed alle galassie, può considerarsi come un gigantesco insieme di campi di risonanza di energia, tutti sempre in costante interazione tra loro.

Dunque, come tutto nell’universo anche il nostro pianeta è composta da Energia, perciò anch’esso vibra secondo una frequenza particolare. Tali frequenze, sono a noi note con il nome di Hertz, che non sono altro che il numero di cicli vibratori che una qualsiasi cosa sviluppa ogni secondo. Di fatto, come sappiamo il nostro corpo è molto simile come costituzione a quello del nostro pianeta. Madre Terra è composta per il 75% da acqua, così il nostro corpo, all’interno di Madre Terra ci sono una grande quantità di metalli in proporzioni varie, così come nel nostro corpo. Ebbene, qualche tempo fa è stato scoperto il “battito cardiaco” del nostro pianeta, si tratta della cosiddetta Risonanza di Schumann: un gruppo di picchi nella porzione di spettro delle frequenze estremamente basse (ELF) del campo elettromagnetico terrestre. La Frequenza fondamentale della risonanza di Schumann è un’Onda stazionaria nella cavità Terra-Ionosfera con una lunghezza d’onda uguale alla circonferenza della Terra. Questa frequenza fondamentale più bassa (e di maggiore intensità) della risonanza di Schumann avviene ad una frequenza di circa 7.8 Hz (intorno al 1985/86 tale frequenza era passata da 7,8 a 8,6Hz, un fenomenno che si pensava impossibile. Nel 2002 si è poi arrivati a 11,9 cicli al secondo: l’universo è in continua evoluzione).
La vita biologica terrestre è in risonanza con la frequenza di Shumann e dipende dalle interazioni dei campi elettromagnetici e gravitazionali. I ricercatori hanno scoperto che quegli Hertz delle onde di Schumann risuonano alla stessa frequenza dell’ippocampo nel nostro cervello. L’ippocampo fa parte del sistema limbico, relativo alla sopravvivenza ed alla memoria.

Il cuore umano emette un campo elettromagnetico che circonda l’intero corpo. Questo campo invia segnali ad ogni cellula del corpo che incidono sulla salute fisica, mentale ed emozionale. Il campo di energia del cuore interagisce ed è influenzato dal campo elettromagnetico della Terra, così come accade con altre persone, piante, animali incluso lo spazio, i pianeti e anche le stelle… tutto interagisce con l’Unità del Campo di Energia Vitale.

 

  Lo Spirito, il campo unico di energia cosmica (intelligente) -quindi il me, la mente, la materia e il mondo costituiscono una unità (come dimostrano oggi le scoperte scientifiche della fisica quantistica). Lo spirito, muovendosi entro se stesso (con l’energia c’è sempre il moto -il movimento), crea la mente, la quale, occupandosi di se stessa, precipita nella materia. L’osservatore osserva se stesso e diventa l’osservato; il vedente osserva se stesso e diventa lo scenario -il me; l’io, osserva se stesso e diventa corpo.

 

«In generale la visione del mondo è sorretta da una gioiosa partecipazione all’eterno processo di cui l’uno si dispiega nell’Uno e il Tutto si dissolve nell’Uno è l’eroico furore attivo e fervido dispiegarsi nell’uomo dell’eccellenza della propria umanità nei confronti delle religioni di cui mi esprimo con termini di beffardo disprezzo, individuando nelle varie fedi superstizioni deformatrici del vero concetto di Dio (un Dio punitore che giudica e si allontana della sua Creazione). Il filosofo non può professare altra religione che quella della Natura riconoscendo quel principio divino infinito che agisce e si rivela nell’Universo, presente dappertutto come è presente l’Anima nel corpo, riconosco un divino trascendente la cui realtà non si esaurisce nell’Universo, ma questo divino trascendente è inaccessibile, esso è conoscibile solo dal suo effetto come chi vede la statua non vede lo scultore. Dio principio dell’Universo è immutabile e infinito causa eterna di un effetto che si perpetua in un perfetto divenire di molteplici cose infinite, attività eternamente produttrice, di una infinità di esseri che si dispiega nella Natura, nelle cose, come l’intelletto che produce immagini, il complesso di questi effetti è la Natura, infinita come infinito è il principio che la produce. Uno è l’Universo in tutte le sue parti infinite ma in quanto infinito non ha alcun centro assoluto nè alcuna circonferenza, potendo ogni punto essere centro e circonferenza, tutte le cose sono animate, perchè in esse è infuso lo spirito animatore di Dio, uno è l’Universo, due i principi del mondo, uno attivo, l’anima del mondo, e l’altro passivo la materia ma i due principi sono due facce della stessa sostanza, due potenze indivisibili e riconducibili a un principio unico superiore a tutte le differenze, radice di esse, il principio in cui si realizza, la più alta coincidenza degli opposti. Tutti gli esseri viventi, sono fenomeni diversi di un’unica sostanza Universale».
Giordano Bruno

 

Come nasce la materia e l’uomo:

Questo concetto viene ben spiegato dalla fisica contemporanea, a ben chiarire come i “racconti mitologici” e le tradizioni esoteriche/spirituali sono in realtà metafore delle leggi di natura, di quelle forze cosmiche che, voltando lo sguardo alle stelle, i saggi iniziati sono riusciti a “canalizzare“.

Di fatto: il fotone, prima onda puntiforme, nel riflettere se stessa, crea il suo riflesso e questo costituisce il fotone infinitesimale con alta frequenza ed intensità (dieci alla meno quarantatre) in cui c’è una massa ma immateriale. L’onda puntiforme che è il punto momento dell’infinito entra in quella infinitesimale creando uno spazio-tempo. Questa onda infinitesimale riflette se stessa in un’altra onda infinitesimale e forma l’onda magnetica. L’onda magnetica include in sé sia quella puntiforme che quella infinitesimale. Questa polarità si stabilizza quando si forma il tripletto (vedi il concetto religioso della “Trinità“…), proprio perché ognuno pone l’altro come conosciuto e non restano equidistanti tra loro. C’è la separazione, uno dei due “accetta di essere conosciuto“, l’altro “conoscente” (vedi il concetto esoterico del Diavolo/Lucifero e dell’ “Albero della Conoscenza”), pur avendo tutti e due in sé conosciuto e conoscente e si forma il protone, poi si distanziano ancora e si forma l’elettrone…. e poi l’atomo, ecc… Un’evoluzione di queste nuove “informazioni quantiche” creano sempre nuove sostanze ed essenze. Possiamo immaginare tutto ciò come tanti specchi che riflettono una realtà unica.

Nel momento in cui questa potenzialità riflessiva si è messa in atto, ha separato da sè l’atto: ma avendo separato l’atto da sè, l’atto riflessivo ha riflesso solamente un ciclo d’onda. Questa è la prima materializzazione, per cui i fotoni hanno una massa.

Per essere ancora più chiari, possiamo dire… ripetendo, che Tutto è vibrazione, sia quella che vediamo che quella che non vediamo. La nostra “parte incorporea” si chiama “nuvola fluidica“. Noi siamo sia emanazione che formazione di questa “nuvola fluidicamagnetica. Fa tutto lei. Noi non vediamo con “gli occhi”, vediamo attraverso questo “campo” magnetico. È questa nuvola che vede attraverso l’organo detto occhio. È lei che funziona attraverso quella che noi chiamiamo coscienza. È lei che funziona attraverso quella che noi chiamiamo anima. È lei che funziona attraverso ciò che noi chiamiamo spirito. È lei che fa tutto. Perché è “sostanza pensante“. Detta in parole povere: è pensiero. E noi non siamo altro che pensiero solidificato. Noi siamo la parte solida. Senza fare filosofia o astrazione, secondo gli scienziati tutto ciò che esiste è sostanza fisicamente mentale o pensante. Non c’è nulla che non pensi. Certo ci sono diverse sfumature e modalità di pensiero, ma tutto è sostanza fisicamente pensante. Non stiamo parlando di qualcosa di segreto, misterioso od occulto, o metafisico. Fisica, chimica e neuro-scienze oggi sono tutte allineate nell’ammettere che effettivamente le cose stanno così.

 

La vera natura di Dio e come gli antichi intuirono la sua essenza:

La cosa sorprendente è che queste ultime rivelazioni scientifiche coincidono perfettamente con gli insegnamenti delle antiche scuole misteriche, e con le originali religioni pancosmiche di tutte le civiltà native della Terra. La Legge Unitaria che caratterizza l’energia fondamentale del Campo unico di energia cosmica, di cui parlano i fisici oggi, era chiamata forza dell’Amore o “divinità” dagli antichi saggi, era fatta corrispondere da quest’ultimi proprio all’essenza dell’Essere trascendentale, la divina Energia Vitale che emana e permea Tutto ciò che è. Si tratta del Brahman induista ad esempio, il principio primordiale trascendentale, immutabile ed infinito da cui ha avuto inizio il Tutto. Infatti, le originali religioni (come ancora oggi le filosofie orientali) veneravano non un Dio personale (come il Dio barbuto cattolico che ci guarda e ci giudica dall’alto), ma un’Energia Vitale Cosmica ordinatrice del Tutto, questo era inteso come Dio.

Questo “soffio che pervade l’intero cosmo” non è fatto coincidere con una coscienza intenzionale e consapevole in senso proprio. Essa è in verità “sovra-personale”, a meno che non si ritenga che l’intenzionalità comporti consapevolezza, ma anche i sostenitori dell’intelligenza artificiale oggi negano quest’idea. Infatti, ciò che noi intendiamo come un’anima conscia, dipende, in conformità con gli studi scientifici della fisica contemporanea, dalla maggiore o minore attività vibratoria dell’Energia di cui è composta, come direbbero i mistici; Essa infatti, si fa coscienza individuale solo quando l’Energia Cosmica si fa soggettiva, riflette se stessa e ha coscienza di se… il che è possibile quando le vibrazioni sono più veloci, quando si raggiunge uno stadio più sottile, laddove si cristallizza la materia e infine il nostro sistema nervoso su cui poggiano le percezioni dell’Ego individuale, uno stadio dunque più relativo, lontano dall’originale natura essenziale dell’Esseità cosmica.

Un famoso personaggio dell’Oriente che a me tuttavia non sconfinfera, ha però detto: «Una volta libero dai significati e dall’assenza di significati, sei libero da tutte le prigioni delle ideologie, dei credo e delle scritture indù, musulmane, cristiane. Sei improvvisamente fuori da ogni schiavitù, libero da tutte le prigioni: per la prima volta sei sotto il cielo. Quando sei totalmente vuoto, così come esiste un cielo fuori di te che è infinito, allo stesso modo c’è un cielo dentro di te che è infinito come quello esterno. E quando non cerchi significati, entrambi questi cieli si incontrano e si fondono in un’unità. Quell’esperienza è Dio. Dio non è una persona: quell’esperienza è Dio». (Osho)

 

Infatti, è il Fulcro, il Centro o il cosiddetto Punto Zero -poiché fonte della sua Origine prima- ciò che eventualmente può essere accostato all’originale SuperCoscienza, solo questa esseità assoluta è la Mente ordinatrice dell’onnipervadente ed eterno campo insito all’Omega, per così dire, dell’onnipotente intelligenza creativa stessa (ciò insomma che viene identificato sotto il nome di Dio). Esso è una SuperCoscienza nel senso che possiede una natura proto-mentale ordinatrice del Tutto, è una sorta di celestiale sistema informatico, un software assoluto in cui le Leggi eterne dell’evoluzione creano e distruggono l’intera creazione interagendo costantemente con tutte le leggi naturali e le causalità della cosmogenesi manifesta. Essa non crea intenzionalmente, non interviene nella vita materiale degli uomini, Dio non fa questo, perché non è questo, Esso crea per la necessità della sua natura attiva ed interagisce con il creato solo in quanto Mente responsabile e “promotrice” dell’esistenza, nel senso di naturale vitalità cosmica!

Facendo derivare tutta la natura cosmica da un’unica sostanza comune, gli antichi ritenevano che il Tutto comprendesse un principio “movimento e cambiamento”, da loro identificato con la vita e nello spirito. Infatti, siccome alcune entità derivate hanno una coscienza, allora, deve possederla anche la loro origine (con le accezioni succitate). E se lo Spirito Universale è eterno e divino, pure l’anima dell’uomo, “frammento dell’Uno”, come dicevano i pitagorici, deve essere eterna e divina. Pensate alla luce divina (Buddha) presente dentro ognuno di noi descritta dal Buddhismo.

 

La scoperta di questa energia coscienziale fu fatta attraverso l’uso di funghi allucinogeni, piante in grado di alterare lo stato di coscienza dell’uomo che quindi riuscì in quel momento a percepire quell’energia trascendentale. In onore di queste “qualità”, il fungo fu usato anche come ispirazione per venerare la figura/formadi Dio. L’Amanita Muscaria infatti fu la prima fonte di ispirazione religiosa insieme alla natura dei movimenti stellari che, osservando il cielo, gli antichi ritenevano essere i maggiori responsabili della vita sul nostro pianeta. Così se le dinamiche stellari, svelavano le leggi di natura, il fungo (fallico) ricordava come sulla Terra tutto nasceva dall’unione del principio mascolino e quello femmineo, due forze opposte ma complementari su cui venerare un Dio e una Dea. Da queste prime intuizioni primitive, in seguito i saggi asceti costruirono innanzitutto una serie di mitologie per le masse, e poi, nel segreto dei Misteri, una vera e propria Scienza Sacra in grado di spiegare l’origine della Vita.

 

In sostanza gli Antichi avevano osservato in natura, attraverso stati di coscienza alterati, che l’energia fluisce attraverso un vortice, in un asse centrale, esce dall’altro vortice e quindi si avvolge su di se per tornare al primo vortice entrante. Questo movimento crea una particolare proporzione geometrica (e rapporto numerico), ossia ha una forma che noi chiamiamo “toroide“: infatti possiede un asse centrale con un vortice ad entrambe le estremità e un campo coerente circostante.

Piante ed alberi mostrano lo stesso processo di flusso, ma hanno varie forme e dimensioni. Uragani, tornado, campi magnetici attorno a pianeti e stelle ed intere galassie sono tutti sistemi energetici toroidali. Estendendo questa osservazione della presenza consistente di questa forma di flusso nel “reame” quantistico, possiamo postulare che le strutture e i sistemi atomici sono anch’essi prodotti della stessa forma dinamica.

Ebbene, nel nostro modello della cosmometria, il toroide è la forma fondamentale di flusso energetico bilanciato che troviamo nei sistemi sostenibili in tutte le scale. Esso è il componente primario che permette un incorporamento frattale di flussi energetici dal micro-atomico al macro-galattico, dove ogni entità individuale possiede la sua identità unica rimanendo connessa con tutto il resto.

Per esempio, il nostro Sole è circondato da un enorme campo toroidale, l’eliosfera, a sua volta all’interno di un campo toroidale molto più ampio della galassia Via Lattea. Il campo magnetico della Terra ci circonda e si trova dentro il campo del Sole, proteggendoci dall’impatto diretto della radiazione elettromagnetica solare. La dinamica dell’atmosfera e dell’oceano è toroidale ed è influenzata dal campo magnetico circostante. Ecosistemi, piante, animali, ecc.. esibiscono dinamiche di flusso toroidale, risiedono e sono direttamente influenzati (ed influenzano direttamente) dai sistemi oceanici e atmosferici della Terra. Questo continua all’interno degli ecosistemi e degli organi del nostro corpo, dentro le cellule di cui sono fatti e le molecole, atomi e particelle subatomiche. In questo modo possiamo vedere uno scambio dinamico di energia ed informazione che attraversa l’intera esperienza cosmica. Si tratta di una “salita” e “discesa” a gradini da livello a livello (vedi l’Albero della Conoscenza o le “Sephirot” della Cabalà… percorsi da su a giù e viceversa..), dove il bilanciamento delle dinamiche energetiche diviene appropriatamente coerente ad ogni scala, ma si tratta alla fine di un solo flusso di energia che attraversa il cosmo.

Continuando la nostra esplorazione del toroide come forma e processo di flusso, una delle caratteristiche chiave è quella al suo centro, l’intero sistema arriva ad un punto di bilanciamento e immobilità, in altre parole, si tratta di una centratura perfetta -ovvero la divinità, quella Coscienza cosmica generatrice del Tutto, il Grande Spirito divino venerato dagli Antichi… quell’Esseità oggi ridotta da noi invece al concetto di Dio (personale). Si tratta del punto centrale del vector equilibrium, questa è la “singolarità” centrale del toroide. Dato che parliamo di un modello unificato della cosmometria (anche se descriviamo le sue parti “separate”), questo punto centrale è lo stesso sia nel vector equilibrium che nel toroide. Nel vector equilibrium è il centro del sistema nel suo stato di perfetto equilibrio non manifesto. Nel toroide è il centro del sistema nel suo stato di processo di flusso manifesto. Come nel caso di una singolarità del buco nero al centro della galassia, questo punto centrale in tutti i sistemi, li connette continuamente con il Campo Unificato sottostante (energia e informazione tornano allo stato di punto zero della densità infinita tramite singolarità). In questo modo tutto è unificato e presente olograficamente, perché il Campo Unificato informa ogni entità manifesta nell’intero cosmo in ogni momento e ogni entità informa l’intero cosmo della sua presenza locale tramite il Campo Unificato. Questo tipo di scambio reciproco è caratteristica primaria dei sistemi toroidali, dove l’individuale è informato e influenzato dall’ambiente circostante e l’ambiente è informato e influenzato dall’individuo, in uno scambio ritmico bilanciato. Ciò che si scambia sono quindi informazioni quantiche, ossia energia purica che fluisce nel nostro sistema nervoso centrale attraverso le emozioni e nel nostro cervello attraverso le onde cerebrali/pensiero. Questi flussi sono sincronicamente interagenti con la rappresentazione materiale della “nostra” realtà.

 

Oggi la scienza dimostra appunto che l’uomo è immerso in un suo campo magnetico, che è a sua volta avvolto nel campo magnetico della Terra, entrambi ravvolti al campo magnetico del sole e della nostra Galassia. In sostanza, l’uomo è influenzato sia dal campo magnetico della Terra (vedi la risonanza di Shumann) che da quello, innanzitutto, del sole. Ebbene, esistono delle evidenze scientifiche che spiegano delle relazioni accertate tra l’intensità e le variazioni del campo magnetico terrestre e solare e gli stati di umore e coscienza dell’uomo. Il sole invia delle cariche di elettroni e di protoni che modificano il campo magnetico della Terra: in questo dominio la scienza ha dimostrato un’influenza significativa sui sistemi biologici.

Questi fenomeni influenzano addirittura il collettivo umano. Gli autori Adrian Gilbert e Maurice Cotterell hanno ad esempio dimostrato delle relazioni tra l’ascesa e le scomparse degli Imperi con i cicli solari corrispondenti…

Ebbene, la scoperta che l’elettromagnetismo ci influenza in modo così rilevante portò gli Antichi a dedicarsi allo studio delle stelle. I saggi asceti ovviamente non leggevano questa natura delle cose secondo la chiave scientifiche odierna, non ragionavano in termini di campo magnetico o irradiazione elettromagnetica solare, non conoscevano queste leggi fisiche, ma intuivano un’ “influenza” inequivocabile… attraverso le loro meditazioni trascendentali potevano “sentire” quelle forze naturali… e allora le simboleggiavano, creavano mantra, mandalamitologie, religioni, ecc… Ecco che per l’influenza del campo magnetico terrestre la Terra divenne la Madre Terra, la Dea… mentre il Sole divenne il Dio.. la manifestazione più ‘vitale’ dell’Esseità cosmica.

Il Sole era considerato creatore dello “spirito”, del colore e della luce: quindi è  il “Padre” e custode della vita umana, per questo motivo era ritenuto la divinità tutelare (deus) di chi sta per nascere.

 

Queste forze col tempo vennero riconosciute intuitivamente… facevano parte della coscienza collettiva, come gli Archetipi.

I Saggi sapevano bene che prima del fare c’è il pensare. Il pensiero è la possibilità di farfunzionarela materia, cioè “tutti i corpi”, in ventidue modi detti Archetipi. C. G. Jung chiama archetipi, o immagini primordiali, gli elementi strutturali dell’inconscio collettivo. Essi sono le forme immaginifiche degli istinti, perché l’inconscio si manifesta alla coscienza anche con immagini che, come nei sogni, mettono in moto il processo di reazione e di elaborazione consce. È perciò da supporre che esse corrispondano a certi elementi strutturali collettivi (e non personali) dell’anima umana in generale e, come gli elementi morfologici del corpo umano, si trasmettano per via ereditaria.

Questi Archetipi sono possibilità o facoltà di funzionamento. Queste facoltà sono 22: facoltà di unificare, di contenere, di ruotare, di solidificare, di vivificare, di sostenere, di eternare, di fare da scudo, di lasciarsi penetrare, di concentrare, di penetrare, di misurare, di nutrire, di trasformare, di comprimere, di sintonizzare, di espandere, di tagliare, di legare, di abbellire, di traslare, di reagire. Ad esempio il pensiero può spostare le cose ferme. In quanti modi? Solamente in due. Le cose che si muovono nell’Universo, sono miliardi di miliardi. Ma i movimenti sono solamente di due tipi. Il pensiero può far traslare le cose oppure le può far ruotare. Non c’è altro tipo di movimento. Rotazione e Traslazione si combinano tra di loro in infiniti modi. Le facoltà del pensiero sono solamente ventidue, come se fossero ventidue carte da gioco (22 sono infatti i Tarocchi..). Ma queste ventidue facoltà, come nelle carte, possono essere combinate in miliardi di miliardi di modi diversi. Ogni modo è un’azione. Infiniti sono i movimenti di tutte le cose. E questi movimenti, nel ruotare e traslare, formano delle proporzioni geometriche, quindi dei rapporti numerici, ecco perché l’analogia più stretta per le elaborazioni inconsce, ossia le formazioni fantastiche, si trovano nei “tipimitologici, e in seguito si troveranno nelle Scienze Sacre dei saggi iniziati attraverso la Numerologia.

 

Tuttavia, la posizione nei confronti di una divinità concepita e sentita in termini personali, portata dall’avvento dell’antropomorfismo all’interno del processo di umanizzazione dell’universo da parte della razionalità dell’uomo (vedi anche il monoteismo ebraico), comportò ad un certo punto la supplica, l’orazione e il dialogo, tutte pratiche adatte al “rapporto interpersonale” ma non al rapporto col sovra-personale. Al contrario gli antichi, più che pregare, meditavano attraverso dei Mantra (come tutt’oggi gli Orientali), essi non facevano altro che fare esperienza del divino recitando dei suoni (generati dalle parole del mantra) che si sintonizzavano con le vibrazioni dell’Energia dell’Essere, senza avere il bisogno di inventare (per esorcizzare…) diavoli o santi che li giudicavano o che intervenivano nelle loro vite, questa dipendeva solo dalle loro scelte in conformità con le leggi di natura: scelte che potevano passare per il perseguimento dell’amore o eventualmente del più nefasto odio. In principio, in effetti, gli Spiriti o gli dèi (nati successivamente…) erano delle simbologie mitologiche per narrare metaforicamente i diversi attributi dell’unico Dio (per capirci: il dio del sole non rappresentava altro che la forza vitale che deriva dal calore e dalla luce del sole); all’inizio il politeismo ritraeva soltanto differenti manifestazioni di Dio attraverso le diverse leggi di natura -solo in seguito gli dèi entrarono in gioco nell’influenzare le vite degli uomini. Infatti, l’Essere assoluto e trascendentale, non ha fini se non quello di essere necessariamente per l’eternità, una necessità che si emana attraverso un’attiva Legge eterna (un aspetto di questa legge è oggi il Karma degli orientali), periodica ed equanime attraverso la cosmogenesi.

Così, ciò che oggi la scienza chiama Punto Zero, Vuoto Quantico o Coscienza Primaria, per gli antichi era il Padre, che ha creato la “Coscienza Secondaria“, che per i fisici è lo stadio materiale della realtà mentre per gli antichi era il Figlio. L’ “aspetto energetico” della Coscienza Secondaria (la sua specifica frequenza vibratoria) era invece per gli antichi il Regno dello Spirito, ciò che noi oggi chiamiamo lo Spirito Santo e viceversa i fisici chiamano la Matrice Universale. In sostanza: tutto è Uno. È il Logos di Eraclito, la legge universale e principio naturale interno alla “Physis” (Natura), secondo il quale tutte le cose nascono e muoiono. È l’ “Eidos” (idea) di Platone; è l’ “Harmonia Mundi” della visione “mate-mistica” di Pitagora: l’Universo “canta”, e l’uomo è una nota dell’immensa sinfonia cosmica; si tratta infine anche del Logos degli Orfici, capace di trascendere il piano terreno e mettere in comunicazione le singole anime con il Nous.

 

 LA GEOMETRIA SACRA

Ancora una volta la scienza oggi giunge ad avvallare queste intuizioni. Circa quindici miliardi di anni fa una poderosa vibrazione, una frequenza energetica tipo una sinfonia di flauto per capirci, diede la nascita al nostro Universo. Le onde sonore increspavano i gas incandescenti da cui avrebbe preso forma l’Universo attuale. Come succitato questa “Musica” ricorda le antichissime intuizioni di saggi, filosofi e matematici, convinti dell’equivalenza tra le simmetrie musicali, la matematica e i processi celesti, l’ordine degli astri in cielo come sintomo della segreta armonia del Cosmo e della Natura, che l’uomo può “captare” e comprendere. Sembravano sogni o fantasie esoteriche, ma oggi è la scienza e la cosmologia più avanzata a fornirci, sulla base di dati fisici, delle conferme a quelle intuizioni.

Il suono può generare forme soniche, e strutturare la materia; la materia è una forma sonica solidificata, queste forme soniche e geometriche sono visualizzate in molti esperimenti atti a dimostrarne la possibilità e le applicazioni. Teniamo poi sempre a mente il toroide, ossia la forma fondamentale di flusso energetico bilanciato che troviamo nei sistemi sostenibili in tutte le scale dell’universo.

Un fatto importante, oggi dimostrato dalla scienza, è che ogni oggetto emana un‘energia propria. Ogni oggetto, naturale o artificiale possiede una vibrazione propria ed emana energia a frequenza propria, non solo a causa del materiale di cui è composta, ma anche dalla forma che assume nello spazio. In natura tutto è duale, a forme positive o armoniche ne esistono altre negative o disarmoniche che possono generare problemi a livello energetico nell’ambiente e nel corpo stesso. Con il teorema di Bell la scienza ha dimostrato che tutte le cose hanno informazioni proprie e che sono identiche alle parti che la compongono e perfino ad una fotografia dell’oggetto stesso. La fotografia di un oggetto è in grado di trasmettere le informazioni dell’oggetto stesso in quanto le contiene. Questa scoperta non è da poco e ci permette di capire su che basi si fonda la radionica.  Questo spiega anche perché sia possibile che sensitivi trovino a distanza persone scomparse da una semplice fotografia. John Bell (vedi Teorema… Ndr) ha scoperto che le particelle elementari di energia non possono essere mutate senza che risultino alterate nello stesso modo anche le loro “gemelle” nate dalla stessa particella madre. Tramite l’acceleratore atomico del Cern una particella d’energia “madre” è stata scissa in due particelle di energia figlie, perfettamente identiche tra di loro e quindi con le stesse caratteristiche. Particelle con le medesime caratteristiche hanno informazioni uguali. Bell, agendo su una delle due particelle ha dimostrato che questa poteva essere mutata, e contemporaneamente mutava anche la seconda particella gemella, sebbene su di essa non era stato attuato nessun intervento. Questo esperimento dimostra che non possono essere modificate della parti senza che non venga modificato l’insieme. Cose legate tra loro da una stessa energia elementare restano identiche anche quando solo una di esse varia perché tale variazione costringe al cambiamento anche le altre. Ancora una volta la scienza conferma l’idea esoterica delle antiche scuole misterosofiche riguardo l’Unità del Tutto, sul fatto soprattutto che l’energia -e dunque anche la nostra mente- può influenzare la materia, e quindi le frequenze dell’energia vitale che permea Tutto ciò che ci circonda, cosa che ovviamente influenza anche i nostri stati d’animo… compresa la saluta e il nostro benessere.

Partendo dal fisico musicista Chladni della fine del 1700, il medico svizzero Hans Jenny “codificò” finalmente nel 1967, attraverso due volumi dal titolo “Kimatic”, quella che tutt’oggi viene intesa come una pseudo-scienza. Una pseudo-scienza però in grado di dimostrare come morfogeneticamente la materia si possa organizzare attraverso il suono”. Arrivando ai nostri giorni tale “teoria” è stata perfezionata dagli esperimenti svolti da un ricercatore giapponese, Masaru Emoto, il quale ha legato alla morfogenesi dei cristalli d’acqua anche un’influenza ambientale di tipo mentale”, superando lo steccato sonoro in cui la Cimatica era stata confinata. Sommando l’ “ufficiale” al “non ufficiale” era possibile nei primi anni del 2000 teorizzare come una forma d’ “etere” autoaggregante, dalle spiccate capacità platoniche, fosse, a diversi livelli di densità ora vuoto, ora materia, il tutto frutto di un probabile disegno “mentale” trasfuso attraverso il suono. Si faceva insomma strada il principio di “campouniversale dalle caratteristiche ancora tutte da decifrare. Attualmente queste scoperte sono ciò che più si avvicina alla concezione che gli antichi avevano di Dio: a ciò che gli antichi sciamani avevano intuito, riguardo la divinità, attraverso i loro vagabondaggi onirici determinati dall’uso di vegetali psicotropi. A quanto pare loro attraverso un funghetto allucinogeno capirono molte più cose di quanto hanno compreso i nostri scienziati in secoli di ricerche, incredibile no?

 

Come l’Energia “forma” la realtà e come gli antichi decodificarono queste leggi di natura:

A questo punto: poiché il suono ha una frequenza, dunque un ritmo, come ogni musica che si rispetti ha una partitura essenzialmente matematica. La frequenza di una lunghezza d’onda può essere chiaramente tradotta attraverso dei rapporti matematici, e quindi con proporzioni geometriche. L’antico esoterismo delle originali religioni parlavano infatti di Geometria Sacra: ossia la struttura morfogenetica che sta dietro la realtà stessa, ed è alla base delle leggi matematiche in natura. Andrew Gladzewski eseguì una ricerca su modelli atomici, piante, cristalli e armonie in musica, e concluse che gli atomi sono risonatori armonici, mentre provò che la realtà fisica davvero è governata da ordini geometrici basati su frequenze di suono. È recente la scoperta scientifica che ha dimostrato che il nostro cervello trasforma tutte le informazioni in entrata in immagini, prima di trasformarle in pensieri, parole e concetti; lo stesso avviene in uscita. È pertanto dimostrato che il cervello umano funziona per archetipi. Chi ha un minimo di conoscenza di simbologie esoteriche, ha già ben presente che un’immagine primordiale, quasi sempre geometrica, nasconde un significato a volte anche molto complesso. Studiando la natura di questi schemi, forme e relazioni matematiche, si otterrebbe una comprensione intima delle leggi e dei misteri dell’Universo. Tutto ciò sono ad esempio i Mandala.

Secondo le misterosofie esoteriche le forme della materia vivente sarebbero state plasmate dal movimento circolare (a spirale) e pulsante dell’Essere trascendentale nello spazio”; ossia da quell’Energia cosmica onnipervadente che si emana dalla SuperCoscienza che gli antichi saggi identificavano con la divinità (Dio –impersonale). La tendenza dell’Energia Vitale primordiale ad accumularsi, a differenza di altre forme di energia, consentirebbe l’organizzazione della materia caotica in strutture complesse: l’Energia Vitale si accumulerebbe all’interno della materia organica, la quale si organizzerebbe in “concentrazioni soggettive” di quello spirito cosmico, fino a portarle a una vera e propria tensione meccanica. Tutti gli organismi viventi sarebbero una sorta di “baccello” che imprigiona una certa quantità di Energia Vitale, la quale manifesterebbe le sue caratteristiche nelle funzioni biologiche meccaniche degli esseri viventi. Altresì, è il magnetismo che tiene insieme il nostro corpo materiale, esso ci impedisce di vaporizzarci, è ciò che ci mantiene solidi!

Le forme perfette rivelate dalla natura per mezzo dei “flussi di energia”, che gli antichi erano in grado di percepire, si pongono tra l’altro alla base della “geografia sacra”, estesa su scala planetaria (come la griglia elettromagnetica della Terra a forma di losanghe curve), della “geodesia sacra”, estesa su ampi territori (come le reti geodetiche megalitiche), della succitata “geometria sacra”, applicata in architetture perfette per determinare risonanze coerenti, della “numerologia sacra”, dedotta dalla perfetta armonia dei cicli degli elementi del cosmo ed applicata tanto nelle macro, quanto nelle micro-scale per creare sistemi-complessi auto-equilibrati e connessi tra loro in un rapporto di relazione in dinamico, ma interdipendente, equilibrio cosmico. In tale sistema modulare sono inclusi tanto la proporzione aurea e le figure platoniche, quanto le similitudini proporzionali di tipo frattale esistenti tra le dimensioni dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande.

Ebbene, per molte culture tradizionali, la presenza in natura di varie strutture geometriche, quali la conchiglia del Nautilus pompilius (che forma una spirale logaritmica), gli alveari esagonali formati dalle api fino ai movimenti degli astri, sono solo alcuni esempi sufficienti a suffragare l’importanza cosmica delle forme geometriche e matematiche, e di come l’Essere trascendentale usi queste proporzioni per manifestare la creazione. Un rapporto presente in natura è la cosiddetta Sezione Aurea, una proporzione geometrica conosciuta e venerata da tutte le civiltà native della Terra: la spirale logaritmica –infinita- si rappresenta e si evolve secondo la sequenza di Fibonacci, una sequenza matematica alla base dell’architettura molecolare dell’universo (fu usata anche da molti artisti giacché questa proporzione esprime non a caso il senso di bellezza estetico naturalmente riconosciuto dall’essere umano).

Di fatto, in principio vigeva il mistero del numero come principio naturale, dal quale si poteva concretamente derivare le cose del mondo. La nostra difficoltà nel capire questo mistero deriva dal fatto che, per la visione moderna, il numero è un “oggetto” mentale, mentre per gli antenati ad esso corrisponde, come avrebbero detto i pitagorici, una realtà spaziale: un numero equivale, infatti, ad un insieme di punti geometrici che essi pensano dotati di estensione, in quanto provvisti di “massa”, quali veri e propri solidi (per quanto riguardava i numeri razionali esisteva un’intera dottrina esoterica al riguardo). Questo è dimostrabile dal fatto che secondo l’equivalenza fra massa ed energia trovata da Albert Einstein, infatti, la massa è considerata indubitabilmente una forma di energia, e dunque se il suono è energia, significa che una massa può essere concepita anche come suono, nel senso che è dotata di “energia a riposo” (teoria della relatività ristretta: E = mc2).

La complessità che comunque rimane caratteristica della realtà che ci circonda, può essere bene esemplificata allora dai frattali, queste problematiche hanno dato infatti l’avvio allo studio del “caos deterministico“, cioè di situazioni di disordine ottenute però da processi matematico-fisici deterministici. Si è sviluppata quindi una branca della geometria frattale che studia i cosiddetti frattali biomorfi, cioè simili ad oggetti presenti in natura.

In conclusione, la natura, nella sua forma più primigenia, sembra rispondere ai numeri. Si noti la formazione geometrica dei cristalli di neve, delle cellule delle piante, e la matematica precisione delle aurore, dei movimenti dei corpi celesti e della processione delle stagioni

È la conoscenza di questo complesso universo di relazioni tra numeri e cose che costituiva per gli antichi il vertice dell’apprendimento. Così ad esempio il tempo, ha il numero per base, così è di ogni movimento, di ogni azione e di tutte le cose che sono sottomesse al cambiamento dei luoghi, alla successione degli istanti.

Gli antichi saggi designavano il divino Essere assoluto con 1, la materia con 2, ed esprimevano l’Universo con 12, che è il risultato dell’unione dell’uno e del due. Oggi si sorride al pensiero che il numero 4 potrebbe agire come un essere vivente nel piano delle “idee-forze” od anche che rappresenti, nel mondo delle leggi, una chiave che apra molte porte ancora chiuse. Ma il numero della forza 4, o il numero del quaternario, è ritenuto il più necessario per la conoscenza dei numeri poiché esso mostra la progressione della forza nel mondo materiale, ciò significa che: ogni forza è 1, questa forza ha un effetto, forza ed effetto, 2, ogni effetto ha un seguito, forza, effetto e seguito, 3, il seguito ha una realizzazione, forza effetto e seguito nella sua realizzazione, 4. Essendo ogni cosa realizzata nell’universo, 4 è chiamato il numero della forza, che costituisce il grande quaternario di tutte le cose (i quattro elementi in natura). Da questo numero nasce 10, perché 10 è contenuto in 4, ed è la prima decina superiore. 10 considerato come immagine è la proporzione della forza 1 alla periferia 0, dal punto alla linea circolare ed è chiamato Numero Universale perché tutto ciò che esiste consiste nella proporzione dall’energia all’estensione; 9 è il numero della linea circolare o dell’estensione, e ne è la causa (il 9 produce la decina divina, il 10) per cui la forza forma nell’estensione il cerchio naturale (9 viene dal latino “nova“, ossia “nuovo”, è ciò che produce qualcosa di nuovo… non a caso dopo 9 mesi di gestazione nasce una nuova vita).

Non dobbiamo però lasciarci ingannare dal cerchio ordinario, poiché il cerchio meccanico o geometrico si distingue molto dal cerchio della natura. Il cerchio della natura si forma dal movimento di una forza verso l’estensione. Nel punto in cui cessa l’energia della forza, la circonferenza ha inizio. Se gettiamo una pietra nell’acqua, si forma un cerchio; questo è proporzionale alla forza del colpo e alla grandezza della pietra; tutte e due, la forza del colpo e la grandezza della pietra, riunite danno il punto di caduta, l’energia dell’estensione. Poi linee rette emanano dal punto di caduta secondo la proporzione dell’energia e, nel punto in cui questa cessa ha luogo l’inizio della linea circolare. Il cerchio della natura ci dà l’immagine della manifestazione delle proprie forze; l’azione e la nascita della reazione. Tutto ciò che ha estensione si regola sulla legge del cerchio. Dall’estensione della forza e dal rientro in sé stessa deriva il movimento di tutte la cose.

 

LA RELIGIONE PERDUTA (parte 1)

Ebbene, è possibile supporre che il primo gesto compiuto dall’ “homo erectus” sia stato quello di levare lo sguardo verso il cielo per osservare gli “strani fenomeni” che vi accadevano e viene logico pensare che SoleLuna, astri dell’apparente identica grandezza, calamitassero la sua attenzione acquistando un’importanza primaria rispetto agli altri fenomeni celesti. Gli evidenti effetti che i due luminari sortivano sulla terra e sugli esseri viventi indussero l’uomo ad attribuir loro il verificarsi di qualunque avvenimento, positivo o negativo che fosse, e fu quindi ovvia conseguenza che Sole e Luna svolgessero la funzione di archetipi naturali. È difatti comune a tutte le culture e le civiltà del passato la deificazione dei simboli solari e lunari ai quali furono attribuiti, a seconda del periodo storico, polarità maschili e femminili a volte contrapposte, molto raramente fuse in entrambi i valori come lo YinYang: un vero e proprio simbolo ermafrodito. È ipotizzabile che le prime forme di culto siano stati i riti di fertilità offerti alla Madre-Terra, che l’uomo primitivo compiva allo scopo di ingraziarsi la natura, intesa appunto come Dea-Madre. Egli cercava così di ottenere la sua benevolenza, che doveva esprimersi in raccolti generosi e cacce fruttuose.

Inoltre, la mentalità analogica dell’uomo primitivo metteva istintivamente in mutuo rapporto cose apparentemente consimili, stabilendo in tal modo un legame indissolubile tra i fenomeni più vari.

Una di queste associazioni fu quella che gli antichi fecero tra la divinità e i funghi enteogenici. Infatti, l’uso di piante psicogene permetteva ai saggi asceti di alterare la propria coscienza e di poter quindi entrare in uno stadio coscienziale in grado di “sentire” l’energia trascendentale alla base della realtà. Perciò, prima che i saggi riuscirono a decodificare (col tempo e con il proprio sviluppo evolutivo…) le leggi di natura attraverso i “movimenti stellari” e quindi attraverso i numeri e le geometria che li governavano, usavano rappresentare la divinità attraverso la venerazione del fungo, una pianta sacra in grado di connettere l’uomo con l’Esseità trascendentale.

Il famoso Albero della Vita, presente in molte culture, e che noi conosciamo come l’Albero dell’Eden, è stato in principio illustrato proprio come un albero-fungo. Numerose sono le raffigurazioni che lo documentano e quella più conosciuta, ma non l’unica, è il famoso albero/fungo -il fungo è l’Amanita Muscaria- della cappella di Plaincourault in Francia, riportata nel libro “Il Fungo Sacro e la Croce” di John Allegro. Sappiamo anche che le due forze complementari che creano la realtà erano rappresentate dagli antichi attraverso il simbolismo dell’Ermafrodita Divino, che non a caso sembra tenere in mano la parte inferiore del cappello e l’ovulo da cui nasce l’agarico muscario. Inoltre, se andiamo sempre alle origini dell’ebraismo (e quindi del Cristianesimo), Adamo, in quanto maschio, rappresenta il fungo nella fase iniziale del suo stadio di crescita in forma fallica (ecco il simbolismo della prima “forza/legge/energia” della natura, quella che veniva venerata attraverso il sole che feconda la vita). Eva invece, è la componente femminile (la “forza” della fertilità di Madre Terra), ed è rappresentata dall’apertura in forma di “ferita” delle lamelle dello stesso fungo. Allora, quando il cappello dell’amanita si apre per formare il drappo, quella specie di grembiule si crea proprio dalle lamelle del fungo stesso, così in senso figurato sembra che Eva nasca dalle costole/fianco del gambo/corpo del fungo, cioè di Adamo. Non solo, quel drappo che si apre sull’Amanita, è proprio la parte che si mangia e che quindi dona all’uomo quell’alterazione di coscienza in grado di percepire l’Esseità cosmica, dunque l’Illuminazione. Tutto questo poi confluirà secondo gli stessi simbolismi quando i saggi riuscirono a trovare le stesse “dinamiche” ad un livello più alto, cioè nel cielo: ossia nelle forze vibrazionali ed elettromagnetiche degli astri, che anch’essi finirono per simboleggiare le diverse manifestazioni divine.

Ebbene, dal momento che dalla componente femminile si riceveva l’Illiminazione, agli albori della civiltà erano prevalentemente le donne a occuparsi dell’agricoltura e a svolgere il ruolo di erboriste e nutrici, ma non solo.. Come la Madre-Terra, anche la donna è madre, genera, dà il frutto del suo ventre, nutre col latte del suo seno, è soggetta al ritmo mestruale non a caso eguale al ciclo lunare. Ecco dunque stabilirsi un collegamento e una venerazione tra la Terra-Madre, la Donna e la Luna-Femmina. Col succedersi delle civiltà i culti subirono varie trasformazioni ma le parole Femmina, Luna, Terra, Madre, Fertilità, considerate dagli antichi quasi sinonimi, rimasero radicate nel loro animo producendo nuovi miti e nuovi dèi, tutti riconducibili all’ambivalenza del nostro luminare notturno che, mille volte trasformato e riproposto, rimane sempre identico nell’essenza.

 

Questa filosofia religiosa aveva in se una credenza nella cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà era simile a un insieme di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo che manifestava tutto il creato. La ciclicità è una caratteristica praticamente costante della materia vivente: esistono ritmi delle cellule, degli organi e sistemi, della biologia e del comportamento degli organismi e della specie. Così, ad esempio, è presente una ritmicità nel ciclo riproduttivo delle cellule del nostro organismo ed è ritmica l’attività elettroencefalografica cerebrale. Ma anche tutta la nostra vita psicosociale segue dei ritmi più o meno evidenti, come dimostrano il comportamento alimentare o sessuale e il ciclo sonno/veglia. Ogni essere vivente era un “punto” di un insieme ombrato dall’onnicomprensività divina, perciò, scopo degli antichi, era quello di ricreare quel legame tra Cielo e Terra che era stato spezzato e che avrebbe ricondotto l’anima di ogni uomo a riconnettersi con la deità assoluta e trascendentale dello Spirito Universale. Per questo motivo il “tempo” per gli antichi era un concetto sacro da venerare sia per la sua utilità pratica nei raccolti sia per la sopravvivenza della specie. I “contatoridel tempo, così come delle stagioni, erano le stelle, gli astri del cielo, in primis il sole e la luna.

Di fatto, la bellezza, lo splendore, la suggestività della fenomenologia lunare, il suo legame con la notte, la sua mutevolezza ripetitiva che scandisce la Legge del Ciclo, hanno da sempre affascinato l’uomo, costituendo uno dei primi e dei più importanti archetipi naturali. Fu spontaneo per l’uomo paragonare la potenza evocatrice della sua luce al sentimento e all’ispirazione, la sua presenza nel cielo notturno al romanticismo e al sogno, la sua rotondità alle rotondità femminili, il fenomeno delle maree alla sua sovranità sulle acque e così via. Ma la presenza della Luna nella volta celeste non è costante: per tutta la quarta fase, e cioè per un periodo di sette giorni circa, essa è invisibile all’occhio umano e, per gli antichi, con la scomparsa dell’astro, cessavano anche i benefici influssi che il luminare esercitava sulla terra. Così la Luna propiziatrice delle nascite, dei raccolti, della fertilità, delle maree, diventava astro negativo, apportatore di terremoti, di maremoti, di morte. Ecco dunque che essa assunse anche l’aspetto di dea crudele, malefica e distruttrice, divenendo di volta in volta adorata o temuta, considerata benigna o crudele, prodiga o assassina. Se l’astro notturno ha sempre mostrato una doppia faccia, una “bianca” e positiva, una “nera” e negativa le donne, identificate con la Luna, ne hanno anch’esse ereditato la duplicità, apparendo di volta in volta come streghe o madonne, ispiratrici o demonesse e la bifrontalità della loro immagine si è perpetuata nei secoli giungendo sino ai giorni nostri. In sostanza, l’uomo si è trovato, sin dal principio, di fronte alla presenza di un mistero, e quando egli viveva ancora tramite vocazioni connaturate e genuine, a contatto con la natura e con le sue forze cosmiche, la contemplazione che realizzò nei confronti dell’universo, oppure chissà quale soprannaturale avvenimento, gli donò in quello stesso istante la rivelazione più autentica della divinità.

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Lo studio comparato delle Religioni ha senza dubbio rilevato che le prime culture del mondo condividevano innanzitutto la stessa icona religiosa, un fatto che indica un patrimonio comune unico. L’icona rispunta successivamente tra gli occultisti del Rinascimento, ed era chiamata “Rebis”, associando il simbolo “mano destra” con il sole e, la “mano sinistra” con la luna. Questa è la religione universale dell’antichità. È stata condivisa da tutte le antiche culture in tutto il mondo.
Per questo motivo, il Rebis è la Pietra Filosofale, l’Oro alchemico, la perla dentro l’ostrica, e così via..; il Rebis rivela chi siamo veramente, ma rivela anche qualcosa di più: come arrivarci. Come trovare il nostro vero Sè eterno.
Una tradizione occulta ritiene che il Rebis sia stato il primo essere umano perfetto e divino. A differenza di noi , il Rebis era pienamente consapevole della propria natura interiore divina, sapeva che la natura divina interiore era diversa rispetto al guscio esterno temporaneo ed umano. Questa conoscenza o gnosi rese i Rebis divini, o meglio, fece nascere la consapevolezza della propria divinità nei Rebis.

Tuttavia, successe qualcosa, e il Rebis “caduto” divenne ciò che siamo oggi. Catastrofi stellari furono messe a confronto con il precario equilibrio dell’emotività umana, e la degenerazione della storia umana fu un perfetto parallelo per la “caduta” del Rebis (vedi il mito di Lucifero..).

Tra le tante mitologie per spiegare questa caduta, gli antichi gnostici descrissero anche la storia in cui Dio creò il Rebis , ma divenne geloso non appena i Rebis conobbero la propria natura divina (vedi anche Adamo ed Eva i quali attinsero all’Albero della Conoscenza). Così divise i Rebis (ermafrodito) in due sessi, due esseri indipendenti più deboli rispetto all’originale. Un sesso divenne prevalentemente maschile con l’accento sulla qualità solari come il giorno, la luce, il caldo, il fuoco e l’asciutto. Un sesso divenne prevalentemente femminile con l’accento sulla qualità lunari, come la notte , il buio, il freddo, l’acqua e il bagnato.
Tuttavia, nella loro memoria inconscia risiedeva ancora la loro perfezione e vera essenza, una reminiscenza di un passato splendore, ovvero quando erano il Rebis. È per questo motivo che gli esseri umani sono attratti dal sesso opposto e si uniscono in amore, cercando sempre di tornare al loro stato primordiale di unità, perfezione e divinità (che, ironia della sorte, non hanno mai perso del tutto).
«Secondo la mitologia greca , gli esseri umani sono stati creati originariamente con … una testa con due facce . Temendo il loro potere , Zeus li divise in due parti separate , condannandoli a spendere la loro vita alla ricerca della loro metà». Platone
Il Rebis vive al centro dentro ognuno di noi: è il nostro “dio interiore“. Come l’uomo primordiale, il Rebis non è né maschile né femminile, è neutro (la spiritualità è “pre-materialità”, anzi è la “fonte” della materialità).
Oltre a maschile/femminile, questa neutralità del Rebis è espressa dal bilanciamento tra il compasso solare su un lato (a destra) e della squadra lunare sull’altro lato (nella mano sinistra). Tenendoli insieme, uniti, si potrebbe dire, il Rebis incarna dunque la fusione del sole e della luna, del giorno e della notte, della luce e del buio, del caldo e del freddo, del fuoco e dell’acqua, dell’asciutto e del bagnato, del maschio e della femmina, dello spirito e della materia, dell’anima e del corpo , e così via… in quanto tutti gli opposti erano uniti in principio.

La forma a “uovo” da cui il Rebis è tratto simboleggia ulteriormente l’essenza primordiale dei Rebis . Questo è il cosiddetto “uovo del mondo“, un motivo comune trovato in molte culture antiche. L’uovo è il seme del cosmo, prima del big bang si potrebbe dire, che tiene l’intero universo al suo interno (potenziale vibrazionale nel “Vuoto Quantomeccanico”).
Il Rebis (o dio interiore) esisteva all’inizio, quando tutte le dualità dell’universo erano ancora unite nell’uovo. Pertanto, un essere umano al fine di tornare a quello stato incontaminato di unità… e acquisire più lucidamente i poteri di quella divinità interiore (i poteri del Giardino), deve unire tutti gli opposti nella sua vita.
Vale a dire che il Rebis non è solo una rappresentazione dell’essere umano primordiale, è anche un insegnamento, che ci ricorda il nostro vero “dio interiore” e lo stato originale di perfezione, divinità, integrità e completamento presente in ognuno di noi.
L’unico modo per raggiungere tale stato è unire le polarità gemelle attraverso la nostra “Volontà” e volere.
«In questo modo si raggiunge la pienezza , l’unità … Come si fa? Con l’unione con l’altro e l’unione dentro di sé … lasciate che la perfetta unità prenda il posto della dissociazione primitiva e della “divisione”… In altre parole , lasciate che il “fuori” diventi come il “dentro” , il “superiore” come l’ “inferiore”, il maschio come la femmina; lasciate che il primo diventi ultimo e l’ultimo primo: in breve, permettete agli opposti di riunirsi…». (Jesus Christ, Gnostic Texts -Jean Doresse, The Secret Books of the Egyptian Gnostics)
Questa è la grande conoscenza segreta dell’alchimia e di tutte le altre discipline ermetiche e tradizioni antiche, la maggior parte delle quali sono sopravvissute attraverso le società segrete: «…Gli aspetti passivi ed attivi della vita, che da soli potrebbero portare ad uno squilibrio e ad una disarmonia, devono essere… ricongiunti insieme in armonia…». Prince Charles, Discorso alla Sacra Web Conference 2006.
Dopo che l’uomo ha attraversato la putrefazione e la purificazione, la separazione delle qualità opposte, queste qualità sono unite ancora una volta in quello che viene a volte descritto come l’ermafrodito divino, una riconciliazione di spirito e materia, un essere di qualità sia maschili che femminili come indicato dalle due teste in un unico corpo.

Questo atto di risvegliare il nostro Sé interiore riconciliando gli opposti, una pratica che legava assieme, una volta, ogni fratellanza misterosofica, è stato poi simboleggiato dall’arte massonica dall’immagine di un occhio gigantesco, il cosiddetto “Terzo Occhio“. Uno dei grandi segreti perduti della Massoneria è che tutti noi abbiamo un terzo occhio spirituale nascosto nelle nostre fronti, e che questo Terzo Occhio può essere “attivato” da ognuno di noi (al riguardo potete leggere qui).

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Ad ogni modo, nei millenni che precedono la nascita di Gesù Cristo e l’edificazione del tempio di Salomone, le caste sacerdotali custodirono e tramandarono il sapere iniziatico, le scienze, le arti. La cultura mitologica ebraica proveniva dall’esoterismo egizio e sumero, che a loro volta provenivano dalle ancestrali sapienze pancosmiche dei primitivi saggi asceti (come tutte le religioni della Terra d’altronde). La religione ispirata alle dinamiche astromomiche dei cieli vennero tradotte dagli iniziati attraverso racconti mitologici per meglio incorporare le forze naturali che influenzavano la psicologia sociale dell’umanità e non solo. In ogni caso, dietro le dottrine esoteriche e misterosofiche i saggi iniziati lasciarono sempre un sottotesto legato alla Legge di Natura primaria: l’energia, la vibrazione, quindi il Suono.

Di fatto, la capacità, propria dell’arte dei suoni, di esprimere l’inesprimibile, la colloca al vertice dei mezzi di interlocuzione tra gli esseri umani; anzi, proprio nella musica e nel canto si realizza la più stretta unione tra uomo e natura. In tal senso, Orfeo è l’eroe che, per mezzo del canto accompagnato dal suono della cetra, domina ed indirizza al bene tutte le forze naturali, anche quelle che potrebbero insidiare la felicità degli esseri viventi o turbarne l’esistenza. Il culto delle divinità primigenie, dall’Assiria all’Egitto, dalla Fenicia alla Giudea, viene esaltato dall’arte dei suoni. Al di sopra delle divinità alle quali erano dedicati i santuari che aggregavano i fedeli di una determinata regione, si ergeva solitario e possente nella sua qualità di Signore della Luce la figura emblematica e simbolica del dio solare: Apollo, “dominatore dei mortali”, secondo l’epiteto più diffuso nei testi poetici e negli inni celebrativi. Ad Apollo è dedicato il famoso santuario di Delfi, consultato dai fedeli che provenivano da tutto il mondo allora conosciuto. Pitagora si ispirerà ad Apollo Delfico e ad Orfeo, suo primo sacerdote e rivelatore della divinità solare, nel tracciare il cammino esoterico che porterà i giovani neofiti alla conquista della Luce. Orfeo, rappresentazione emblematica della forza dell’arte dei suoni, è considerato divinità cosmogonica in quanto padre di tutti gli iniziati e quindi generatore della parte migliore dell’umanità.

La musica e i numeri che la governano sono le porte attraverso le quali si può giungere a possedere la Luce. Pitagora insegnava, infatti, che i numeri contengono il segreto di tutte le cose e che Dio non è soltanto l’immagine dell’armonia universale, ma egli stesso è Armonia, consonanza, accordo di suoni che rivelano ed esaltano la realtà visibile ed invisibile. La percezione della sacralità dei sette modi sacri costruiti sulle sette note dell’eptacordo è l’immagine dei sette colori della luce. Le melodie che scaturiscono dai sette modi sacri rendono l’anima dell’uomo capace di vibrare all’unisono con il “soffio della verità”. L’analisi della simbologia dei numeri veniva ancor più approfondita quando Pitagora assegnava ad ogni numero un principio, una legge, una forza attiva dell’universo. Nel corso delle celebrazioni dei misteri eleusini le sacerdotesse di Proserpina si disponevano in cerchio e intonavano canti sacri in modo dorico, allo stesso modo la musica era parte irrinunciabile della formazione mistica ed esoterica degli Esseni (i monaci ascetici dai quali Gesù ricevette la sua formazione: un’antica tradizione esoterica, simile in qualche misura alla stessa sapienza ebraica della Cabalà, per certi versi contenuta in parte anche nella dottrina gnostica) e ciò spiega anche quanto sia importante la musica nella tradizione cristiana, tanto da far dire ad Agostino che «Chi canta prega due volte», e chi partecipa alla giubilazione liturgica «Non verba dicit sed sonus quidem laetitiae est sine verbis»: “non dice parole ma lo stesso suono (della voce) è di letizia senza (che vi sia bisogno delle) parole“. Sappiamo di quanta parte nella liturgia cristiana avesse la musica, il cui significato simbolico ed esoterico era peraltro ignorato dai fedeli. Sappiamo che parecchie parti cantate dell’Ordinarium Missae derivano dalla tradizione musicale greca: l’Epitaffio di Sicilo (composizione musicale rinvenuta su una lapide mortuaria a Tralles e decifrata in epoca moderna) era musica ben nota agli anonimi musicisti dell’alto Medioevo, tanto da essere cantata sulle parole latine del Kyrie. La liturgia cristiana deve molto alla tradizione musicale pitagorica filtrata attraverso il simbolismo esoterico degli Esseni. In tal senso risultano chiare le analogie tra il rituale esseno e quello pitagorico che rivelano questi punti in comune confluiti poi nella liturgia cristiana: il canto della preghiera del mattino, al levare del sole; le agapi fraterne allietate dalla musica e dalla danza; la celebrazione dei riti con l’accompagnamento di suoni e canti.

E allora Pan suona ancora il suo flauto perché la musica è l’emblema naturale dell’armonia fisica. Il Pan dei greci, secondo Plutarco, è tutt’uno col Giove Ammonio degli africani, simboleggiato dall’ariete. A volte il Giove degli africani ha corpo mezzo di gallo, simbolo del sole e della mascolinità, mezzo di uccello acquatico, simbolo di umidità e femminilità. Secondo gli egizi, Iside (che Apuleio chiamò «madre della creazione, la natura, l’antenata del tempo») si accoppiò col fratello nel ventre materno e ne nacque Horus, l’Apollo dei greci. Apollo deriva il suo nome da apoluo, che significa “sciolgo, libero”. Dio dell’oracolo delfico, Apollo è il redentore che scioglie, vivificandoli, i poteri insiti nella natura. Così facendo, il Dio feconda di libertà la natura umana. Da queste credenze gli antichi saggi facevano fluire tutto quanto veniva accostato alla conoscenza dell’uomo; essi cercavano di costruire sempre un rapporto dell’uomo in divenire col mondo. Per questo gli antichi venivano condotti direttamente, spontaneamente a trasportare tutto in immagini viventi, essi potevano accostare l’Ordine Divino Naturale agli uomini solamente sviluppandolo in immagini sensibili, tenendo in attività, non solo la facoltà di conoscenza intellettualistica, ma l’uomo intero.

 

 L’ORDINE DIVINO NATURALE

Prima di continuare a parlare della religione originale, delle credenze ormai perdute delle prime civiltà native della Terra, vediamo come questa primordiale religionepancosmica” venne poi decodificata dalla natura fino a diventare una vera e propria Sapienza/Scienza Sacra, mettendo dunque per un attimo da parte le successive metafore simboliche, sotto forma di “racconti mitologici“, che vennero ritratte per tramandare quelle tradizioni esoteriche ai popoli.

La fisica, come abbiamo visto, concorda con le interpretazioni filosofiche religiose che affermano il suono come principio primo. Basti pensare all’induismo e al suono della Om oppure a “In principio era il Verbo” del nostro Cristianesimo. I più autorevoli movimenti filosofici indiani affermano che l’uomo (microcosmo) è della stessa sostanza di Dio (macrocosmo), per conseguenza, si possono studiare le componenti e reazioni umane per comprendere quelle universali.

Nei millenni che hanno preceduto la nascita di Gesù Cristo e l’edificazione del tempio di Salomone, le caste sacerdotali hanno custodito e tramandato il sapere iniziatico, le scienze, le arti. La nostra connessione con ciò che oggi i fisici quantistici chiamano intelligenza non-locale lo stadio energetico dell’essere da cui nascono le informazioni che la nostra coscienza e osservazione fanno decadere e manifestare nella realtà fisica– non rimane limitata all’ambito del nostro corpo fisico. Così come il nostro organismo è in equilibrio, allo stesso modo lo è anche l’universo. La Terra ruota intorno al Sole creando dei ritmi stagionali. Questa metamorfosi della natura dà l’avvio a una cascata di eventi non-locali. La natura agisce come se fosse un unico organismo. Anche gli uomini si sentono in maniera diversa a seconda delle stagioni. Dal punto di vista biochimico, certi cambiamenti dell’organismo umano corrispondono al movimento del nostro pianeta. La natura è una sinfonia, e noi ne facciamo parte! I ritmi circadiano, lunare e stagionale sono reciprocamente in sintonia. Esistono ritmi all’interno di ritmi, e tutti loro echeggiano dentro e intorno a noi. Tutti noi pulsiamo all’unisono con il battito dell’universo. Dall’alba dei tempi fino al periodo Neolitico, l’umanità credeva in un insieme di Saperi basati sulla natura, sugli elementi, il “tutto” in armonia con le stagioni che compongono la ruota dell’anno. Il rapporto tra gli uomini di queste primigenie culture e gli dèi, che rappresentavano appunto le Forze della Natura, era un rapporto diretto.

Per gli antichi saggi la sostanza/energia originaria/divina poteva essere paragonata ad un Oceano sconfinato che ha: gli attributi che possono essere paragonati all’estensione acquatica, i modi infiniti al movimento incessante del mare, e i modi finiti che possono essere rappresentati dalle varie onde. La natura quindi è madre e figlia di se medesima e non può produrre alcun prodotto che sia al di fuori di essa. La natura si identifica come l’ordine necessario e razionale del tutto. Il “dio natura” si configura come l’ordine geometrico dell’universo. Pertanto, esattamente come dalla definizione del triangolo segue che la somma dei due angoli interni è uguale a due rette l’ordine cosmico è un teorema eterno.

La disposizione di tutte le cose ha per principio necessario l’incatenamento dei numeri. Dunque i numeri racchiudono nella loro natura le virtù più estese e più sublimi. Per questa ragione, abbiamo visto come gli antichi saggi si esprimevano attraverso un alfabeto geometrico i cui elementi fondamentali erano: 1-punto; 2-linea; 3-cerchio; 4-quadrato; 5-triangolo equilatero… Questa ancestrale sapienza tendeva a inserire l’uomo in un sistema di ritmi e armonie affini a ritmi e armonie naturali.

Così il cerchio, ad esempio per l’Alchimia, rappresenta il serpente dragone che si morde la coda e che racchiude in sé l’Uno da cui proviene il Tutto, criptato nella figura geometrica del triangolo che, per la tradizione cristiana, aderisce all’immagine di Dio Uno e Trino e che per la visione cabalistica è invece il sistema costituito dalle lettere/archetipi Keter, Binah e Hockmah, cioè la lotta tra il principio attivo e passivo, generatore del movimento dal quale emana la vita.

Il punto posto al centro di tutta la figura è l’origine, è l’essenza segreta in cui Luce e Tenebre sono allo stato di Caos  e non si possono identificare. Accanto al Triangolo, ma sempre all’interno del cerchio cosmico, i simboli del Fuoco e dell’Acqua che si interpenetrano, dando come risultato la stella a sei punte del Sigillo di Salomone, somma del pensiero ermetico, dell’anima umana, dei principi attivi e passivi, della evoluzione e dell’involuzione. L’interpretazione dell’esagramma permette di scoprire l’esistenza al suo interno della materia che forma l’Universo, cioè il Macro e il Microcosmo interagenti. E così il triangolo con la punta verso l’alto è il Fuoco, quello con la punta riversa verso il basso è l’Acqua, quello con la punta tronca verso l’alto è l’Aria e quello complementare è la Terra. Le quattro punte sono le proprietà essenziali della materia che si combinano nei differenti modi, producendone la molteplice varietà. L’emblema è così l’anfiteatro della sapienza eterna, della natura, del Cosmo nella sua forma unica e nel contempo complessa.

Nel Sigillo si possono ritrovare anche i sette metalli e gli analoghi sette Pianeti. Sulla base di tali analogie, la lettura del pensiero ermetico si fa semplice, poiché tutto quello che sta al limite estremo è l’imperfetto e ciò che corrisponde alla perfezione è al centro ove si trova il segno dell’Oro-Sole. Il lavoro alchemico fu infatti il ridurre i multipli all’unità simboleggiante il Principio Originatore, la Pietra Filosofale.

In sostanza, le religioni originali vedevano Dio come principio immanente (natura naturans) del mondo (natura naturata), proprio come dettava la filosofia di un “recente” panteista come Baruch Spinoza. Infatti, il panteismo naturalistico è una forma di spiritualismo che ritiene l’universo, non cosciente e non senziente, come un tutto che si comporta come una singola, interconnessa sostanza naturale. L’universo intero obbedisce a leggi cosmiche di creazione e distruzione, e l’uomo dovrebbe entrare in comunicazione con l’energia cosmica senza la presunzione di definirsi essere superiore, senza voler usurpare, distruggere e appropriarsi di ciò che gli occorre per vivere. Insomma, Madre Natura è il “tempio” nel quale si pratica la fede delle originali religioni e contemporaneamente è l’essenza sacra dalla quale gli uomini sono venuti e alla quale torneranno.

L’Ordine Divino Naturale era dunque questo “Tempio”: la sua architettura era infatti basata sulle proporzioni geometriche che producono i rapporti matematici relativi alle frequenze d’onda proprie dell’Energia Vitale, ossia l’Esseità “divina” che permea e genera l’intero universo.

Abbiamo già accennato al toroide, ossia la forma fondamentale di flusso energetico bilanciato che troviamo nei sistemi sostenibili in tutte le scale. Si tratta della legge di natura con cui l’Esseità cosmica si muove nel creare l’universo, e che permette un incorporamento frattale di flussi energetici dal micro-atomico al macro-galattico, dove ogni entità individuale possiede la sua identità unica rimanendo connessa con tutto il resto.

Pertanto, dal movimento a spirale dell’energia si forma la sfera, da cui nascono le forme circolari dei pianeti e di tutti i movimenti astrali. Poi derivano le ellettiche cosmiche fino a quelle proporzioni auree che formano la struttura geometrica di molti cristalli e minerali, ma anche di piante, animali e comportamenti in natura. Nell’ “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci, il corpo umano strutturato e ricavato da alcune proporzioni matematiche viene ricalcato proprio dalla Spirale di Fibonacci, una proporzione presente anche nella struttura del nostro Dna, così come in molti “oggetti” naturali. I cicli matematici delle stagioni o dei movimenti lunari… tutto è scandito da rapporti matematici, da numeri ricavati dal ritmo della frequenza d’onda specifica: una vibrazione che suonando crea l’intero universo secondo un ordine geometrico che gli antichi veneravano come appunto l’Ordine Divino Naturale.

Di fatto, in principio ogni divinità corrispondeva ad un aspetto diverso della natura… ecco perché questo antico spiritualismo stabiliva con la divinità una connessione diretta senza intermediari. Gli Dei non erano relegati in un astratto mondo ultraterreno, ma erano presenti nella Natura, il cui volto visibile non era che l’aspetto esterno degli Dei stessi. Per le antiche misterosofie la Natura non era che “teofania“: manifestazione divina. Quindi, le antiche scuole misterosofiche erano un movimento filosofico e di pensiero, una visione del mondo a sfondo panteista che richiedeva un profondo rispetto per tutti gli esseri senzienti (e quindi anche gli ecosistemi) e per tutte le relazioni che li collegavano fra loro e al mondo cosiddetto “inanimato”. Non assegnava alla nostra specie un valore particolare, ma la considerava completamente parte della Natura… vedendo dunque la Terra come l’Organismo cui l’umanità appartiene. Per conferma, basti pensare alla prima tradizione vedica (l’Induismo, una delle religioni più antiche del mondo), che inizia con la convinzione che il divino principio da cui tutto deriva è una Unità e che la percezione della molteplicità è illusoria e irreale. Nel Vedanta infatti, Brahman è l’infinito dietro la realtà illusoria e imperfetta del mondo della percezione.

Alla luce di ciò, è chiaro invece come la cultura occidentale si sia voluta allontanare sempre di più da questa “visione del mondo”, preferendo l’onnipotenza dell’uomo sulla natura, e dunque il potere sulla fratellanza. L’avvento dell’esclusivo monoteismo portò infatti la scusa perfetta per giustificare le guerre di espansione in nome di un Dio che aveva scelto il suo popolo eletto.

Lo scientismo poi iniziò a fare esperimenti e a sezionare la natura, non più sacra poiché considerata ormai il palcoscenico del dio-uomo, per tornare solo di recente a teorie scientifiche come l’Ipotesi Gaia, riscoprendo di nuovo le condizioni omeostatiche che caratterizzano l’universo visto come un Tutto.

 

Le leggi di natura intuite dall’osservazione degli astri codificarono la prima forma di religione:

Come abbiamo visto, per le antiche misterosofie la Natura non era altro che “teofania“, ossia manifestazione divina. La prima grande e onnipotente manifestazione divina era certamente il nostro Sistema Solare. Il sole, la luna, le stelle e la nostra Madre Terra erano gli “elementi” che promulgavano la Vita e da dove essa prendeva linfa vitale… così come l’energia solare permette ancora oggi la crescita di tutte le forme di vita sulla terra. Ognuno di questi corpi celesti e tutte le energie elettro-magnetiche che vengono generate dagli astri stessi, erano percepite dagli antichi saggi e simboleggiate, trasfigurate e trasposte attraverso i miti degli dèi; nello specifico: gli dèi erano sempre simboleggiati da pianeti o stelle. La loro venuta coincide e termina con degli eventi epocali, non di rado anche con degli eventi catastrofici (vedi la 3^ parte di questo Speciale sulle religioni: “Dio è una stella! La religione stellare“)..

Ad esempio, Utu era presumibilmente il dio solare sumerico, invece in Egitto era Ra ad essere simboleggiato dal sole, Osiride era la costellazione di Orione, chiamata Sah, e Iside era simboleggiata dalla stella Sirio, la stella più luminosa del cielo, mentre Thot era la Luna o il pianeta Mercurio. Gli Egizi pensavano che nel cielo si svolgesse una sorta di rappresentazione di un “mistero” cosmico, che si esprimeva nel vocabolario dell’allegoria astronomica.

Ogni interprete principale era abbinato ad un determinato corpo celeste. E questa rappresentazione non era limitata al regno dei cieli ma si svolgeva allo stesso tempo anche sulla Terra, nel bel mezzo del complesso delle piramidi astronomiche di Giza ad esempio, dove da secoli si celebravano in segreto riti e liturgie elaborati già da molto tempo. Tutti gli dèi furono accostati a delle stelle che sono effettivamente determinanti all’interno della “Precessione degli Equinozi“, ossia quella dinamica astronomica che determina specifici sconvolgimenti climatici (e non solo) nella nostra galassia. Per questo gli sconvolgimenti astrali, così come il giudizio universale del 10500 a.C. acquistano una rilevanza importantissima. Ad onta di ciò, per alcuni esperti non ci sono più dubbi sulla “storia” narrata dal “poema della creazione” delle ancestrali testimonianze storiche, ossia quelle appartenenti alle popolazioni megalitiche, a quelle Mesopotamiche e egiziane, finanche ai remoti miti Ebraici. Infatti, tutte le civiltà native della Terra posseggono dei racconti mitologici sulla creazione del mondo completamente identici tra loro, e questo non può essere un caso!

Negli ultimi tempi si sta scoprendo che, in un passato inimmaginabilmente lontano, nel sistema solare è avvenuta una catastrofe. Non è un parto della fantasia ma una tradizione trasmessa su tavolette d’argilla, in scrittura cuneiforme accadico-babilonese, da fonti sumere ancora più antiche, ancora ignote. Nel nostro sistema solare si è verificata una catastrofe immane, lo scontro tra i pianeti Nibiru e Tiamat (ovvero, come raccontano le trasposizioni mitologiche: la “lottatra il dio Babilonese Marduk e la dea Tiamat… poi simboleggiata anche con Lucifero), durante il quale la situazione, dal punto di vista astronomico, prese un nuovo assetto. In seguito, a causa di questi sconvolgimenti e per la “precessione degli equinozi” tutto portò al famigerato diluvio universale (presente in quasi tutti gli antichi miti e religioni originali), altra catastrofe a cui seguì poi la civiltà umana come la identifichiamo noi oggi.

Dalla metafora astronomica di queste tradizioni possiamo anche ravvisare proprio la nascita del genere umano, infatti, Kingu, lo sposo di Tiamat, è un corpo celeste che probabilmente rappresenta la Luna, e che ebbe un importante ruolo nello scontro tra Nibiru/Marduk e Tiamat. Così, quando Marduk vinse la lotta con Tiamat, Kingu fu giudicato colpevole perché complice di Tiamat, e per tale motivo Kingu è rappresentato come un essere divino si, ma colpevole, vivente sulla Terra, che fu quindi ucciso e il cui sangue è usato per creare il genere umano. A parte le presumibili licenze poetiche degli avi, a questo punto possiamo dedurre la chiara componente divina dell’uomo (pensiamo anche agli insegnamenti Orientali secondo i quali dentro ognuno di noi c’è sempre una scintilla divina), che nasce dal sangue del dio Kingu/Luna, anche se proviene da un dio che, secondo l’autore di queste testimonianze, è gravato di colpe. Nella Bibbia questo è diventato il “peccato originale”.

Si può considerare tutto ciò come si vuole, resta il fatto che la storia, tramandata in molte versioni, riguarda il mondo intero. In Egitto lo troviamo descritta nei “Libri dei Morti”, in cui Ra deve di continuo sottomettere il serpente Apep; nei miti delle nostre latitudini è la lotta tra San Giorgio e il drago o quella dell’uccisione di draghi da parte dell’arcangelo Michele. Anche la mitologia greca e quella indiana ricordano la battaglia. Non c’è dubbio che sia davvero avvenuta, ci sono troppo, e troppo dettagliate, cronache sull’argomento. Di fatto, la scienza sembra oggi effettivamente dimostrare che sia potuta avvenire una certa esplosione di un grande corpo celeste milioni di anni fa nel nostro sistema solare. Circa 4 miliardi di anni fa una pioggia di comete potrebbe essersi abbattuta sul nostro pianeta, ancora giovane, caldo e sterile. Il materiale che compone alcune condriti (i meteoriti più comuni del nostro sistema solare) carbonacee è simile a quello che si trova nelle comete, che però sono composte in gran parte di ghiaccio. Alcuni scienziati pensano che questi corpi celesti abbiano cosìfecondato la nostra Terra, portando acqua e amminoacidi, e fornendo gli ingredienti fondamentali dai quali si sarebbe sviluppata poi la vita. Effettivamente questa teoria scientifica potrebbe spiegarci il perché della tanto importanza data ai corpi celesti all’interno dei miti e delle religioni dell’umanità. E tutto ciò torna anche con l’idea che tutto nasce dalla fusione dell’elemento mascolino con quello femmineo, infatti il corpo celeste (elemento mascolino), fertile perché portatore di quei microrganismi che generarono le prime forme di vita sul nostro pianeta, penetrando la Madre Terra (il meteorite cade dal Cielo e sprofonda negli abissi“… cioè negli Inferi, come riportano le antiche tradizioni esoteriche) la ingravida in modo che la Grande Dea possa partorire la vita… un processo normale in natura, tanto come quello che accade tra un uomo e una donna!

 

 LA RELIGIONE PERDUTA (part. 2)

Torniamo ora invece ad occuparci di come i saggi tradussero questa Scienza Sacra al popolo, attraverso racconti simbolici e mitologici, ma soprattutto vediamo come le caste sacerdotali, ormai corrotte, persero i veri significati dell’antica tradizione esoterica mistificandoli in favore di nuove “visioni” religiose, totalmente prive dell’originale sapienza astronomica che aveva ispirato le religioni. In ogni caso, dietro questi racconti mitologici si celano ancora metafore che simboleggiano le leggi naturali degli astri e dunque le stesse leggi che influenzano la psicologia umana e dunque la cultura sociale.

 

Con la nascita dell’agricoltura, intorno al 3.000 a.C., l’uomo inizio a sviluppare un pensiero analitico, gli serviva per “economizzare” il raccolto e la pastorizia. L’embrione della razionalità stava prendendo forma, e in seguito, dopo i primi villaggi, quando le tribù vollero conquistare potere e indipendenza, la religione divenne uno strumento per motivare il popolo a fare la guerra. L’importanza delle donne fu denigrato, gli dèi naturali e cosmici scomparvero in nome dell’unico Dio, il proprio! Allo stesso tempo, il pensiero analitico e una razionalità ancora in embrione, portò all’avvento della scrittura, il “linguaggio sacro” dell’antica tradizione esoterica (fatto secondo gli archetipi della scrittura ideogrammatica e geroglifica) si volgarizzò per la scrittura cuneiforme e  fonetica, più pratica ed utile a contare la merce, i Mantra sacri e i Nomi Santi furono spodestati da una scrittura e un linguaggio ormai privo di ogni sacralità. Di conseguenza, tutta l’antica Sapienza iniziò a perdersi.

 

La differenza tra Anima e Spirito:

Sono tante le tradizioni e i concetti che col tempo si sono persi o, più che altro… sono stati mistificati.

Ad esempio dobbiamo sempre ricordarci del fatto che lo “spirito” e l’ “anima”, in verità, non sono la stessa cosa. L’autentica e corretta lettura dell’insegnamento esoterico di Platone lo dimostra, anche la teosofia insegna di come il termine psychikòs è stato erroneamente decifrato dai primi traduttori della Bibbia -in verità in rapporto con l’anima- che hanno mischiato spirito ed anima sotto lo stesso significato. Nell’869 la Chiesa ne fece addirittura un dogma ufficiale: da allora l’uomo è composto solo di anima e corpo, vedi pure le convinzioni della psicologia attuale. Di fatto, il concetto biblico di nephesh ad esempio, è tradotto come “vita” o anima, ma nel senso di anima personale, dunque incarnata e mortale, diversamente dallo spirito, quello individuale superiore che è immortale. Infatti, nephesh nella Cabalà (l’antica tradizione esoterica ebraica) indica le passioni animali e l’Anima animale. Quindi, Nephesh è sinonimo dell’Anima animale nell’uomo. Essa è il soffio vitale, l’anima vivente, la sede del respiro ed anche degli appetiti fisici. Corrisponde al Ka egizio dei geroglifici, al Corpo Astrale, all’Uomo siderale. Si trova in ogni animale, particella animata, atomo minerale, per cui è qualcosa di molto diverso dallo Spirito.

L’anima dello uomo è una sola, ma le tradizioni esoteriche parlano della tripartizione dello Spirito Individuale che serve solo a stabilire i collegamenti con i vari mondi. Nephesh è allora la prima a manifestarsi nel corpo umano e serve a collegarlo con il mondo manifestato, quello relativo e materiale; essa non ha luce propria, ma è illuminata dallo Spirito.

Sappiamo che l’anima si forma quando lo Spirito Assoluto, l’Essere trascendentale (insomma Dio), si “auto-informa” in mente soggettiva divenendo un’anima conscia per volontà dell’identità che si autodefinisce. In realtà, come abbiamo già detto, l’Essere assoluto non è conscio (come intendiamo noi questo termine) in senso soggettivo, così allo stadio primario, nondimeno, l’uomo non pensa, è soltanto un ricevente della Super-Mente trascendentale dell’Essere, dello Spirito Assoluto.

L’uomo riceve pensieri dall’Essere, da Dio; li riceve però spesso deformati quando, sentendosi soggettivamente conscio, si lascia sfuggire il libero abbandonarsi alPensiero divinoper ridefinire, invece, in modo alterato lasuarealtà, e non di rado, allo stato attuale, magari per frettolosi e falsi consigli e “comandamenti”. Ci sembra di sentire parole consuete che sentiamo da secoli, luoghi comuni. Questo consigliere ci promette felicità in cielo, remissioni di peccati originali (cioè compiuti “chissà quando”), indulgenza planetaria o plenaria. Ebbene, la Vita è fatta di Luce e di Tenebra. Nella Bibbia si parla dell’Albero della Vita. Considerare un albero come simbolo della Vita è molto significativo. Ogni albero si nutre di luce e di tenebra. Assorbe laluce del sole” tramite le foglie e i loro stami. Assorbetenebratramite le radici che fanno bere l’albero e lo arricchiscono di sali preziosi. La vita deve pulsare liberamente, spinta dalle due grandi energie cosmiche entrambe buone: quella distruttiva e luminosa e quella costruttiva e tenebrosa. Sia la luce che le tenebre sono create da Dio. Sono due beni immensi. Se non si capisce questa verità, si resta meravigliati quando si legge in antichissimi libri (non solo nella nostra Genesi): «Dio crea la luce e vede che è buona e crea la tenebra e vede che anch’essa è… buona».

 

L’immortalità dell’anima:

Il concetto dell’eternità dell’anima, oltre, ovviamente, alle prime religioni animiste e panteiste, è decisamente una componente essenziale anche nelle originali religioni che tutti noi conosciamo, compreso il primo Cristianesimo. Se togliamo, per così dire, l’oscurantismo, a questo punto sarebbe proprio il caso di definirlo in questo modo, del periodo che va dall’effettiva nascita della società Israelita fino all’epoca dell’esilio Babilonese, nel quale i retrivi ebrei rifiutarono improvvisamente l’idea dell’immortalità dell’anima (ma al massimo a presenze vegetative che dopo la morte vagavano senza prospettive in forma di essenze vitali nello Shoel), l’idea della reincarnazione (presente da sempre negli ancestrali miti ebraici), in seguito pienamente riaccettata anche da alcuni Ebrei stessi ed Esseni, era largamente diffusa perfino ai tempi di Gesù, e ha continuato ad essere popolare tra gli Ebrei europei fino alla fine del Medioevo, tra gli Ebrei Cassidici e mistici, presso i quali è conosciuta come “gilgul”, ed è inoltre spiegata abbastanza in profondità in varie opere cabalistiche. Nello specifico, “Ghilgal” è riconosciuto come termine tecnico del “passaggioda un’incarnazione all’altra: non si tratta di un luogo, e neppure la Bibbia intende con tale parola un luogo. Ghilgal significa ‘passaggio da un luogo all’altro‘. È un termine tecnico: il rotare, il passare e vivere dell’anima entro un corpo fisico, il suo passare da un corpo fisico all’altro. Questo veniva chiamato Ghilgal. Non solo, la familiarità con la radice “gal” la ritroviamo anche nella civiltà celtica, proprio perché la denominazione greca dei Celti era “Galati“, discendenti (secondo lo storiografo dell’occidente Timeo) di Galate, figlio di Polifemo e della ninfa Galateia. Inoltre sappiamo che il cavaliere scopritore del Santo Graal è “Galaad“. Questa radice “gal” ha connessione ancora una volta quindi con il simbolo dell’immortalità, con l’idea di cerchio e con il numero dodici. Dodici infatti sono i personaggi principali che siedono alla tavola rotonda di Re Artù. Il “cerchio delle 12 pietre” con l’idea di ciclo che esprime, possiamo ravvisarlo anche nel significato simbolico dei cosiddetti “nodi lunari“, entro le 12 Costellazioni dello Zodiaco, secondo un mito babilonese (che ormai sappiamo derivare dall’osservazione degli astri): “Marduk creò il grande dragone, alla testa vi pose il Nodo lunare ascendente e alla coda il Nodo discendente, facendogli portare 6 costellazioni sul dorso e 6 sul ventre”. Questo dragone, chiamato Apopi nella mitologia egizia, viene chiamato Rahu o Kethu, nella mitologia indiana: Rahu, quando si considera la testa del Drago, (astrologicamente il nodo lunare nord), Kethu quando si considera la sua coda (il nodo lunare sud). Il significato del nodo lunare nord (Rahu) è, nell’astrologia karmica, quello della strada che l’individualità deve seguire in questa vita per progredire, cioè per la propria evoluzione individuale. Il nodo sud rappresenta invece la vita passata, cioè la precedente vita terrena, da cui l’individualità deve svincolarsi se vuol procedere in senso evolutivo. Dunque, la reincarnazione è presente in tutti i miti originali di ogni civiltà umana, ed essa era partecipe e studiata anche nei miti ebraici.

Inoltre, possiamo sottolineare -riguardo anche il Nuovo Testamento– che all’inizio della nostra era si riteneva che la venuta del Messia dovesse essere preceduta dal ritorno del profeta Elia e che Giovanni il Battista fosse la reincarnazione di Elia. La cosa era accettata persino da tutto il popolo, che la considerava un evento miracoloso mentre il sapiente la riteneva “uno fra i tanti esempi di reincarnazione, secondo la legge“.

«Se volete accettarlo», diceva infatti Gesù di Nazareth (Matteo 11,14), riferendosi a Giovanni Battista «È lui quell’Elia che deve venire». Poi aggiungeva: «Chi ha orecchi intenda». Ovviamente non si riferiva di certo a orecchi materiali. La reincarnazione non è un fatto materiale. Il concetto di reincarnazione è fortemente presente nei Vangeli di Gesù, indubbiamente velato dietro mirate parabole riscritte per l’occasione, ma anche occultato od eliminato dalla Chiesa ortodossa. Esso è una legge naturale della creazione divina, così spassionata, da non fare sconti a nessuno (come garanzia di giustizia). Di fatto, le tracce bibliche della presenza del cosiddetto Karma non escludono la responsabilità dell’uomo: «Con la misura con cui misurate, anche voi sarete misurati» (Matteo,VII,2). «…Chi scava una fossa vi cadrà dentro e chi rotola una pietra, se la vedrà ricadere addosso» (Proverbi 26,27). «…Sono sprofondati nella fossa che hanno scavato, nella rete che hanno teso si è impigliato il loro piede» (Salmo 9,15). «Hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta» (Osea 8,7). «Il Figlio dell’uomo […] renderà a ciascuno secondo le sue opere» (Matteo 16,27). «…Ognuno miete quello che semina: chi semina nella sua carne, dalla carne miete la corruzione; chi, invece, semina nello spirito, dallo spirito miete la vita eterna» (Galati 6,8). Ma allora, alla domanda che molti si pongono “che cosa si reincarna?” si potrebbe infatti tranquillamente rispondere: nulla che riguarda la personalità, che è temporanea sovrastruttura psicosociale dell’Io, cioè quell’Io apparente di superficie, sempre in lotta con l’Io reale e che con la morte del corpo fisico termina. Ciò che si incarna è l’Io vero (la vibrazione autodefinente del Campo Unico di energia), impulso cristico “restauratore” delle macerie di tale lotta, il vero spirito di ogni individualità, che lascia le altezze celesti delle costellazioni siderali per prendere forma umana nelle condizioni della vita terrestre, come è detto in Luca a proposito dell’apokatàstasi (restaurazione attuata dalla forza cristica; etimologicamente: reintegrazione di ciò che fu disintegrato) (Atti 3, 21).

Ciò nonostante molti cristiani moderni tendono a considerare l’idea come una buffa superstizione. I padri della Chiesa Cristiana, comunque, testimoniano che la reincarnazione era parte del pensiero cristiano primitivo, ma con il tempo, quando la teologia cristiana iniziò a cambiare, l’idea della reincarnazione divenne sinonimo di eresia, e nel 553 d.C., nel secondo Concilio di Costantinopoli, l’Imperatore Giustiniano proclamò il suo anatema contro chi credeva alla perennità della “coscienza”. Egli pose fine così ad ogni disquisizione seria sulla trasmigrazione dell’anima nella cristianità organizzata. Allora, secondo la Chiesa, le anime sono di volta in volta create da Dio con la nascita (non sarebbero preesistenti come nella cultura orientale ad esempio), e si passa nell’Aldilà con il proprio corpo risorto. L’anima trascorrerebbe il periodo intermedio, quello che passa fra la morte della persona e il Giudizio Universale, riuscendo a contemplare Dio in attesa di riunirsi al corpo. Un periodo che, per i teologi cristiani di oggi, non va misurato in tempi storici, ma nell’oltrevita, cioè fuori dallo spazio e dal tempo: occorre in pratica un solo istante di un’altra dimensione perché l’anima di un defunto si congiunga al suo corpo ricreato.

Al di là di ciò, l’idea particolare di un mondo concreto e di un’altra superiore realtà metafisica, era in verità la credenza religiosa originale delle primogenite culture dell’umanità. Tutto era invaso da questa energia divina eterna, dal Dio invisibile. Il fatto che l’uomo, creato dal soffio divino di Dio, sia caduto dal cielo, e che per questo dovesse aspirare ad una nuova ascensione era alla base di tutti gli ancestrali miti che miravano a ricreare il Legame tra Cielo e Terra. La realtà originaria era metafisica e il trascendentale era il centro della filosofia dell’antichità.

Tuttavia, ad un certo punto le cose iniziarono pian piano a cambiare. La grande rilevanza del potere dei re e dell’influenza delle caste sacerdotali iniziarono ad offuscare l’animo di questi “mediatori”; quel immenso potere distolse il loro sguardo dal cielo e lo puntò direttamente ed esclusivamente sulla sopravvivenza nel mondo relativo. Nel mezzo della vita materiale inoltre, costernata di così tante sofferenti incomprensioni, l’urgenza alcune volte di anestetizzare quegli stessi dolori, distrasse allora gli uomini dalla fede, in cerca di un po’ di “morfina”. Non solo, quella morfina ci illudeva di stare meglio, come una droga, ci calmava il dolore, ci posava in un mondo comodo e pieno di affiliazioni che non facevano altro che spupazzare il nostro ego, finendo per innalzarlo all’unica vera preoccupazione del nostro Io. Questo analgesico, era il potere, gli oggetti edificanti e confortanti, il “piacere” servito dagli oppressi e ottenuto dalla sottomissione delle donne, dal godimento che quest’ultime sapevano dare, le quali poi, se educate appropriatamente, avrebbero propagato per giunta il nostro cognome, la nostra identità, sublime acme e trionfo del nostro ego patriarcale.

 

Racconti mitologici come simbolismo e metafora della cultura sociale:

Tutta questa ‘storia religiosa’, oltre ad avere una chiave di lettura “stellare”, iniziò ad essere traspositata in modo tendenzioso attraverso racconti mitologici, dopo la preistoria, quando, andando avanti nei secoli la “razionalità” più esasperata iniziò a stuprare la religione; agli dèi e alle dee greche ad esempio, furono pian piano riservate parti esilaranti o drammatiche, mentre i primi “signori della guerra” preparavano intrighi per i loro eroi favoriti perché i miti venivano da diverse città-stato che oscillavano tra amicizia ed inimicizia. Così, ancor prima quando si formarono le prime tribù israelite, dopo che il Regno settentrionale fu distrutto dagli Assiri, i miti divennero allora monolitici e mirarono quasi unicamente a Gerusalemme. Nei miti biblici, gli eroi rappresentano talvolta re, talvolta dinastie, talvolta tribù. I dodicifigli” di Giacobbe, per esempio, sembra fossero stati un giorno tribù indipendenti che poi si fusero formando una sola federazione israelita. E allora, il fatto che tutti questi “figli”, eccetto Giuseppe, avessero, secondo la tradizione, sposato sorelle gemelle, dimostra (o fa pensare) un’eredità patriarcale di terreni, magari anche sotto un governo già patriarcale. Ma Dinah, figlia di Giacobbe, nata senza gemello, si ritiene fosse una tribù semimatriarcale, compresa nella confederazione di Israele. Ecco che questo è uno degli esempi, all’interno dei miti ebraici, che dimostra un’antica esistenza di primordiali religioni matrifocali, venutesi a creare nel Neolitico in seguito ai culti della fertilità e di Madre Terra.

Quella succitata è dunque un’antica civiltà matrifocale che possiamo incontrare nella Genesi biblica: ne è un esempio il diritto materno di dare il nome ai figli, ancora in uso tra gli Arabi, e i matrimoni matrilocali: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre per convivere con sua moglie» (Genesi II 24). Questa usanza palestinese è anche provata da un paragrafo dei Giudici nel racconto del matrimonio di Sansone e Dalila. Inoltre il matrimonio matrilocale era una norma anche nei primitivi miti greci, il primo a rompere quella tradizione fu Odisseo, che portò via Penelope da Sparta e la condusse ad Itaca.

 

La prima civiltà e religione matrifocale:

Stiamo parlando delle società gilaniche, una società censurata dai libri di storia per la sua caratteristica di vivere in pace senza alcuna forma di organizzazionestatale“, che ha prosperato nel mondo dal periodo Neolitico fino alla comparsa delle prime civiltà statali, un arco di tempo che va dal 7.000 a.C. al 3.500 a.C. (in alcuni casi anche fino al 1.500 a.C.), dove nel Sud-Est dell’Europa, isole comprese, fiorivano società pacifiche, evolute, raffinate, senza gerarchie, senza governo, senza eserciti.

Secondo la famosa archeologa Marija Gimbutas (seguita poi dall’antropologa Riane Eisler e dal famoso archeologo James Patrick Mallory), nella pratica del quotidiano vivere, il tutto si traduceva come civiltà autorganizzate e non violente, in cui uomini e donne avevano gli stessi diritti. La Gimbutas ha coniato infatti il termine “gilan” derivandolo dall’unione di “gi” più “an“, abbreviazioni dei termini greci “giné” (donna) e “andros” (uomo). La lettera “elle” in mezzo sta anche per indicare un segno di unione culturale e ideale tra i due sessi.

In nessun sito o tomba gilanica sono state trovate armi, neppure nell’età della lavorazione dei metalli e non esistono raffigurazioni di scene di guerra. Le numerose statuette della dea Madre attestano storicamente che all’inizio dio era donna e che, per conseguenza, queste società non contemplavano l’uso della forza fisica come strumento organizzativo, offensivo o difensivo, prerogativa maschile opportunisticamente utilizzata dagli Stati creatori di eserciti o repressione istituzionalizzata e legalizzata, come siamo abituati a leggere sui libri di storia, che altro non sono che resoconti di sole svariate guerre.

Presso questi popoli l’arte era fiorente e sofisticata, gli individui erano in costante armonia con la Natura e si professava il culto per la Vita, quindi gli strumenti di morte non erano contemplati, né ammessi. Insomma, l’uomo nasce anarchico, cooperativo, solidale, pacifico, vitale e libero. Nello specifico degli studi anarchici e antropologici, l’innato istinto cooperativo dell’uomo è attestato da molti esperti (vedi pure Colin Ward o Erich Fromm).

Insomma, nell’antica società Neolitica, prima dell’introduzione dei cereali, l’importanza della donna è decisiva. Il contributo femminile all’educazione dei bimbi e alla cura delle piante aveva trasformato l’esistenza ansiosa, preoccupata e apprensiva del primitivo in una vita di previsioni ragionate, con sufficienti garanzie di continuità e non più soggetta a forze superiori alla capacità di controllo dell’uomo. La parola “casa” e “madre” si inscrivono in ogni fase dell’agricoltura neolitica e poi nei nuovi villaggi, grazie alle fondamenta delle case e delle tombe. È la donna che maneggia il foraterra e gli altri strumenti primitivi per smuovere il terreno; è lei che si occupa dell’orto e compie quei capolavori di selezione e di incrocio che trasformano specie selvatiche in varietà domestiche prolifiche nutrientissime. Valorizzato dalla donna, il periodo Neolitico è soprattutto un’epoca di recipienti: un’età di utensili di pietra e di terracotta, di vasi, giare, tini, cisterne, bidoni, fienili, granai e case, e di grandi involucri collettivi come i canali di irrigazione o i villaggi. Mentre l’uomo caccia, sviluppando sempre più la sua forza muscolare nel confronto con animali più forti e affinando il suo cervello unidirezionalmente, la donna si confronta con una serie di problemi connessi in mille modi alla conservazione della vita oltre che alla “produzione” di questa. Anche il villaggio quindi, è in un certo senso una sua creazione, essendo un rifugio collettivo per proteggere e allevare i figli, conservare le scorte, garantire un sereno riposo al gruppo. Qui le donne contribuiscono a prolungare il periodo dell’infanzia e dei giochi sereni dal quale dipende tanta parte della vita successiva dell’uomo e della prole in genere. La presenza della donna si fa sentire in ogni componente del villaggio, comprese le strutture fisiche, con quei recinti protettivi il cui significato simbolico è stato ora rilevato, con molto ritardo, dalla psicoanalisi. Sicurezza, ricettività, bisogno di protezione, educazione: tutte queste funzioni riguardano la donna e assumono un’importanza fondamentale. Casa e villaggio, e in un secondo tempo anche le città, sono in buona parte anche opera femminili. Questa naturalmente può apparire una suggestiva ma arbitraria ipotesi psicoanalitica ma la teoria viene confermata dagli antichi egizi che nei due geroglifici indicanti “casa” e “città” inglobavano anche il significato “madre”, per sottolineare il parallelismo della funzione individuale e collettiva. La teoria è confermata ancora dal fatto che le strutture più primitive (case, stanze, tombe) sono rotonde e convesse come la copia originaria, descritta dalla mitologia greca, che viene modellata sul seno di Afrodite. Per di più, per confermare la remota esistenza di società in cui uomini e donne erano alla pari, possiamo ricordarci di come dal 1950 gli archeologi russi, che scavavano nella steppa del Ponto, che si estende dai monti che costeggiano il Mar Nero, si sono accorti che alcuni scheletri di guerrieri trovati nei tumuli sepolcrali appartenevano a donne. Poi gli scheletri di donne guerriere cominciarono ad essere rintracciati a nord-est del Don, proprio nella terra dei Sarmati segnalata dallo storico Erodoto che nel V sec a.C. fu tra i primi a parlare di un popolo di donne guerriere chiamate Amazzoni (le stesse che nell’Iliade combatterono a fianco dei Troiani contro i Micenei). «Una cosa però sembra sicura -spiega l’antropologo Alberto Salza– Prima della scoperta dell’agricoltura, come dimostrano anche oggi i popoli di cacciatori-raccoglitori, dai Pigmei ai Boscimani, i sessi erano alla pari». Aggiunge l’antropologa Francesca Giusti: «Finché si praticava l’agricoltura con la zappa, la parità fu mantenuta. Le cose cambiarono quando l’agricoltura estensiva richiese l’uso dell’aratro, in cui contava di più la forza maschile. E soprattutto con l’avvento della guerra su larga scala».

Abbiamo visto come secondo Marijia Gimbutas a Catal Huyuk, in Turchia (uno dei primi insediamenti agricoli, di 9 mila anni fa), ma anche nei siti archeologici dell’Europa centrale fino a Malta, ci sono le tracce della presenza di una diffusa civiltà matriarcale, paritaria, dove le divinità erano di solito femminili, basti vedere i tanti reperti archeologici come le statue femminili che raffigurano la “dea madre”.

Il patriarcato dei Greci e dei Romani fu il risultato della sconfitta di questa società da parte dell’agguerrito popolo indoeuropeo dei Kurgan (i cui reperti sono stati trovati nei pressi di Pokrovka, in Kirghizistan), che più volte calarono in Europa e influenzarono anche l’età classica. Politica e guerra divennero con loro un fatto maschile. Con l’eccezione delle Amazzoni. La cognizione che una società matrifocale, votata alla natura, alla madre terra e ad una congruente empatia sociale, non fosse all’altezza di società più rigide, appunto patriarcali, votate alla forza maschile, evidentemente portò la conseguente decisione di preferire la seconda rispetto alla prima. Questo è ciò che decisero i Greci, culla del nostro Occidente, ma anche ad esempio gli Israeliti della terra di Caanan.

Tuttavia, la cultura originale della nostra Terra, già fin dall’epoca del Mesolitico, era naturalmente votata alla parità dei sessi e degli dèi (maschili e femminili). Quanto fossero potenti le dee sotto la monarchia giudaica, ad esempio, può essere provato dalla censura di Geremia ai suoi correligionari, il quale attribuì la caduta di Giuda alla mancanza di fede in Anath e gridò: «Veneriamo ancora la regina dei cieli come fecero i nostri padri prima di noi».

Ogni capo che riformi le istituzioni nazionali o, come il re Giosia, sia sollecitato a riformarle, deve premettere un codicillo religioso ai documenti originari o deve produrre un documento nuovo: questo comporta una manipolazione dei miti o un rifacimento dei miti. Affinché la Giudea, un piccolo stato fra l’Egitto e l’Assiria, mantenesse la sua indipendenza politica, bisognava permearla di una robusta disciplina religiosa, e insegnare al popolo il maneggio delle armi. Allora già molti Israeliti avevano abbracciato il culto cananita, nel quale le dee esercitavano una parte predominante poiché avevano i re come le loro consorti. Questo culto, ottimo in tempo di pace, non poteva aiutare i Giudei a resistere all’invasione delle armate egiziane e assire. Una tenace minoranza ebraica fu guidata dalla corporazione dei profeti, che si fecero un dovere di insegnare loro a vivere da pastori e mandriani in onore del loro dio pastorale. Quei profeti compresero che la sola speranza di indipendenza nazionale stava nell’autorità monoteistica e predicarono incessantemente contro il culto delle dee dei boschi sacri di Canaan. Il libro del Deuteronomio, pubblicato sotto il regno di Giosia, interdice molti riti cananei, e fra essi ad esempio l’unione sacra tra l’uomo e la donna. Il successivo trasferimento della corona davidica convertì tutti gli esiliati babilonesi contro questi originari culti.

 

Oltretutto, possiamo ricordiamoci di come l’animismo e lo sciamanesimo (la metafisica dell’estasi) fin dal Mesolitico e all’inizio del Neolitico suggerì una religione che onorava l’Ordine Divino Naturale in onore del mito di un Dio Unico e metafisico che tramite la sua componente mascolina e femminina generava la vita nell’universo. La “fecondazione” da parte del Mascolino sacro del ventre planetario della Madre Terra era l’unione archetipica della cosmologia e degli esseri umani che fedelmente rivivevano nei loro riti sacri questa unione/fusione magica. Rapporti sessuali sacri, accoppiamenti del re in pubblico, baccanali… per i Sumeri, gli antichi Greci e i Romani l’estasi sessuale era un rito religioso. Tuttavia in seguito gli Ebrei dissero che Dio era asessuato… Allora, la Genesi che è legata con i Greci, gli Hittiti, i Fenici, gli Ugarici, i Sumeri e con altri simili popoli assai più di quanto non vogliano ammettere i credenti ebraici e cristiani, venne quindi edita e riedita, circa dal VI secolo a.C., per fini moralistici. Il mito di Cam per esempio, era identico a quello della cospirazione contro l’impudente dio Crono, da parte dei suoi figli Zeus, Poseidone e Ade. Ancora, la festa dei tabernacoli, una festa della vendemmia Cananea, non poté essere soppressa, ma solo purgata da lasciva sessuale e convertita in lieta celebrazione del sommo Iddio che avveniva nelle capanne del deserto, come era d’uso nella vita associata degli Israeliti a quei tempi; ma anche così la leggerezza delle “pie donne” continuò a turbare i saggi Farisei. Anche la festa Cananea degli azzimi fu trasformata nella commemorazione dell’esodo d’Israele dall’Egitto.

Un tema inesauribile del mito greco è la graduale degradazione delle donne da esseri sacri in oggetti di vario genere. Allo stesso modo Jehovah punisce Eva per la caduta dell’uomo. Inoltre, per mascherare l’originaria divinità di Eva, sopravvisse nella Genesi il suo titolo di “madre di tutti i viventi” e i mitografi la presentano come nata da una costola di Adamo. Anche i Greci col mito di Pandora diedero la responsabilità della caduta dell’uomo alla donna, non dobbiamo dimenticare che Pandora era il nome di una dea creatrice. I miti greci raccontano di maledizioni e di proibizioni ancora radicate, nonostante le migliaia di anni. I Greci, tuttavia, non si servirono mai di pittoreschi commenti per illustrare i loro miti: come per esempio quello di Abramo che si prepara a sacrificare il figlio Isacco, proprio nel primo giorno di Tishirì, quando tutta Israele ascolta il suono del corno di ariete che ricorda l’ubbidienza di Abramo a Dio, e ciascuno implora clemenza per i propri peccati. Oppure quello della festa delle espiazioni, con il capro espiatorio che commemora l’inganno fatto a Giacobbe dai patriarchi che spruzzano il sangue di un capretto sulla tunica di Giuseppe, la veste delle lunghe maniche (o tunica virile di molti colori). Anche il mito di Isacco è parallelo al racconto greco del sacrificio di Atamante quando offerse al dio Zeus il figlio Frisso. Oltretutto, la Genesi presenta il mito di Isacco come un episodio cruciale nella storia ebraica. Per di più, dal punto di vista metafisico, voglio ancora ricordare il fatto che nel Vangelo secondo Giovanni, Gesù è indicato come “la Parola” che “è stata fatta carne” ed è venuta “da presso il Padre” per dimorare tra gli uomini. Di conseguenza Giovanni c’informa che Gesù, la Parola, inversa immagine femminina, era esistito accanto a Dio fin dalprincipio”: «Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio». Pertanto, questo concetto della “parola” primordiale e personificata non era nuovo, ma trova eco appunto nella figura veterotestamentaria della “Sapienza”, identificata anche nell’altra parte inversa della natura divina, vale a dire la controparte femminina. Così radicata era l’idea che Cristo, o la Sapienza (ancora una figurazione femminina), fossero esistiti con Dio al principio del mondo che gli autori antichi spesso suggerivano che a Cristo Dio avesse rivolto le immortali parole: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza». Ma questa sorta di Cristo primordiale, sebbene sarebbe meglio pensarlo come un “Figlio del Principio”, non era solo uno spettatore della creazione. Era piuttosto l’agente di Dio per cui il tramite ebbe luogo la creazione. Quest’idea è chiaramente espressa nell’ “Epistola agli Ebrei” di Paolo, in cui l’apostolo fa riferimento al: «Figlio, ch’Egli [Dio] ha costituito erede di tutte le cose, mediante la quale pure ha creato i mondi».

Ebbene, come si capisce chiaramente, tutto ciò è strettamente collegato con le ancestrali tradizioni pagane delle culture native della terra. Allora, l’evoluzione della figura della Dea (la cui sapienza era simboleggiata dalla luna), che in origine era considerata la madre di tutte le cose, si può seguire nell’intero Medio Oriente, in Europa e anche in India, dove la religione induista ha portato il culto della Dea a un livello spirituale superiore. In EgittoIside era ritenuta la personificazione del femminino, insieme a molte altre dee più importanti, sebbene in Egitto in particolar modo la dea Iside fosse considerata l’utero che consentiva la nascita del dio. Iside era la dea universale, definita “Grande nella magia”, lodata per la sua capacità di guarire, di donare fertilità e per la sua saggezza; essa era protettrice e salvatrice, era la madre universale.

 

La sacra unione tra mascolino e femminino: le nozze ierogamiche:

Abbiamo visto come la credenza sull’esistenza di una forza divina mascolina che incessantemente fecondava la forza divina del femminino, una credenza questa che si reggeva sulle leggi naturali della morte e della rinascita (a loro volta trasmesse a tutta la natura del cosmo), aveva ispirato l’uomo ad una pratica di fede ascensionale con la quale poter emulare i propri dèi, così da innalzarsi al cielo per una vita dopo la morte di tipo metafisico. Il ciclo di rinascita della natura in effetti suggeriva le totali manifestazioni cosmiche della fusione degli “inversi” dell’Essere divino che generavano costantemente ogni forma di vita. Tutto ciò ebbe influenza su tutte le matrici religiose dell’antichità. Infatti, i primi uomini cercarono fin da subito con lo sciamanesimo di offrirsi alla metafisica dell’estasi tramite pratiche ascensionali per raggiungere lo stato di beatitudine in contatto con l’Essere divino, e inoltre, rappresentarono fin da subito all’interno dei loro riti religiosi l’unione celeste tra il mascolino e il femminino sacro. L’unione degli inversi nel macrocosmo fu ricreata dunque nelle rappresentazioni del microcosmo religioso dell’uomo.

All’interno dei riti religiosi, l’uomo cercava di ricreare la sacra unione degli opposti, il maschio e la femmina, modello originale delle essenze cosmiche: si univano tramite dei veri e propri riti sacri nei quali l’acme raggiunto congiungeva la coscienza umana con lo stato di beatitudine proprio dell’Essere, cioè dell’onnipresente eterno campo dell’onnipotente intelligenza creativa. Le prime tracce di queste pratiche risalgono giustappunto alla preistoria. Una pittura rupestre di 20 mila anni fa, ritrovata a San Raimundo, nella fascia semideserta del nord-est del Brasile, mostra numerosi individui in un rituale in cui si pratica il sesso di gruppo, forse dedicato ad una “grande madre”. Ciò che è stato poi tramandato come lo hièros gàmos, ossia veri e propri atti sacri, in altre parole erano un modo per avvicinarsi alla divinità. Erano insomma, una pratica religiosa. Ricordiamoci inoltre dei marmi ritrovati nei pressi di Stonehenge a forma fallica, spesso ritrovati in contesti cerimoniali, siamo intorno al 4000/5000 a.C. Alcuni complessi di pietra sono un enorme cavità naturale fallica che si ripiega su una parte dell’arenaria che ha una cavità che termina invece con la rappresentazione di parti genitali femminili. Fra i Sumeri prima, e gli Assiro-Babilonesi poi, si tenevano ad esempio le nozze ierogamiche, cioè un sacerdote e una sacerdotessa (inizialmente lo stesso re con la consorte) si accoppiavano in pubblico, a indicare e venerare il ciclo primaverile di rinascita della natura.

 

La ierogamia e la religione sovversiva (la mistificazione del femminino sacro):

Gli spettatori, pronti a osannare l’orgasmo, potevano anche loro rappresentare questi miti tramite l’unione sacra tra l’uomo e la donna. Il sesso di gruppo era spesso legato al rapporto sessuale sacro, in voga presso quasi tutte le prime civiltà del Vicino Oriente e del Mediterraneo. Lo storico greco Erodoto racconta che fra i Babilonesi era obbligatoria la presenza nel tempio, a turno, almeno una volta nella vita, di giovani donne che dovevano offrirsi in onore della dea dell’amore Isthar. Una sorta di leva sacerdotale. I fedeli, accoppiandosi con le sacerdotesse, entravano in comunione con la dea. Lo stesso fenomeno era diffuso a Cipro per la dea fenicia Astarte. Il rapporto sessuale sacro si praticava nei templi di Tharros a Cabras (Oristano). Oppure in quelli di Erice (Trapani) in onore di Cerere, dea delle messi. Vicino a Cerveteri (Roma), a Santa Severa, in un santuario dedicato a Uni, la Giunone etrusca. L’obiettivo era avvicinare i fedeli alla divinità attraverso l’estasi sessuale (oltre a raccogliere fondi per il tempio). Una tavola di bronzo trovata presso Rapino (Chieti) indica che anche i Sanniti la praticavano. L’amministratrice era una sacerdotessa votata a Cerere. Un altro esempio può essere la raffinata danza classica indiana che proviene proprio dalle sacerdotesse che in India praticavano questi riti sessuali sacri. Intanto i Greci avevano i templi pieni di sacerdotesse votate ai sacri riti sessuali. E resero i liturgici rapporti sessuali di gruppo una specie di rivalsa sociale (“orgia” viene dal greco orghia, disordine, contrapposto all’ordine delle cose, stabilito dal mito ufficiale). L’orgia sacra era praticata nei riti dedicati a Dionisio, divinità molto popolare.

In quel tempo i templi e i culti delle principali divinità del pantheon greco erano accessibili ai nobili e ai cittadini (liberi), quasi mai agli schiavi e raramente alle donne. In pratica queste persone sentivano le divinità classiche troppo lontane. Dionisio invece poteva essere contattato direttamente senza distinzione di sesso e di classe. Poteva entrare nelle persone e possederle. La danza, la musica, i canti, il vino e i funghi allucinogeni, il liturgico amore di gruppo, gli eccessi insomma, mettevano le persone in comunicazione con il dio. Altissima era la partecipazione delle donne. Secondo l’etnografo francese Georges Lapassade: «Escluse dalla vita pubblica, relegate nel migliore dei casi al ruolo di riproduttrici domestiche le donne (soprattutto schiave e vedove) partecipavano ai riti dionisiaci come una liberazione. Sfogavano il disagio quotidiano nei riti orgiastici notturni. Persino la follia diveniva sacra, incanalata in questi riti». Dionisio divenne così popolare che i riti si tenevano anche a Delfi, casa dell’oracolo di Apollo. Accanto al dio della bellezza, dell’arte e della razionalità, le autorità dovettero infatti ammettere il culto parallelo di Dionisio, che con i suoi attributi selvaggi, l’esuberanza incontrollata e i lati oscuri, era esattamente il suo contrario. Così, i suoi fedeli, si trovavano di notte, in luoghi isolati, come ad esempio il bosco sacro di Stimula, a Ostia Antica. Le nuove adepte erano molto giovani: venivano portate da una parente o un’amica ai sacerdoti che le iniziavano sessualmente. Poi era la volta del corteo delle baccanti e delle menadi: capelli arricciati e scomposti, vesti bianche, seni in vista, sguardo allucinato, avanzavano ballando e intonando le loro canzoni di lode al dio Bacco, mentre portavano ai partecipanti vassoi di uva e brocche di vino, insieme a piante psicotrope, alla luce delle fiaccole. Anche i novizi erano giovanissimi, per essere eventualmente meglio avviati ai rapporti omosessuali. In trance, al ritmo dei cembali, si dava inizio all’orgia.

Tuttavia, ad un ceto punto, sembra che il meccanismo di compensazione di questi riti sacri non abbia più funzionato a Roma, dove vennero importati. Le baccanti e i sacerdoti di Bacco (Dionisio) vennero messi fuori legge. Bacco poteva essere ancora celebrato ma solo con il permesso delle autorità e in presenza di non più di 5 persone. La cronaca del processo ai baccanti è raccontata nei dettagli da Tito Livio nel XXXIX libro della sua “Storia Romana”. Sembra che un’adepta dei riti dionisiaci denunciò alcuni misfatti di una sacerdotessa che introdusse gli uomini nelle cerimonie notturne in principio riservate alle sole donne e, i crimini verso gli adepti che si rifiutavano di continuare la catena liturgica. Il console istituì un processo che si concluse con la condanna dei riti bacchici. Molti adepti vennero messi a morte (a cominciare dai capi della setta a Roma, i plebei Marco e Gaio Attinio), altri fuggirono, altri ancora si suicidarono. Gli storici ritengono che il potere romano ebbe, a un ceto punto, paura di questo “movimento”, potenzialmente sovversivo. E alcuni sospettano che la condanna per crimini contro le persone sia stata una forzatura processuale.

 

Ad ogni modo, abbiamo visto che la sacra fusione sessuale era in uso perfino fra i Cananei, da cui provengono gli Ebrei, in onore del toro Baal e della sua paretra, la sposa divina. Ricordiamoci inoltre della “festa dei tabernacoli”, una sorta di festa della vendemmia Cananea tra le capanne del deserto come era d’uso nella vita associata degli Israeliti a quei tempi. Solo in seguito con gli Israeliti, gli Ebrei che volevano istituzionalizzare il loro popolo, ci fu l’avvento del successivo culto di un unico dio asessuato, che non fa parte della natura, ma sta al di sopra di tutto e tutti. Quei profeti compreso che la sola speranza di indipendenza nazionale, maggiore priorità dell’epoca, stava nell’autorità monoteistica e predicarono incessantemente contro il culto del dio celeste, dotato degli attributi mascolini e femminini cosmici, e quindi anche contro il culto delle dee dei boschi sacri di Canaan.

Così, è oggi certo che anche nei remoti tempi biblici, il culto della Dea era di fatto praticato in tutta la Terra Santa. All’epoca veniva venerata soprattutto la dea Asherah, che in alcune tradizioni era considerata la compagna di Yahweh, ossia Dio stesso.

La Cabalà, ossia l’originale antica tradizione esoterica ebraica, ci descrive l’esistenza in Dio in vari aspetti simultanei: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figlia. Tra tutti quei ruoli, sicuramente, il meno compreso e il più vilipeso è quello della Figlia, l’aspetto più debole e vulnerabile della donna, quello che più eccita ma anche spaventa gli uomini. Qui c’è la Shekhinà, la Presenza di Dio, il Suo aspetto più femminile, più vicino alla creazione. È rettificando questa parte di ciascuno di noi, uomini e donne insieme, che si ritorna al Giardino dell’Eden, non solo quello privato di Adamo ed Eva, ma quello di tutta l’umanità. È in tale area culturale del mondo che va compiuta la parte più importante della rettificazione. Ci sono alcuni brani biblici capaci di illuminare questo percorso. È il caso di Rachele Lea, la bella e la buona, le due sorelle che incarnano due diversi livelli della Shekhinà. Oppure Ester, la giovane regina maestra dalle conoscenze esoteriche, e altre donne che hanno avuto un ruolo importante nella Bibbia.

 

Altresì, come abbiamo palesato, migliaia di anni fa gli Ebrei che riverivano le tradizioni innanzitutto dei patriarchi antecedenti al diluvio, seguivano appunto un sistema di fede pagano, ossia credevano in Essenze divine che si disponevano secondo il medesimo flusso trascendentale per mezzo dell’ordine delle leggi metafisiche di Dio. Da questa filosofia religiosa si arrivò fino a quando essi finirono per considerarsi letteralmente il “popolo di Dio”, in virtù della loro discendenza da un “uomo”, Adamo, che sarebbe stato creato “a immagine” di Dio stesso.

Gli Ebrei ritenevano che quest’uomo, Adamo, fosse stato cacciato dal cielo (l’originale “caduta dell’uomo”). Secondo l’originale tradizione “mitica” (che potremmo definire in un certo senso anche pagana), il cielo era l’Eden, la dimora degli dèi, ma questo paradiso era stato gettato in Terra, creando un giardino dell’Eden in un luogo sotterraneo, ossia il luogo poi tramandato da tutti i miti esattamente come quello degli Inferi. Naturalmente era in questa sorta di empireo sotterraneo che Adamo era giunto dopo essere stato cacciato dall’Eden celeste. Tra questi due Eden si estendeva il grande “albero cosmico”, il Legame tra Cielo e Terra di così tante tradizioni pagane. Gli Ebrei, però, lo immaginavano come due alberi: Un Albero della Conoscenza e un Albero della Vita, ognuno dei quali era situato al centro dell’Eden superiore e inferiore. Quando l’uomo era caduto dal cielo, era nudo, innocente e non civilizzato (esattamente come, ad esempio, nella tradizione sumerica) e forse anche immortale. E il suo desiderio era di tornare in cielo. Il primo passo verso questo ritorno consisteva nel mangiare dall’Albero della Conoscenza, cosa che Adamo fece diventando come un dio e apprendendo il bene e il male, cioè ogni cosa. Il secondo passo per completare il ritorno in cielo era di mangiare dall’Albero della Vita, in modo tale da essere restituito alla veravita”, una vita metafisica, in cielo. Tuttavia, quando Adamo mangiò dall’Albero della Conoscenza non aveva ancora ultimato la sua evoluzione naturale in cui avrebbe dovuto assimilare dentro di se tutti gli attributi dell’energia celeste, e in modo specifico completarsi con la fusione sinergica tra il femminino e il mascolino, vale a dire gli opposti fondamentali del soffio creativo di Dio. Così, sopraffatto dalla sua frettolosa e sconsiderata voglia dipossedere”, l’uomo dovette abbandonare l’Eden sotterraneo per andare a vivere sulla terra, ormai preda di tutte le sue paure e angosce, che avrebbe dovuto quindi man mano sopraffare per realizzare definitivamente l’Unità e la Coscienza Cristica.

Ecco dunque che il culto successivo di un dio unico, asessuato, che non fa più parte della natura, ma sta al di sopra in quanto creatore di tutto, occupato a influenzare la storia dell’uomo più che le ciclicità naturali e cosmiche dell’universo, comportò per gli ebrei il rifiuto del sesso come ponte per la divinità. La svolta appare chiara nella Bibbia (Deuteronomio 23,18): «Non vi sarà nessuna donna dedita alla prostituzione sacra fra le figlie d’Israele, né alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele». Una visione che sarà ovviamente ereditata dal Cristianesimo.

 

Ad ogni modo, i riti sessuali sacri non finirono qui. Nel Medioevo il “sabba”, prevedeva anche danze notturne nei boschi e riti magici. Per lo storico francese Jules Michelet, fu un’altra risposta dei poveri al potere. Ma per i feudatari e i preti dell’epoca, che volevano rompere con il paganesimo, Dionisio non era più un dio, era il Diavolo. Così le donne invasate del sabba diventarono il controaltare del sacro (indemoniate) e vennero bruciate come streghe. Mancò nel sabba la mescolanza di religioni, l’integrazione di usanze primordiali, tollerata invece dalla Chiesa per i voodoo di Haiti: lì si ritiene che gli spiriti che posseggono i fedeli rispondano comunque a Dio (non mancano in quei riti episodi di sesso di gruppo).

Orbene, sappiamo di come la tendenza a far coincidere la razionalità con la felicità, finì per anestetizzare proprio il doloroso prezzo da pagare che l’originale condotta dell’ascensione personale fin dal principio aveva sempre richiesto alla fragilità dell’essere umano. In fondo, è certo vero che anche in Egitto, la verità, da un certo momento in poi, era riservata ai soli iniziati. Ad ogni modo, era dunque quella ossessione per l’aldilà che i sacerdoti ebrei volevano sradicare. Si nascose il processo naturale di morte e rinascita insito in Dio e in tutta la sua irradiazione (creazione). Solo Gesù Cristo morì e resuscitò per disegno divino, l’uomo invece, la resurrezione, doveva cercarsela chissà dove e meritarsela! E per questo, in un certo qual modo serviva la Chiesa. Se il clero non avesse agito così, il popolo avrebbe saputo tutto sulle proprie mitiche origini celesti e avrebbe quindi sentito di appartenere al cielo, con Dio, dopo la morte. Per cui, attento alla propria natura, alla propria interiorità (frutto della mano divina), l’uomo, poteva trovare la via, poiché essa era il divino che gli stava dentro e che non poteva trarlo in inganno. Ma ciò avrebbe pericolosamente distolto l’attenzione dell’uomo a narcotizzare (reprimere) i propri impulsi in questo specifico mondo terreno, dove egli doveva più che altro lavorare e produrre, o accumulare potere e “benessere” in favore dei più agiati che potevano in questo modo occultare invece le loro paure, altresì propagare i propri averi. Oltretutto, una prescienza profondamente storica venne attribuita ai grandi personaggi di Israele e persino la preveggenza della Legge mosaica; e chiunque nelle Scritture si faceva autore di un documento solenne, nell’atto stesso si riteneva che determinasse il destino dei suoi discendenti per tutta l’eternità. E fu allora che l’amorevole dolcezza delle “pie donne” turbò i farisei e i re, in tempo di guerra, infatti, serviva un monoteismo ferreo e una conservatrice e vigorosa sociodicea maschilista.

Anche nell’Islam sembra che il femminile sia stato soppresso, tant’è che alcuni esperti ipotizzano che le origini della divinità suprema, Allah, si debbano rintracciare nella dea Al-lat, che era associata alla Kaaba della Mecca, un santuario premusulmano che venne usurpato da Maometto a vantaggio della fede islamica.

 

Va comunque detto che, a parte il radicalismo musulmano, le religioni più diffuse videro alla stregua di tutto riaffiorare il “principio femminile” nel proprio seno o, per meglio dire, in quello delle loro correnti eretiche o eterodosse: lo gnosticismo in ambito cristiano (matrice vera del catarismo, dei Fratelli del Libro Spirito e di tante altre eresie) e della Cabalà in ambito ebraico. E non a caso, in età medioevale, residui gnostici e temi cabalistici, uniti al recupero di rituali pagani, andarono a comporre il complesso fenomeno chiamato “magia”. Fu proprio contro la magia però che il Cristianesimo combatté la sua ultima, sanguinosissima crociata e, avendo intuito che le donne erano al centro di questo paganesimo risorto finì, dopo qualche esitazione su un possibile ritorno del culto di Diana, per legarle a Satana quali sue ideali succubi o sacerdotesse. Nacque dunque la figura immaginaria della “strega”, immaginaria come ricostruzione, se si considera che la mascolinità di Satana è indubbia e che i “grimoires”, esattamente come i manuali dell’Inquisizione (dal ‘400 in poi), erano per lo più redatti da anziani sacerdoti che vi riversavano tutte le loro turbe. È appena il caso di ricordare che se le “streghe” costituivano una categoria peculiare, in realtà tutte le donne erano sospettate di poter divenire tali. Come ha ben dimostrato lo scrittore Guy Bechtel, il disprezzo ecclesiastico colpiva anzitutto la peculiare funzione femminile, e cioè la maternità; al punto che sia alla donna incinta che alla donna semplicemente mestruata era interdetto partecipare alle funzioni religiose. La Chiesa quale principale paladina del “diritto alla vita” è una novità recentissima, ultimo sviluppo disperato del tentativo di disciplinare comunque la donna imponendole regole ferree. Anche a costo di cadere nel paradosso di agitare il modello della Donna Vergine senza accorgersi che anch’esso (come ci hanno spiegato con abbondanza di prove Erich Neumann e in genere i pensatori post-junghiani) ricalcava e ricalca miti coltivati dal paganesimo. Servivano comunque le streghe, individuate nelle cosiddette “vetulae” (adepte non già di Satana bensì di ciò che oggi chiameremmo medicina naturale) per impartire alle donne meno sottomesse una lezione esemplare, sotto forma di massacro protratto per alcuni secoli. Tanto che anche i “revisionisti” della storia dell’Inquisizione (oggi una folla), devono arretrare di fronte alle cifre di questo spaventoso delitto, e ancora di più di fronte alla rivelazione dell’identità e dell’umanità di chi ne rimase vittima.

Dice Jung: «…al di là della coscienza, esiste in ogni individuo una disposizione inconscia a diffondere per così dire universalmente, a produrre ovunque e sempre, simboli uguali, o almeno molto simili». Nella storia dell’umanità, i simboli del processo rimandano sempre a una totalità che si esprime nel cerchio e nella quaternità. All’interno del nostro cattolicesimo, il simbolismo della quaternità è individuabile secondo Jung nel dogma della Trinità quale rappresentazione di aspetti puramente spirituali unitamente ai quali appare un quarto elemento da sempre offuscato: la madre di Cristo. Elemento che ci immette nella dimensione della materia, della fisicità e degli istinti. È interessante notare che l’Assunzione corporea di Maria in cielo, elevata a dogma nel 1950 da Pio XII avvenne due anni dopo che Jung aveva esposto questa tesi. In ogni caso, già al concilio di Efeso, nel 431 d.C., un’assemblea di vescovi cristiani aveva stabilito che la Vergine Maria dovesse essere conosciuta come Theotokos, ovvero “Madre di Dio”, ponendola così nel ruolo della Dea, facendo, tuttavia, attenzione a non conferirle in tal modo gli attributi di fertilità abitualmente associati alle originali figure delle Dea.

Ciò nondimeno, dall’Europa Medievale ci arriva il culto della Madonna Nera, quasi sempre rappresentata con il Bambino, e la pelle scura della Madonna era così riprodotta probabilmente perché legata agli antichi attributi femminili del divino nella tradizione pagana, ed il fatto inoltre che si trovasse quasi sempre in cappelle sotterranee, è spiegato con la correlazione dell’aspetto sotterraneo con l’utero della dea. Parallelamente alle Madonne Nere si svilupparono anche i culti in onore di Maria Maddalena, che rimandano in modo ancor più rilevante a quelli della dea egiziana Iside, ossia la Dea universale. Oggi come oggi, esistono cinquanta centri di culto per la Maddalena (vedi per esempio la famigerata chiesa di Rennes-le-Château), poiché vista come incarnazione del Femminino Sacro, che in un certo senso rappresenta lo spirito della Dea Madre. La Maddalena è “Sophia” stessa (incarnazione della Dea della Sapienza: “principio femminile” di quell’elemento cosmologico femminino della Divinità Madre che dà e toglie la vita), congiunta con il Salvatore nel matrimonio mistico, per il quale la donna si muta in uomo e raggiunge l’unità archetipica dell’Androgino.

Per giunta, adesso sappiamo che l’idea che Maria Maddalena fosse una prostituta è certamente falsa. Nel VI secoloPapa Gregorio I emanò un proclama in cui affermava che la Maddalena era una peccatrice, una prostituta pentita, ma pare che stesse accorpando tre donne diverse, oltre a fraintendere Luca 7 e 8. Questa situazione non venne, ovviamente, affrontata dalla Chiesa, che fino al 1969, quando il Vaticano fece una sommessa ritrattazione, continuò a sostenere che Maria fosse una donna perduta.

 

Vediamo ora altri elementi collegati che ci fanno tornare agli albori della religione cattolica e dunque ebraica (quindi prendendo in considerazione la Torah e tutte le prime traduzioni della Genesi che ci sono ad oggi arrivate -portandoci dunque diverse Genesi “differenti tra loro”), analizzandola dal punto di vista mitologico ..e dunque tenendo da parte il sottotesto astronomico che in verità la aveva fondata.

 

L’androgino primordiale:

L’archetipo dell’androgino, cioè della complementarità degli opposti, come abbiamo visto è un simbolismo primordiale del sentimento numinoso dell’umanità. Esso fu “percepitodall’osservazione delle leggi di natura, sia attraverso gli astri, sia per mezzo delle alterazioni di coscienza che gli antichi saggi asceti ottenevano dall’uso di sostanze psicogene come accadeva con il fungo allucinogeno dell’Amanita Muscaria. L’Ermafrodita Divino è infatti rappresentato con due teste, e in mano sembra tenere la parte inferiore del cappello e l’ovulo da cui nasce appunto l’agarico muscario. Inoltre il rapporto fra il Sole e la Luna, rappresentati dalle due teste e dalle due ali dell’ermafrodita, le une rosse e le altre bianche, indicano l’Unione celeste simboleggiata proprio dal fungo.

Ad ogni modo, la figura dell’androgino entra nella cultura europea con la descrizione che ne fa Platone nel “Simposio“: è Aristofane, nel dialogo, che narra di questo terzo genere, non figlio del Sole come gli uomini, non figlio della Terra come le donne, ma figlio della Luna, che della natura di entrambi partecipa. Il mito racconta che la completezza autosufficiente rese gli umani androgini così arroganti da immaginare di dare la scalata all’Olimpo, e Zeus (non volendo distruggerli per non privare l’Olimpo dei loro sacrifici), separò ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina. La nostalgia di quella interezza, mai placata, è la radice e in qualche modo della ricerca dell’amore (la brama e l’inseguimento dell’interezza, ebbene, tocca il nome di amore). Dunque, in occidente il racconto platonico, la sua persistenza e il suo riuso in culture successive come l’alchimia, segnalano nell’androgino l’archetipo della coincidentia oppositorum. Coincidenza e superamento.

In ogni caso, la potenza dell’archetipo ha fatto sì che esso ha da sempre continuato a percorrere sotterraneamente tutti i sistemi mitologici che si sono avvicendati nelle epoche, compresi i miti ebraici.

Al mattino dell’inizio del mondo Yahvè/Dio creò l’uomo, così che lui diventasse la corona della creazione. E disse: «Facciamo l’uomo che sia la nostra immagine, secondo la nostra somiglianza». La mitologia biblica ci aiuta ad immaginare questo primo uomo come un vero e proprio androgino. Nella Genesi 1 versetto 27 è scritto: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Questo passo è forse il più misterioso per quanto riguarda il concetto dell’androginia dell’individuo, proprio per il principio dell’armonia totale dell’Uno che è fatto di due, ma questo concetto è anche quello che consente di perpetuare sulla terra, attraverso la moltiplicazione della specie, dell’unione maschio-femmina, l’immagine di Dio, proprio in quanto l’uomo gli è somigliante. Adamo quindi recava in se fusi il principio maschile e quello femminile, solo in seguito furono separati.

La risposta in ciò già è esplicita, Adamo ebbe due nature femminili, due compagne.

Molte sono le fonti che analizzano il mito della prima sposa di Adamo. Nella Genesi 1 vers. 26.27 è scritto: «Li creò», due in uno, l’uomo e la donna. Rabbi Simeone nello Zohar scrive: «Li benedisse e diede loro il nome di Adamo», quindi Dio benedice solo quando maschio e femmina sono uniti. In questa parte possiamo intravvedere l’immagine delle nozze mistiche, la concidentia oppositorum dei principi antagonisti, di sole e di luna, che Jung ha analizzato nel Rosarium Philosophorum. Del resto anche Platone nel Convivio riferisce il mito dell’uomo ermafrodita. L’androginia di Adamo è il simbolo sembiante di Dio e ciò sta ad indicare una sessualità ancora del tutto indifferenziata (visione del Dio maschio e femmina, sessualità primitiva, rapporto con gli animali…).

Questo Adamo aveva i capelli simili a quelli di una donna, ricci, e ricorda un eroe simile ad Enkidù, l’epico uomo del poema di Gilgamesch (da cui la Bibbia deriva). Nella sapienza rabbinica si può osservare come Adamo esprimesse una sessualità allo stato primario, accoppiandosi con gli animali che incontrava. Come Enkidù viveva con gli animali e quando incontra la sua Eva giace con lei per sette giorni e sette notti, così Adamo si distaccò dalle pratiche sessuali indifferenziate quando riuscì a riconoscere la donna. L’Adamo biblico chiede una compagna a Dio proprio perché insoddisfatto. La Genesi infatti afferma nel II vol. vers. 18: «Non è bene che l’uomo sia solo», che è successiva alla prima versione: «E li creò maschio e femmina», Genesi I vers. 27.

In questo momento in cui proclama la sua solitudine Adamo è ancora androgino, ignora l’alterità sessuale e non sa di se e dell’altro da se ed è proprio da questo momento che l’uomo comincia l’incessante ricerca dell’oggetto d’amore all’esterno e non dentro di se. Allora Jahvè/Dio cercò un animale che fosse simile a lui.

 

Lilith, la prima compagna di Adamo al suo pari:

Ricapitolando in senso cronologico è dunque possibile affermare che nella Genesi 1 Adamo ci appare androgino, avente in sé sia il principio maschile che quello femminile, nella Genesi 1 e 2 vediamo un Adamo che esprime la sessualità con gli animali, nella Genesi 2 compare l’uomo dotato di anima che sente il bisogno della donna e qui, in questo punto troviamo scritto: «Li creò». È proprio in questi versetti possiamo pensare senz’altro che si tratta della vera copia distinta, di Adamo e della prima compagna, Lilith.  L’esistenza di Lilith ci è testimoniata proprio dai sottili passaggi, sottointesi e allusioni analogiche che esistono nei testi del Beresith Rabba. Lilith ha a che fare con la prima Genesi. Se escludiamo l’androginia come un riflesso dell’archetipo di Dio nell’Adamo terrestre dobbiamo necessariamente accettare che ci fosse Adamo con una compagna femminile. E’ scritto: «Dio li benedisse». Nella versione jahvistica il primo uomo e la prima donna erano allo stato animale, la loro sessualità era indifferenziata, non c’era disparità tra i sessi. Erano uniformi: «…Lo creò come una massa informe». Sempre nella Genesi 1 vers. 24, riferito all’uomo è detto: «Produca la terra esseri viventi secondo la loro specie…» e nel commento dello stesso versetto di Rabbi Elezear troviamo scritto: «Produca la terra anime viventi, questa è l’anima di Adamo». Ciò è riferito a tutto quello che vive nella dimensione del naturale anima-animale. Solo nella Genesi 2 troviamo la creazione della donna, descritta in maniera molto succinta: «…Allora Jahvè Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo che si addormentò, gli tolse una delle coste e rinchiuse della carne al suo posto» e questo versetto viene commentato dal Rabbi Samuel: «Un osso tra le due costole, al posto di lui non è scritto, ma al posto di loro». Se cerchiamo di guardare questo versetto da un punto di vista analogico non è riferito né all’osso né alle costole. Quindi fu presa la parte che doveva essere la risultante dei due, cioè due in una sola carne. La costola sta quindi ad indicare a livello simbolico l’osso, che è inteso come simbolo della nuova entità che nasce da loro, cioè la coppia. Da ciò pare evidente che la coppia esisteva già prima della nascita di Eva. La riprova la troviamo come abbiamo già detto nella Genesi 2: «Nel giorno in cui Dio creò Adamo, lo fece a somiglianza di Dio, maschio e femmina li creò e li chiamò uomini, nel giorno in cui li creò». E ciò viene chiarito nella Genesi 2 al vers. 22.25: «Jahvè Dio costruì la costola che aveva tolto all’uomo formandone una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse, questa volta è ossa delle mie ossa e carne della mia carne». È da notare questa volta, per cui c’è la conferma e il riferimento ad una donna precedente, o questa volta sta ad indicare la femmina umana e non l’animale femminile che Adamo aveva già ripudiato. Il commento a questo proposito del Beresit Rabba ci aiuta a capire: «Da principio la creò, ma quando l’uomo la vide piena di saliva e sangue, se ne allontanò, tornò a crearla come sta scritto. Questa volta, questa e quella della prima volta». A questo punto vien spontaneo chiederci chi era quella della prima volta che provocò il disgusto di Adamo, quest’opera di Dio piena di saliva e sangue: ecco Lilith che compare. Dio la creò in principio, cioè all’inizio della creazione, essa provoca in Adamo una sensazione spiacevole oppure è angoscia?  Viene in mente il sangue mestruale, qui forse usato come traslazione allegorica, proprio per far intendere il carattere carnale, vitale e istintivo della donna. «La vide piena di sangue», vien da pensare all’esperienza sessuale libera da tabù e proibizioni e anche all’amplesso durante il ciclo mestruale che vive come tabù ancor oggi. La saliva è un simbolo ancora più pregnante. Copriva e riempiva questa femmina? È evidente l’associazione con un equivalente magico della libido. La saliva è un simbolo chiaramente sessuale, forse riconducibile dal punto di vista psicanalitico allo sputo erotico o al travaso magico della saliva nel bacio profondo. Per cui sangue e saliva appartengono a questo femminile primordiale. Adamo è disgustato, ma in effetti ha paura della donna della prima volta, di questo femminile arcaico, di questo femminile che gli fa perdere “la testa”. Però la parola volta, da “paam” in ebraico, significa anche turbamento. Da che parte allora è turbato Adamo? Che cosa sta a significare Lilith se non l’inconscio? Il caos originario? L’immediatezza ma anche la potenzialità?

Quel mondo sopraffatto dal Dio maschio… la parte femminile capace di indurre Adamo a un insostenibile turbamento?

Dopo Lilith-Adamo il femminile e il maschile si separano definitivamente. Il Graves afferma nel suo testo: «Dio allora formò Lilith, la prima donna, così come aveva formato Adamo, ma usando sudiciume invece di polvere pura». Ma questa Lilith, formata da escrementi e polvere nera, ci fa riflettere. Il verbo “formare” è simile al verbo “meditare“. Quindi è da immaginare che Dio avesse nel pensiero la creazione della donna come una creatura predestinata ad essere inferiore all’uomo. Ma questo sta anche ad indicare che la parte femminile, l’inconscio, la potenzialità, il corpo, doveva essere compressa dal raziocinio, dall’autorità, dalla mente. Lilith è vista come una demone fin dall’inizio del rapporto con Adamo.

Ma forse è in relazione ai giorni della Genesi, che noi dobbiamo indagare sulla nascita di Lilith, perchè è proprio in questo lapsus delle Scritture che si cela la rimozione patriarcale della sua natura.

Beresit Rabba scrive: «…e fece Dio le bestie selvagge della terra». Genesi 1 vers. 25, di esseri selvaggi ne nomina quattro: animali domestici, bestie selvagge e rettili, il quarto si riferisce ai demoni, di cui il Santo creò l’anima, ma quando stava per creare il corpo, giunse il sabato dunque non lo creò. La creazione quindi si fermò. Cosa accadde tra il sesto e il settimo giorno? Visto che troviamo scritto: «All’uscita del sabato gli fu tolto il suo splendore e fu cacciato via dal giardino dell’Eden». La luce divina durò soltanto poche ore del sesto giorno, tutto il sabato; alla fine di questo giorno Adamo aveva consumato il suo rapporto con Lilith e conosciuto nelle tenebre una tremenda verità. Per cui questo mito rappresenta certamente l’archetipo del rapporto femminile-maschile al livello più originario. Lilith sembra identificarsi dunque come demone e viene rimossa. Possiamo dire che sembra quasi un’identificazione tra serpente-demone-donna. E lei sembra più vicina al prototipo naturale della femmina che non Eva.

 

Ma com’era allora Lilith? Lilith ha il potere di turbare Adamo con saliva e sangue, di Eva invece vengono descritte le bellezze. E non è un caso che troviamo scritto: «Questa volta è ossa delle mie ossa». La prima quindi cade sotto censura e viene rimossa, la seconda esprime l’accettazione dell’immagine buona, esterna, quella che è gradita al Padre e alla Legge, ma che sarà anche fonte inesauribile di peccato. Scrive Sicuteri: «Varie fonti psicanalitiche come Freud e Rank vedono nel mito di Adamo ed Eva il trauma di un incesto possibile tra la madre dei viventi ed Adamo in un ribaltamento dei ruoli maschile e femminile oppure come Levy, nella caduta, la rappresentazione simbolica di un rapporto sessuale proibito. Potrebbe trattarsi della prima esperienza dell’orgasmo sessuale a livello naturale, che ha scatenato un’insuperabile angoscia nell’uomo, proprio perché questa lo faceva allontanare dalla divinità». Ma dietro a tutto questo resta viva la tragedia di Eros, sesso ed energia, o meglio della totalità libidinale di sè, che l’uomo ha giocato per la prima volta, in un preciso momento filogenetico, e ciò divenne tabù. E’ un qualcosa di ancestrale nell’uomo, presente anche nella mitologia greca, vedi il mito di Edipo.

 

Il mito di Edipo e il sovvertimento della società matrifocale per mano di quella patriarcale:

II desiderio incestuoso, il tabù dell’incesto e la susseguente vicenda edipica, che fanno sia il cosiddetto “romanzo famigliare” sia la storia della civiltà, attraverso la sublimazione di quel desiderio originario apparentemente antisociale e del conflitto interiore susseguente scaturito -che muovono sentimenti ed emozioni di odio, amore, invidia, gelosia- fa sì che la nevrosi si farà sorgente di creatività… tutto ciò era stato già rilevato da Sigmund Freud.

Nel ragazzo/Edipo si realizza nella vita quotidiana tutti quegli appetiti che da bambino, quando era ancora sottomesso alle leggi e al padre, soddisfaceva soltanto nel sogno. Egli vive perciò la dimensione del sogno, è un uomo che trasferisce nella realtà il carattere anomico dell’esperienza onirica. Edipo fu il sapiente per eccellenza, l’uomo che risolse l’enigma della Sfinge. Una saggezza che però paradossalmente ha come esito finale la caduta nella follia che segna anche la rovina della sua vita e della discendenza familiare. I figli di Edipo finirono miseramente in una lotta fratricida, anch’essa effetto di colpe e maledizioni paterne. È stato mostrato come in questa vicenda edipica di successo effimero e di insuccesso irrimediabile si realizzi la vocazione ancestrale della famiglia, rappresentata emblematicamente dal difetto fisico della zoppaggine, che comporta anomalia e anomia di un destino esistenziale, capacità di muoversi liberamente con i piedi anche al di fuori dalla linea retta, ma nello stesso tempo pericolo incombente della caduta. Lambda, il segno alfabetico che simboleggia la deformità dello zoppo, inerisce al nome del nonno di Edipo, Labdaco.

Ebbene, il mito di Edipo parla di noi, della nostra storia e della vittoria funzionale, per l’evolvere della coscienza, del principio di non-contraddizione, ossia il tabù dell’incesto, dell’opposizione.

II tabù dell’incesto, in quanto garante della separazione e della differenziazione, rappresenta nella metafora psicoanalitica il principio di non-contraddizione e come tale rende conto del processo conoscitivo che produce l’ordine segnico.

Edipo rappresenta la vittima sacrificale sull’altare della Logica Formale.

La società patriarcale aveva avuto già inizio, aveva sacrificato la Madre e il Figlio… Ma il principio di non-contraddizione (tabù dell’incesto) è sempre stato sposato al principio di contraddizione (compimento simbolico dell’incesto) con la differenza che quest’ultimo doveva per necessità storiche, lavorare in ombra. Oggi abbiamo sufficienti informazioni per appropriarci consapevolmente anche di esso.

Edipo scopritore della sua verità e dolorante può corrispondere alla nostra umanità attuale. Edipo può essere celebrato oggi per quel che ha fatto, per il suo destino. Possiamo rovesciare la lettura del mito che già anticipava quanto doveva accadere: non possiamo più continuare a guardare un mondo esteriorizzato; anche noi come Edipo dobbiamo accecarci per poter acquistare la vera veggenza. Oggi possiamo completare la comprensione del mito:

accettarne il lato che segnala la necessità del divieto e, allo stesso tempo, il lato che segnala la necessità dell’infrazione perché oggi sappiamo che essi sempre coesistono dentro di noi permettendoci il pensiero intero e la sua evoluzione.

La punizione di Edipo simboleggia allora la vittoria del mondo del Divenire, dei segni, della coscienza e del principio di non-contraddizione (un segno è tale perché ha un preciso significato che lo differenzia da tutti gli altri; il padre è tale proprio perché esclude nei confronti dei suoi figli ogni altro tipo di ruolo parentale: non può essere che padre dei suoi figli e viceversa). Edipo che, comunque, realizza il suo destino esce dal mondo dell’univocità e dalla prigione del ruolo. Diventa padre e fratello dei suoi figli: in quanto tale egli esce dal segno, dal Divenire, dallo spazio-tempo ed entra nel mondo polivalente del simbolo e della Totalità (ricordiamoci che tutti i Miti sono una trasposizione delle leggi di natura, o viste secondo resoconti astronomici o secondo racconti mitologici). Egli entra, attraverso infinito dolore in quel mondo che, per sua natura, infrange ogni tabù, quel mondo che, sempre nella metafora mitologica, era riservato solo gli dei.

Ricordiamoci che secondo l’antropologia (vedi Lévi-Strauss) tutte le culture pongono un divieto al desiderio incestuoso e che pertanto il tabù dell’incesto si configura come una legge universale che è la legge di base senza la quale non potrebbe nascere la cultura come altro dalla natura. Quindi l’incesto simboleggia l’uscire fuori dalle “regole” convenzionalizzate; l’ordine prestabilito di ogni cultura fa sì che l’uomo ribalti la società, proprio dove la società patriarcale ha il suo punto debole: il sesso, la donna… Lilith si è ripreso il suo uomo allo stato naturale, selvatico, quell’istintiva naturalezza che faceva vivere gli esseri umani di pari passi con le leggi cosmiche di Dio… l’incesto con la Grande Madre destabilizza l’ordine patriarcale e misogino della società, si è al di là del bene e del male, ma soprattutto si sono varcate le soglia e i limiti delle norme sociali, delle regole istituzionali, le regole convenzionali e prestabilite dalle èlite di potere, l’uomo è tornato al suo stato di natura… si è guardato dentro e ha trovato una fiaccola illuminante, ha trovato Dio che dimorava in segreto dentro di lui fin dal principio.

Il “vedere” interiorizzato del mito della caverna di Platone sarà presente ancora, in questo caso il mito racconta addirittura di un “accecamento”, per fare in modo che l’uomo guardi solo dentro se stesso (il “conosci te stesso” delfico…)! Solo così Edipo entra in quel mondo che, per sua natura, infrange ogni tabù, quel mondo che era riservato solo gli dei. Edipo rinasce divino.

 

Mi torna in mente un altro dei miti più belli dell’antica religione pagana, pieno di significati e di simboli, quello di Prometeo, il benefattore degli uomini, “colui che prevede”, colui che porterà il fuoco agli umani, qualcosa che prima era di proprietà solo degli dèi. Prometeo, il cui nome in greco vuol dire appunto “il preveggente”, era un Titano, cioè di quella razza spodestata dal cielo per opera di Giove, che portò a questo Dio e alla sua nuova signoria un rancore eterno. Egli rappresenta perciò il libero pensiero, la ribellione all’autorità costituita, la scienza contrapposta alla rivelazione. Egli aveva osservato che tra tutte le creature viventi non ce n’era una capace di scoprire e utilizzare le forze della natura, di stabilire tra le creature l’ordine e l’armonia e d’abbracciare l’essenza delle cose. Egli allora impastò col fango della terra l’uomo e gli diede vita. Minerva ammirò molto questa sua opera e volle portare in cielo Prometeo perché lassù cercasse ciò che poteva perfezionare anche di più la sua creatura. Lassù Prometeo trovò il fuoco e lo rubò agli Dei per darlo agli uomini: lo prese al carro del Sole e lo portò in terra nascondendolo dentro il cavo di un bastone. Irritato per questo furto, Giove diede a Vulcano l’ordine di creare la donna, perché rovinasse gli uomini; ma per renderla più adatta a questa sua malefica azione volle che fosse bellissima e seducente e che ogni Dio donasse a costei qualche cosa. A lei tutte le divinità dell’Olimpo donarono ogni sorta di pregi e virtù; da qui il nome: Pandora, “tutta un dono”. Dal maligno Mercurio, però, le fu donata anche la curiosità, quell’invincibile forza che la spinse ad aprire lo scrigno, il vaso di Pandora, che le aveva donato Giove, e dal quale scaturirono poi sulla Terra tutti i mali da cui venne afflitto il genere umano. Sembra l’embrione della storia di Adamo ed Eva, Pandora è la prima donna creata, la prima donna creata per l’uomo, e sarà lei che causerà la scacciata dal Paradiso, il parto con dolore e il lavoro col sudore della fronte: l’uomo, la famiglia, la società umana stava nascendo. Da quel momento l’uomo avrà la possibilità di riscoprire il Paradiso e Dio in seguito ad un percorso catartico, in seguito all’autoconoscenza e alla consapevolezza! Ecco perché Pandora, come Eva, era anche la dea della Terra che donava tutto a tutti. Il vaso di Pandora, ovvero, il vaso delle Meraviglie secondo altri testi. Non solo, questo Mito trova similitudini anche con il simbolismo del Male e della nascita della civiltà umana appunto, nei Miti Ebraici attraverso la storia di Azezel, l’angelo che avrebbe dovuto controllare gli uomini sulla Terra. Secondo i miti ebraici (mettendo da parte la lettura astronomica) questa storia ha a che fare con i Nefilim -gli angeli “caduti”, che erano i giganti menzionati da tutte le religioni primordiali- essi erano il prodotto delle relazioni sessuali (il problema è sempre lì..) tra i figli di Dio e le figlie degli uomini in Genesi 6:1-4. Anche qui Azezel aiutò l’uomo col fuoco e gli insegnò tutte le arti per sopravvivere e non solo, ecco ben chiare dunque le similitudini con Prometeo. Per colpa di Azezel allora, secondo Yahweh l’uomo stava diventando troppo saggio e potente, per questo motivo Dio mando giù il Diluvio Universale punendo Azezel con la stessa ferocia che Giove ebbe con Prometeo.

 

Allo stesso modo, tornando ad Edipo, ecco che, parallelamente, la nuova condizione polivalente di Edipo e la chiaroveggenza che egli acquisisce nel momento in cui ritrova la condizione originale in stretto rapporto al principio femmineo, simboleggiano allora la vittoria del mondo simbolico, dell’Essere, dell’inconscio e del principio di-contraddizione. Ritornare allo stato precedente al peccato originale”, ci riconduce all’Eden e al momento in cui Edipo era legato al cordone ombelicale della madre, al momento in cui Adamo ed Eva, così come, più esattamente, Adamo e Lilith erano una cosa sola: l’essere androgino primordiale! E il concetto di Essere corrisponde in termini “umani” al concetto di “sintesi crescente“, quindi in Divenire.

Essere e Divenire sono in realtà due modi di descrivere l’Uno. Noi “siamo” questa “sintesi” crescente, ed attraverso essa ci liberiamo della tirannia della rimozione che ci ha fatto credere solo al segno, alla separazione, al solo Divenire, rendendoci a noi stessi e l’un per l’altro eterni esuli. E lo stesso Divenire si fa intero recuperando a sé l’Altro se stesso: l’Essere.

L’incesto è presente sempre in ogni nostro gesto conoscitivo perché in ogni processo conoscitivo noi torniamo a congiungerci all’inconscio da cui poi torniamo ad allontanarci, riaffermando il tabù, per poter partorire un nuovo pensiero che sarà, se figlio della coscienza “nuova”, sempre meno univoco e sempre più consapevolmente simbolico (portatore di opposti). Se Edipo non ha potuto sapere, oggi possiamo ricordare, uscendo dalla rimozione, che siamo costantemente sposati con la madre e che costantemente “uccidiamo” il padre, il vecchio pensiero che ci guida, il Logos, re provvisorio, sempre.

Possiamo concludere che il tabù dell’incesto, nella filogenesi e nella ontogenesi, è ciò che garantisce l’emergere della coscienza mentre l’infrazione del tabù è ciò che garantisce la produzione della creatività.

Secondo Jung il desiderio di congiungersi alla madre è il desiderio dell’individuo di ritornare alle proprie radici per rinascere rigenerato a nuova vita e quindi è un desiderio di trasformazione. Il desiderio incestuoso da questo punto di vista acquista il significato di quasi un battesimo, di un’iniziazione alla vita spirituale oltre il concretismo di cui l’interpretazione meramente sessuale della vicenda è esso stessa sintomo e che blocca l’individuo nella vicenda ripetitiva dell’edipo che fa invece la nevrosi (vedi Jung).

Ebbene l’uomo ha rifiutato la sua prima compagna, quella naturale, la condizione in cui si viveva l’istinto della vita allo stato naturale, preferendo la pecorella mansueta Eva, dedita e sottomessa alle leggi di sopraffazione, sebbene portatrice della nevrosi in grado di tentare l’uomo (vedi la “mela” che Eva porge ad Adamo), dunque di mettere il dubbio, il dubbio sulla possibilità di acquisire l’Albero della Conoscenza, qualcosa quindi che possa sempre solleticare la presa di coscienza dell’uomo (che invece nella visione mistificata comporta la caduta…).

 

La ribellione di Lilith all’ordine costituito:

Ora tentiamo di vedere questa figura femminile rispettando la condensazione: il vissuto con Lilith è anche il vissuto con Eva. E forse in questi due miti c’è da scoprire sia la contraddizione dei comportamenti di Adamo, sia la complessità delle reazioni emotive e sessuali, davanti alla donna in rapporto al Dio padre.

Lilith è coperta di sangue e saliva, è simbolo del desiderio, dell’energia pulsionale, ella ha turbato tutta la notte il sonno di Adamo «egli ne è tutto turbato»… e il sogno erotico emerge dall’inconscio e presenta ad Adamo tutta la potenza dell’energia vitale, dunque è proprio Lilith che gli produce il sogno. Chiesero a Rabbi Simon ben Laqish: «Perchè nessun sogno affatica?», ed egli rispose: «Dall’inizio della creazione non è stato che un sogno»… e forse questo è stato il primo tormento: il sogno erotico, il desiderio di Lilith. Stante a ciò viene in mente l’eros, l’energia vitale, la potenzialità ..cioè il femminile che si intravede in tutto ciò.

Lilith si unisce ad Adamo e l’uomo conosce e fa conoscere per la prima volta il rapporto sessuale sentito come tale. È stato questo un amore totale ed intenso, Lilith è stata senz’altro seduttrice, colei che più tardi, nelle epoche a venire, come Eva viene vista madre dei viventi e donna, lei sarà considerata instrumentum diaboli, colei che sussurra e geme.

Ma addentriamoci ora, nel vero e proprio mito di Lilith.

Si è visto come l’amore di Adamo per Lilith è presto turbato, non c’era pace tra i due, quando essi si congiungevano nella carne, nella più “naturale’ posizione, la donna sotto e l’uomo sopra. Lilith mostrava insofferenza; non capiva perché doveva stendersi sotto di lui, perché doveva aprirsi sotto il suo corpo. Da parte del compagno c’era forse una risposta fatta di silenzio e perplessità. Ma Lilith insisteva, chiedendosi perché doveva essere soverchiata da lui, lei che era stata fatta di polvere e quindi sua uguale.

Lilith voleva invertire le posizioni sessuali, per stabilire una parità, un’armonia che indicava l’uguaglianza tra i due corpi e le due anime.

Però Adamo risponde con un rifiuto: lei è a lui assoggettata e deve stare simbolicamente sotto di lui, subire il suo corpo. E qui, possiamo leggere un imperativo categorico, un ordine che non è lecito trasgredire. A questo punto Lilith si ribella ed è la rottura dell’equilibrio. Ma qual è ..ci vien da chiederci, l’ordine e la regola dell’equilibrio? Nello Zohar sta scritto: «L’uomo è obbligato alla riproduzione, non la donna…», «L’uomo obbliga la donna a non uscire, perché ogni donna che esce alla fine cade». E questa è la supremazia dell’uomo sulla donna. Da questi versetti osserviamo come la donna è stata vista, come qualcosa di inanimato, irresponsabile, infedele per principio: quasi un oggetto. E da ciò possiamo capire, in quale conto fosse tenuta la donna nella cultura rabbinica e patriarcale (siamo già nel periodo in cui il monoteismo ebraico stava soverchiando le antiche società matrifocali in nome delle guerre di indipendenza).

Legittima, sul piano psicologico, la rivendicazione di Lilith. Al rifiuto di Adamo di concedere l’inversione delle posizioni nel coito, quindi il rifiuto di concedere la parità significativa alla compagna, Lilith pronuncia irritata il nome di Dio e accusando Adamo si allontana. Adamo è colto da una sensazione di angoscioso abbandono. È l’ora del tramonto del sole e stanno scendendo le prime tenebre della sera del sabato. Lilith si è allontanata. Per la seconda volta viene il buio, lo stesso buio in cui Jahvè Dio crea il domani. È il momento del sonno profondo. E nel sonno qui possiamo vedere il principio della caduta. «Nessuno vide, nessuno seppe, nessuno si risvegliò». Ma allora, quale tipo di sonno era? Quale sapore invade Adamo, che si ostina nel rifiuto, nel non vedere Lilith? Possiamo leggerci il sapore della profezia o il sapore della pazzia? Adamo ha paura, sente che l’oscurità lo schiaccia. Sente che tutte le cose buone si guastano. Si sveglia e non trova Lilith nel suo giaciglio e pensa che ha trasgredito ancora una volta, il suo comandamento. E allora si rivolge a Jahvè Dio, come il figlio che si affida all’esperienza e all’autorità paterna. Adamo appare disperato, domanda al Padre, e il Padre vuol sapere la causa del litigio e Dio allora comprende che la donna ha sfidato l’uomo e quindi il divino, la legge, l’ordine dato. Lilith ora è volata via, verso la sponda del Mar Rosso, dopo aver profanato il nome di Dio Padre. Ora lei viene vista come una demone e dalle Scritture sappiamo che anche il serpente è un demone: quindi il simbolo sussurra il veicolo del peccato, della trasgressione.

Il serpente demone, Lilith, spinge la donna a fare qualche cosa che l’uomo non concede, che l’ordine, la legge del Padre non concede; in Lilith c’è la richiesta dell’inversione della posizione sessuale equivalente dei ruoli sessuali, in Eva c’è l’atto di trasgressione dell’Albero in obbedienza al serpente. Il serpente nel mito di Lilith lo possiamo vedere come la manifestazione dell’istinto codificato dalla domanda: «Perché mai devo stendermi sotto di te? Anch’io sono stata fatta di polvere e quindi sono tua uguale». Ma Adamo allontana da sè questa minaccia, nello Zohar troviamo scritto: «La mia anima ti desidera». Ma anima è detta nephesch, cioè l’anima del sonno, quando il sonno costituisce un pericolo, il principio della caduta. Nephesch è il grado inferiore, è la base del corpo che nutre: non esiste che unito al corpo e questo esiste soltanto in virtù di nephesch. Al di sopra di questa “anima” c’è “Ruah” cioè lo spirito. Essi devono essere sovrapposti per raggiungere la totalità, che è espressa dal “Neshama“, l’ordine divino. Nel libro dello Zohar troviamo scritto: «Nephesch è un piedistallo che serve a Ruah e serve a sua volta da piedistallo a Neshama».

Nephesch è il gradino inferiore del corpo, come la parte inferiore della fiamma di una candela, dove il colore è cupo, resta sempre attaccata allo stoppino e non può esistere che unita a questo. Quando questa fiamma cupa si è attaccata allo stoppino, essa diventa piedistallo per la parte superiore della fiamma, che è di colore bianco e quando queste due parti si sono unite insieme danno luogo alla fiamma superiore che riposa sulla fiamma bianca. Qui possiamo intravedere Lilith come nephesch e Adamo come ruah: la loro unione alchemica oltre che coniunctio oppositorum è Neshama.

Lilith è la parte inferiore della candela, quella che resta attaccata allo stoppino, alle radici della terra, quella che dà la potenzialità di…, mentre Adamo è la parte bianca della fiamma che pone in atto questa potenzialità, tutta insieme essa emana luce. E questa meditazione definisce l’ordine verticale dei gradini dell’espressione vitale.

Così, Lilith chiede di essere considerata pari, Eva pensa che non c’è morte ad assumere la sapienza interdetta. Lilith disubbidisce alla supremazia di Adamo, Eva disubbidisce al divieto. Tutte e due assumono un rischio mediante un atto. Dopo ..tutto cambia: possiamo dire che dopo c’è la catastrofe e tutto si trasforma e si rinnova… e il processo evolutivo continua.

Ma torniamo a Lilith. Nel momento in cui Adamo le negò il desiderio, lei fuggì verso il Mar Rosso. Dio allora le ordinò: «Torna al tuo desiderio, torna a desiderare tuo marito. Il desiderio della donna è verso il marito. Torna a lui» (commento alle Genesi). Ma la natura di Lilith è mutata, trasformata, bestemmia Dio, non c’è più obbedienza. Seppur nell’immediatezza, essa ha rotto un ordine. Dio allora manda verso il Mar Rosso un gruppo di Angeli ed essi la trovano nelle deserte lande del mare arabico, dove la popolare tradizione ebraica, dice che le acque richiamavano attirandoli come calamite tutti i demoni e gli spiriti malvagi. Lilith è quindi trasformata: non è più la compagna di Adamo. È la manifestazione del demoniaco. Nella Genesi III vers. 18 troviamo: «Sta in un luogo maledetto, dove si producono spine e triboli». Gli angeli con la spada folgorante e la fiamma, gridano a Lilith di tornare ad Adamo, altrimenti sarà annegata, ma lei risponde: (Graves – “I miti ebraici“): «Come posso tornare presso il mio uomo e vivere come una moglie, dopo questo gesto e questo vivere qui!». Ma gli angeli continuavano: «Se disobbedisci e non ritorni, sarebbe la morte per te». In questo evento c’è una tensione fortissima. Il confronto è totale, le forze celesti si misurano con quelle terrestri e quelle delle tenebre. Sospensione, dove da un lato incombe l’autorità celeste, il destino sovrastante, dall’altro lato si dischiude il fiore velenoso dell’irrisione e dell’affronto. Lilith si pone nel conflitto consapevole del proprio ruolo.

Sempre nei “Miti Ebraici” del Graves troviamo scritto: «E come potrei morire, se Dio stesso mi ha incaricato di occuparmi di tutti i bambini nati maschi sino all’ottavo giorno di vita, la data della loro circoncisione, e delle femmine fino ai loro 20 anni?». Da questo racconto emerge una discordanza tra il messaggio degli angeli e la volontà divina. Lilith ha già il suo compito demoniaco per volere di Dio e quindi deve rimanere nei luoghi del Mar Rosso. Ma allora perché gli angeli danno un’altra soluzione? Forse la risposta è nell’identità rivelata da Lilith, un’identificazione col proprio atto demoniaco. Forse è proprio la simbologia con il serpente, che le fa proferire queste parole. Dio le ha dato un destino ingrato, quello di Lilith, e qui possiamo intravedere la concezione del Dio che porta tutto allo spirito; la carne, il corpo devono essere abbandonati… via dunque Lilith, via il corpo, via il femminile. Nella Genesi III vers.1-12 c’è scritto che la sua sapienza di demone è grande e anche la sua sofferenza. Aggiungendo conoscenza, Lilith aggiunge sofferenza che peraltro accetta. Lilith rifiuta quindi di seguire gli angeli e dice loro: «Se vedrò i vostri nomi o le sembianze sopra un neonato, come un talismano, prometto di risparmiarlo». Quindi gli angeli tornano da Dio e lui stabilisce di punire Lilith sterminando i suoi figli. Nell’Alpha Beta di Shira leggiamo che Lilith accoppiandosi con i diavoli generava 100 demoni al giorno ed erano chiamati Lillim che deriva dal sumerico “lil” e significa folle o stolto. Questi piccoli demoni vengono uccisi dalla mano implacabile di Dio. Ma a questo sterminio si oppone la vendetta di Lilith: essa stessa infierisce sui propri figli, oppure aiutata da un altro demone femminile, va in giro di notte a strangolare i bambini o a sorprendere nel sonno (o nel sogno?) gli uomini inducendoli a mortali amplessi. Potenzialità, eros che stermina! Eros che distrugge il suo stesso figlio-corpo? O che travolge nel sogno? (Cancro o psicosi?).

Così è esposta nella tradizione ebraica la storia di Lilith, e come si può notare non ha una conclusione. Lilith rimane nella propria libertà, indemoniata, forse regina del palazzo del diavolo, del demonio, come suo spirito femminile. Dal momento che dichiara guerra al Padre, e il Padre la inchioda al ruolo, scatena la sua forza distruttiva.

 

La frammentazione dell’Essere divino e la paura inconscia dell’uomo… La dialettica dell’esistenza -nel senso della vita e della logica sociale degli opposti (Eros e Logos, razionalità e irrazionalità)- che consente il rapporto uomo-natura e che perennemente dà nascita all’umanità:

Ma ora cerchiamo di prendere distanza e vedere il messaggio che Lilith ci manda. Cerchiamo di cogliere non solo la storia di Lilith in se, nel suo particolare ma la dinamica evolutiva che si esprime proprio attraverso di essa e cogliere così l’universalità del messaggio… e comprendere.

Se la potenzialità dichiara guerra all’ordine e l’ordine la inchioda al ruolo, allora essa scatena la sua forza distruttiva contro se stessa, contro il suo stesso corpo… ecco la malattia.

Potenzialità quindi che non riuscendo a produrre un atto, si riversa contro di sè, ritorna a ricreare e ri-produrre quello che ha in memoria dal big-bang in poi. Potenzialità che distrugge il suo stesso frutto, il suo essere al mondo, la materia definita, il particolare, il corpo.

Però in Lilith manca la trasformazione di questa potenzialità in atto, manca proprio il maschile che dà la forma e la funzione. E ciò, ci fa intuire alla fine proprio la malattia, la malattia del corpo, la sua autodistruzione.

Depressione, eros che non fluisce, energia che si concentra a tal punto da ri-creare materia indifferenziata, caos iniziale e distruzione della materia definita, della forma, del corpo, della vita. Il gene è colui che sa, ha in memoria la ri-produzione infinita, senza forma, totipotente…. ecco il cancro. Lilith scappa, rimane nell’oscurità, nel pre-giudizio, ha paura dell’incontro con Dio, ovvero ha paura di confrontarsi con il proprio Sé. Potenzialità quindi che non riesce a produrre l’atto. Lilith risponde alla pulsione con immediatezza, scappa e va nel Mar Rosso, ha paura di confrontarsi con l’altra parte di sè, quel maschile di Dio vissuto come autoritario, come l’ordine e quindi non creativo, scappa ed evita così di farsi penetrare dalla vita, dalla luce per ricrearla in sè.

Questa storia sta ad indicare la scissione del maschile e del femminile, dell’eros e del logos, del conscio e dell’inconscio, dell’essere e della coscienza di essere, della potenzialità e dell’atto, la divisione dunque dell’Uno.

 

Nel Vangelo di Giovanni troviamo scritto: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio…» quindi vediamo come all’inizio dei tempi c’era questa concezione del Dio maschio e femmina, dell’Essere e della coscienza di essere. Dopodichè questo Dio cui il Verbo era presso ..si è distanziato, affinché il Verbo conoscesse se stesso, perché Dio è la coscienza del Verbo e in questo distanziarsi si è infinitamente frammentato.

Come abbiamo già accennato, questo concetto del resto risulta molto evidente dagli studi dei fisici, per ricordarci sempre come questi “racconti mitologici” fossero in realtà metafore delle leggi di natura, di quelle forze cosmiche che, voltando lo sguardo alle stelle, i saggi iniziati erano riusciti a “canalizzare”. Il fotone, prima onda puntiforme, nel riflettere se stessa, crea il suo riflesso e questo costituisce il fotone infinitesimale con alta frequenza ed intensità (dieci alla meno quarantatre) in cui c’è una massa ma immateriale. L’onda puntiforme che è il punto-momento dell’infinito entra in quella infinitesimale creando uno spazio-tempo. Questa onda infinitesimale riflette se stessa in un’altra onda infinitesimale e forma l’onda magnetica. L’onda magnetica include in sé sia quella puntiforme che quella infinitesimale. Questa polarità si stabilizza quando si forma il tripletto, proprio perché ognuno pone l’altro come conosciuto e non restano equidistanti tra loro. C’è la separazione, uno dei due accetta di essere conosciuto, l’altro conoscente, pur avendo tutti e due in sé conosciuto e conoscente e si forma il protone, poi si distanziano ancora e si forma l’elettrone…. e poi l’atomo, da cui comincia la progressiva sintesi. Possiamo immaginarlo come tanti specchi che riflettono una realtà unica. Dalla natura alla società, le forze fondamentali sono le medesime.

Però l’essere non si vede più unitario, in ogni frammento l’essere (Dio) vede se stesso, ma in ogni frammento. Qui comincia il lavoro di sintesi che la psicanalisi ha riportato alla luce, cioè il ricongiungimento del conoscente e del conosciuto, che si erano tutti frammentati. Perché se questo Verbo iniziale era l’onda del pensiero, ovvero la “potenzialità riflessiva“, il darsi, il distanziarsi, il tornare a darsi nel riflesso, nel momento in cui questa potenzialità riflessiva si è messa in atto, ha separato da sè l’atto: ma avendo separato l’atto da sè, l’atto riflessivo ha riflesso solamente un ciclo d’onda. Questa è la prima materializzazione, per cui i fotoni hanno una massa, se la massa è il riflesso.

 

Poi da qui comincia la sintesi, il conoscente saltando al di sopra di se stesso, ha un campo di visione in cui riconosce, all’interno del suo stesso campo di visione, che quel conosciuto posto al di fuori di sè, non era altro che la coscienza di se stesso che egli aveva. E questo in una continua progressione… gli atomi si uniscono tra loro, il sistema molecolare, il sistema del vivente, fino al sistema uomo, che porta dentro di sè tutta questa storia.

Ecco che il compito dell’uomo era quello di portare alla luce della sua coscienza individuale tutta la storia del cosmo.

Lilith scappa, non vuol tornare, ha paura di Dio, ha paura del confronto, evita cioè di farsi come il Padre ovvero donna adulta, capace di autogovernarsi e di rapportarsi direttamente con il mondo: esclude quindi il rapporto dialogico, l’uomo e il Padre Dio come rappresentante del maschile, evita l’incontro con lui da donna a uomo. Questo rifiuto dal mondo affettivo-dialogico la fa permanere nel mondo dell’identicità, dove, non essendoci diversità, non vi è eterosessualità e genitalità e quindi non si dà la possibilità di accedere alla dialettica dell’esistenza. Se la genitalità è il simbolo del rapportarsi all’altro diverso e contrario da sè, essa allora è anche il simbolo della capacità di mettersi in rapporto con se stessi, come con il proprio altro diverso e contrario, perché il modo di rapportarsi a sè coincide con il modo di rapportarsi al tu.

La genitalità è quindi il simbolo della capacità di reggere con la tensione della distanza e della contraddizione nella perenne dialogicità con se stessi e con il mondo. È il simbolo quindi della attitudine a sperimentare e a pensare dialetticamente la vita. Pertanto all’interno del triangolo Dio, Adamo, Lilith non si dà genitalità e quindi non si dà dialettica. Lilith deve superare la paura e ciò significa appropriarsi della capacità di mediazione simbolica. E poiché tale capacità, simboleggiata dalla figura del Dio maschio, è detenuta dal padre reale (o dal sistema autoritario del sociale), l’individuo per recuperarla a sè deve strapparla a questo padre, visto come autorità e deve compiere simbolicamente l’uccisione del padre stesso.

Uccisione che però è una trasformazione della figura maschile da autorità esterna a principio normativo della propria esistenza individuale. Questa figura deve essere uccisa quale dominio della ragione per essere recuperata come capacità individuale di mediazione che consente il rapporto uomo-natura e che perennemente dà nascita all’umanità. Ecco dunque la via per il superamento della ragione autoritaria dell’io e del sistema sociale e l’incontro con questa dimensione apportatrice del nuovo, per l’individuo stesso e l’umanità.

Ma Lilith pur fuggendo è rimasta dipendente da quest’ordine esterno che la governava. Lei che rappresenta proprio la potenzialità del rinnovamento della trasformazione, non si può liberare da questa dipendenza attraverso l’eliminazione, simbolica s’intende, dell’altra parte (Dio), vivendo ancora scissa nella notte e non conoscendo più la luce; deve trasformarsi per recuperarla all’interno di sé, come quell’altro da sé cui riferirsi, per non restar sola nell’inevitabile solitudine della sua dipendenza dal Padre, dall’ordine.

Scissione quindi tra Eros e Logos, tra razionalità e irrazionalità.

Al divieto di “amare” il Padre corrisponde il divieto di investire eroticamente il Logos, sicché l’Eros non si finalizza, ma si annulla nella immediatezza affettiva e il Logos resta irrazionalità senza senso, perché il divieto di rapportarsi “genitalmente” al Padre corrisponde al divieto dell’incontro dialettico tra le due modalità contrarie di esistenza: Eros e Logos, il divieto della coniunctio oppositorum, che farebbe recuperare alla donna il maschile, come modalità di vita finalizzata al senso e accedere alla dimensione creativa della vita sociale. Raggiungendo questa modalità il femminile non teme più nel riferirsi al maschile, nel tornare a subire la violenza, l’autorità e il potere di una società che lo condanna.

Però ..perché questo passaggio avvenga è necessario che l’Eros non si presenti più nella modalità dell’appagamento immediato del bisogno e che il Logos si costituisca come reale possibilità della realizzazione della creatività nell’attività sociale. Attraverso ciò viene rotto il modello d’amore simbiotico, con la prospettiva di una nuova possibilità d’amore, il che vuol dire rinnegare, facendosi violenza, la modalità materna dell’amore, che è la risposta immediata alla richiesta per appropriarsi di una nuova capacità di amare, quale disponibilità totale al valore, ovvero il sapersi rifiutare alla richiesta di appagamento immediato dell’affetto per reggere la tensione verso una finalità che lo trascende.

Lilith porta in sè il vissuto o meglio l’esperienza, potremmo dire, di una funzione materna destruente, un’immagine di madre cattivante che si nutre del figlio, quale oggetto del suo narcisismo, mantenendolo nell’impotenza della creazione infantile e negandogli così il sentimento della propria soggettività e della capacità di affrontare il divenire molteplice della sua esistenza, sia in rapporto al suo mondo che al mondo esterno. Restando all’interno di questa storia all’uomo è negata la disponibilità all’Eros; l’Eros anziché essere sperimentato come motivazione al pensare è temuto e negato come la sua negazione. Da qui l’impossibilità di accedere alla logica dialettica all’interno di una logica formale che contrappone i diversi come inconciliabili: natura e cultura, spirito e materia, affettività e riflessività, irrazionalità e razionalità; ed è proprio questa logica degli opposti, la logica che sostiene il sistema sociale e che condanna il pensiero a restarci dentro.

 

Come recuperare l’Unità con l’Esseità divina:

Pertanto, la liberazione della donna, in questo momento storico, ha costituito un momento essenziale al rovesciamento degli attuali rapporti. Infatti, l’attività della donna che non era mai stata considerata all’interno dei rapporti di produzione, ne costituisce invece il fondamento, perché è stata proprio la sua attività di addetta ai servizi e alla riproduzione della specie, che ha consentito agli uomini di produrre sul piano economico e perché ella ha contribuito, con il suo lavoro non retribuito di riproduttrice della forza lavoro all’aumento del plus-valore. La donna ha occupato quindi un posto chiave in questo sistema; essa ha posto nell’uomo le radici affettive del modello di rapporto dell’interdipendenza simbiotica che circoscrive il senso della vita umana al soddisfacimento dei bisogni cosiddetti naturali (cioè gli interessi personalistici del singolo) e lo ha finalizzato alla sopravvivenza biologico-animale, lasciando così l’individuo nella situazione infantile di dipendenza da un sociale a lui estraneo, che si assume per lui il potere di decidere dei suoi bisogni e soddisfarli. Di conseguenza è proprio il farsi libera dalla donna della interdipendenza simbiotica dei bisogni e il suo accedere quale soggetto all’universo umano del discorso, della cultura e della storia, che forse può liberare l’umanità dal bisogno infantile di dipendenza e spostare il significato stesso dell’esistenza umana dalla dimensione biologico-animale alla dimensione socio-culturale, che è proprio quella in cui l’individuo, recuperando in sè il sociale, si riconosce come ente generico e può finalmente porsi in prima persona come soggetto responsabile della storia.

Lilith quindi è, rappresenta proprio l’Eros, la potenzialità del femminile che veniva messa da parte dal maschile autoritario. Rimossa quindi poteva vivere solo nella notte, dove il mondo dell’Io non riusciva a penetrare. Lilith è l’incarnazione del peccato, della ribellione, della rivolta alle leggi divine ed umane, il tentativo di rovesciare il mondo dei valori ufficiali; però è un tentativo fallimentare perché ricalca alla rovescia gli stessi valori ed accetta la logica da cui traggono origine e non crea quindi un pensiero nuovo, un ordine nuovo, ma rimane nella scissione, anzi l’accetta. Nella psicanalisi fino ad oggi si è difesa la fallicità, sia negli uomini che nelle donne, minacciata dalla distruzione della stessa eroticità vissuta con immediatezza. Si difendeva come simbolo della dimensione creativa, della vita che era minacciata dalla pulsionalità. Ma essendo la vita una dinamica evolutiva, composta da infiniti “punti momento“, bisogna infrangere anche questa nuova legge del padre, perché divenuta ormai istituzione.

A questo punto la pulsionalità si rivela in una nuova dimensione, una nuova estasi, che ci travolge e trapassa in una nuova forza fecondante dello spirito. Si instaura così una nuova coniunctio tra maschile e femminile, tra coscienza di essere e essere, tra coscienza della vita e vita. Ed è proprio questo che ci guida, quale nuovo progetto di esistenza. Ed è lungo questa strada che dobbiamo camminare avanti e ri-prendere la via… il proseguimento della storia o meglio il compito storico che ha tracciato e traccerà il disegno delle nostre vite personali dando ad esse un senso.

Spesso in tutto il percorso della psicanalisi nell’affidarsi allo spirito, all’abbraccio divino, alla via del Sè si è escluso il corpo. Succede a tutti di essere combattuti dalla continua altalena tra il rapporto con l’uomo concreto e il mondo, e la via del Sé, però alla fine l’ultimo punto di riferimento dovrebbe essere sempre quel , a cui si dovrebbe ritornare a riferirsi come al mio interlocutore privato.

Allora, lo spirito è fin dall’inizio l’altra faccia della materia: la dialettica si dà quindi dall’inizio dei tempi. Il femminile dovrebbe sempre riconoscere in sè il verbo iniziale, in modo da porre fine all’interdipendenza per il passaggio all’intersoggettività, il femminile deve recuperare in sè il maschile e il maschile il femminile. Il femminile unito al maschile, l’individuale e l’universale uniti insieme.

Perciò, l’individuale è proprio l’oggettivazione che viene fatta dalla coscienza di essere, frammentandosi in tanti cicli d’onda, per tornare alla prima materializzazione, il continuum dell’onda.

Per arrivare a ciò, è necessaria la distanza, è questa che ci fa vedere. Finché rimaniamo tutti appiccicati a noi stessi, noi non vediamo, non sappiamo chi siamo. Se rimaniamo appiccicati a questo oggetto, siamo tutt’uno con l’oggetto, non ci vediamo. Ciò che fa vedere è quindi la distanza. Però questa potenzialità conoscitiva non poteva conoscere se stessa, se non nella misura in cui si separava, si spaccava in due. Tuttavia, nel momento in cui la coscienza è nata, grazie alla distanza, ha dimenticato la sua origine, non ha potuto più vederla, perché non poteva ricongiungersi, pena l’annullare lo spazio conoscitivo tra i due e del riscomparire del tutto, come in tutti i miti, in cui c’è la terra che emerge dal mare e il suo reingoiamento.

Questa separazione era dunque necessaria perché aveva la finalità che il maschile e il femminile si vedessero. Era necessario che la coscienza di essere avesse l’esperienza della sua origine e quindi tornasse a riavvicinarsi, senza però perdere la presenza. Dobbiamo quindi conoscere quella parte oscura.

Ma qual è allora il metodo? Proprio la riflessione, la meditazione, il continuo prendere distanza.

Però non più le interpretazioni, secondo i giudizi già dati, non leggere secondo un già detto, ciò alimenta ancora conoscente e conosciuto, si rimane nel pre-giudizio, bisogna guardare la progettualità… bisogna sforzarsi di contenere l’emozione, il dolore, la disperazione, il desiderio di buttarsi addosso all’altro, la violenza della passione.

Quindi prendere distanza e leggere cosa sta avvenendo, non essere come l’animale che non sa della sua fame, ma è tutt’uno con la fame e con l’oggetto che lo soddisfa. Questo insegnano le antiche dottrine esoteriche, ma lo potete ben capire anche dalla filosofia buddhista ad esempio.

 

 

 IL BENE E IL MALE

A questo punto, avendo ormai ben chiaro cosa sia la Scienza Sacra, quella delle energie cosmiche, dei numeri e delle stelle, sia cosa siano i “racconti mitologici” legati a quella Sapienza, cerchiamo di capire i concetti spirituali del Bene e del Male.

 

Le più importanti scoperte scientifiche degli ultimi anni hanno dimostrato la presenza di onde sonore nell’universo primordiale, analizzandone anche il timbro. Queste onde comprimono e rarefanno il gas incandescente che costituiva l’universo circa 15 miliardi di anni fa, si tratta di due forze cosmiche complementari e compresenti: la distensione e la contrazione, gravità ed entropia. La Vita infatti si sviluppa da questo flusso e riflusso, in questa duplice polarità… e la sua pulsione è infinita. L’Essere crea tutte le cose in “dualità di perfezione”. Questa è la Verità assoluta, la “Grande Opera” dell’Alchimia, la “pietra filosofale” non a caso si compiva proprio attraverso le fasi della “Soluzione”, della “Coagulazione” e infine dell’ “Unione/Sintesi”. Queste due forze primigenie sono come il Respiro del Cosmo, così come l’uomo espira (vedi anche le diastole del sistema cardiaco), sintomo della forza espansiva del sole, e inspira (le sistole), sintomo della forza contrattiva della luna. Ogni cosa si propaga attraverso due forze complementari.

Questi due principi opposti fondamentali in natura, erano i due elementi divini del mascolino e del femminino sacro, ovvero il secco e l’umido, il caldo e il freddo, il Bene e il Male, il Sole e la Madre Terra venerati dagli antichi, i due pianeti che partorivano la vita sul nostro mondo attraverso i “misteri” della luna (la figliolanza). In ogni caso, tutto sorgeva sempre dall’Essere assoluto, “Dio”, la “suprema Esseità”.

 

Di fatto, la stessa divinità in principio veniva rappresentata attraverso una sua parte maschile ed una femminile, la cui sintesi fondava l’essenza divina, un po’ come il Tao. Come in tutte le religioni originali ad esempio, anche in quella ebraica in principio si venerava la forza del mascolino di Dio, ossia Yahwè, e quella femminea: attraverso la dèa Asherà, venerata ancora nel primo millennio a.C. nel Tempio di Gerusalemme quando il monoteismo non aveva ancora raggiunto la sua predominante autorità. Ecco che i riti originali erano una celebrazione delle “nozze mistiche tra il Cielo e la Terra“. Le leggi di natura manifestavano il divenire della vita secondo un’evoluzione governata da un’armonia che veniva costantemente ricercata dagli uomini in nome di un equilibrio emozionale che avrebbe avvicinato la loro coscienza al divino. L’equilibrio armonico delle forze cosmiche proveniva dalla perfetta fusione complementare di forze celesti sia mascoline che femminine in un ciclo infinito. L’eterna fecondazione delle forze mascoline, come il potente calore del sole ad esempio, nei confronti delle forze femminine, come il “ventre” (l’utero) terrestre della madre terra che da sempre e per sempre, attraverso cicli incommensurabili, produce vita, cellule, esseri viventi, piante, cristalli, ecc… è lo specchio delle dinamiche celestiali. Anche l’uomo genera la vita attraverso il suo seme nell’utero femminile, che attraverso la gestazione dei nove mesi, produce il frutto dell’amore e la Vita stessa.

Così, scendendo nei piani sottili: da questa Unica sostanza si emana la forza dell’estensione, la prima energia evolutiva in natura.

Questa rientrando in se stessa è chiamata forza d’attrazione.

Se invece si estende nuovamente, forza di repulsione.

Dunque non esiste che una sola forza, di cui tutte le altre sono modificazioni. Secondo questa saggezza la differenza tra bene, male e l’imperturbabilità con cui queste forze ricadono sulla vita degli uomini, deriva solo dall’intelletto, ed è quindi solo ideale o illusoria.

In principio, l’uomo non concepiva il male, e vedeva l’imperturbabilità delle gioie e delle sofferenze della vita come l’equanimità del necessario divenire della natura che evolveva e colpiva qualsivoglia tipo di persona in ugual misura, da quella più giusta a quella più scorretta per esempio.. si trattava solo del “passaggio” delle leggi di natura. Non esisteva il concetto di male che abbiamo noi oggi, ma quello della forza distruttiva della natura che “portava via” per poi ricreare il “Nuovo”. Allo stesso modo, la morte è conforme alla natura. È parte di quel continuo trasformarsi e rinnovarsi della Vita del Cosmo. Siamo parte di un Unico organismo armonico e dunque in equilibrio tra l’espansione e la contrazione, tra la creazione.. e il reflusso contrario senza il quale sarebbero impossibili infinite possibilità di esistenza.

 

L’origine stellare del Diavolo:

In ogni caso, per tornare ancora all’originale religione perduta, teniamo sempre a mente il fatto che il Diluvio simboleggia la collisione di un pianeta caduto, poi chiamato proprio Satana, attualmente diremmo un asteroide, con la nostra Terra. Perciò questo asteroide schiantatosi sulla Terra, generò il diluvio che tutte le antiche religioni tramandavano all’interno dei loro testi sacri. Questo asteroide era un pianeta conosciuto da tutte le culture come “Il Reggiante“, il dragone delle caotiche acque salate. La luce solare illuminò l’acqua di questo pianeta dandogli un bagliore che competeva con la luce stessa del Sole, fatto che poi verrà traspositato nelle lotte di Lucifero contro il Signore. Il Signore in questo caso è il Sole che ci alimenta e dona calore alla Terra. Il pianeta Tiamat o Lucifero fu distrutto da un cataclisma che scaraventò il pianeta acquoso nell’abisso della Terra. Nel libro di Enoch è rivelato: «Ed ecco una stella cadde dal cielo. …e quando cadde sulla Terra vidi come Essa fu inghiottita in un grande abisso»… chiaro riferimento agli abissi dell’Inferno! Questa è sicuramente la Sapienza originale… poi da qui… i saggi asceti costruirono tutti i racconti mitologici.

 

La storia di come l’astro che simboleggiava il Male fu tradotto simbolicamente nei racconti mitologici:

A questo punto, facciamo un po’ di storia, anche se “alternativa”. Se il corpus della spiritualità umana nasce dal racconto di eventi stellari (tramandati all’umanità da chi e come… non si sa), la costruzione dei testi sacri di quei racconti furono “tradotti” attraverso i racconti mitologici di dèi e dee. Ebbene sempre più studiosi oggi affermano quanto segue:

Nei testi Sumeri di circa 6.000 anni fa (la prima civiltà conosciuta) si parla del dio EN.LIL, anche detto ILU.KUR.GAL, ovvero “Signore della grande Montagna“; uno dei suoi tre figli si chiamava ISH.KUR, dove il glifo KUR in sumero significa “montagna” e ISH deriva dall’accadico ISHA (Signore) e dalla desinenza cananea ISH (montagna), un glifo che in accadico viene tradotto con SHADDU, e che poi si evolverà in ebraico in El Shaddai, dove “El” vuol dire Signore, mentre “Shaddai” vuol dire appunto montagna. Infatti è proprio così che Dio si presenterà per la prima volta ad Abramo: «Io son El Shaddai, cammina alla mia presenza e sarai perfetto» (Genesi 17: 1,2).

Ebbene, Ishkur prenderà poi il nome di Hadad in accadico, mentre per i cananei diverrà Baal Hadad. In seguito gli assiri, mossi dalle loro motivazioni di supremazia, decisero di creare un unico dio tutto loro, in modo da giustificare e magnificare la propria potenza. Tuttavia, agli albori della civiltà ebraica, il dio fenicio Baal non poteva improvvisamente diventare l’unico e supremo dio, le antiche e politeistiche tradizioni cananee infatti erano già ben consolidate, così fecero prendere in sposa al dio Baal la sua sorellastra Asherà, dalla cui unione nacque Yaw El, che ovviamente ha un’assonanza evidente con il biblico Yahweh e da cui si generò appunto il monoteismo ebraico. Così, per completare il processo di sincretismo e del monoteismo, Asherah, madre di Yahweh, fu data sposa a sua figlio, come evidenziano numerosi ritrovamenti archeologici ma anche un’iscrizione paleo-ebraica dell’VIII sec. a.C. e rinvenuta nei pressi di Kuntillet ‘Ajrud, dove si legge: «Ti benedico tramite Yahweh di Samaria e la sua Asherah».

In seguito, quando gli ebrei conquistarono l’Egitto nel 1750, scelsero Seth per affinità elettive col loro dio. Dopo le due cacciate del primo e secondo esodo, gli Ebrei promossero il nuovo dio Yahweh eliminando i riferimenti a sua madre, ed in seguito moglie, Asherah, come testimoniato da numerosi riferimenti biblici (cfr. I Samuele 7: 4 e 12: 10; II Re 10: 19; II Re 11:18).

In sostanza, nel corso dei millenni le cose andarono così: nel 650 a.C. quando gli ebrei erano schiavi dei babilonesi, dichiararono il dio dei loro padroni ENKI, dall’epiteto “dio degli abissi“, loro nemico e “avversario“, che in ebraico si dice “Satàn“. In verità il “dio degli abissi” babilonese si era ribellato, per salvare gli esseri umani dal Diluvio Universale, a suo padre AN, il re del cielo, che su richiesta dell’altro suo figlio ENLIL, re dell’aria, aveva decretato, unitamente  al concilio degli dei, che la creazione di Enki, ovvero l’umanità stessa, venisse sterminata. Gli ebrei odiavano i loro oppressori e volevano vendicarsi, e così iniziarono ad adorare proprio il dio a cui il dio Enki si era ribellato per salvare gli umani dal Diluvio -ossia Enlil, il dio dell’aria, vale a dire il nostro Dio giudaico-cattolico che risiede nel cielo, a dispetto del Dio degli abissi che noi oggi conosciamo come Satana (tutto ciò trova corrispondenza anche nell’astio tra Zeus e suo fratello Poseidone negli arcaici miti greci. Non a caso poi il tridente di Poseidone lo ritroveremo nel forcone del Diavolo).

Ebbene, gli ebrei, attingendo ai miti sumeri e babilonesi contenuti nella biblioteca di Assurbanipal, riscrissero una religione completamente alla rovescia dove si autoproclamaronopopolo eletto“, tutelato dagli dèi del cielo, gli Elohim. Poco importava che Enki avesse insegnato agli uomini anche la medicina e la “scienza dello Spirito” (come aveva fatto Prometeo e in un’altra chiave di lettura, più religiosa che storica, l’angelo Azezel… anche quest’ultimo stessa trasposizione del pianeta Tiamat e di Lucifero), non a caso il suo simbolo, un doppio serpente avvolto elicoidalmente lungo l’asse verticale, è giunto incolume fino ad oggi proprio come emblema di guarigione e lo potete vedere negli studi medici, presso i farmacisti e sulle ambulanze.

In effetti, Enki o Satana, o Lucifero (o Tiamat o Azezel…), è quello che sta sull’Albero della Conoscenza (vedi il serpente) e lo consegna all’umanità con il “libero arbitrio” -un atto di autoconsapevolezza di coscienza dunque, ecco che è Lucifero che ha creato in verità l’essere umano, come infatti fece Enki. Lucifero, emanazione della luce divina (così come anche l’asteroide dalle acque salate è figlio dell’universo), ha perciò creato una nuova realtà spazio temporale, infatti oggi anche la fisica quantistica insegna che è la consapevolezza, ossia l’osservazione, che crea la realtà.

Dunque iniziamo a capire come l’ebraismo abbia invertito totalmente le cose, venerando il dio del cielo (An, o meglio Enlil), che era in verità ostile all’uomo, ecco dunque spiegato il Diluvio biblico o l’astio iniziale di Dio nei confronti dell’uomo così come dei suoi eletti nell’Antico Testamento, mentre osteggiava Satana, ossia Enki, che in verità è il nostro creatore, e non certo il Diavolo maledetto che ci ha oppresso da millenni: il suo dono non è infatti il peccato, ma la Sapienza, quell’Albero della Conoscenza che i “potenti” (e il Dio del cielo) non vogliono consegnare nelle mani degli uomini (o almeno, in una chiave di lettura più positiva e spirituale, non lo fanno finché la consapevolezza di sè non è pronta!).

Se rileggiamo la Bibbia secondo una chiave di lettura cabalistica ad esempio, potremmo certamente risalire alle verità originali. La stessa simbologia la ritroviamo non a caso in Baphomet, il famigerato dio pagano che fu la causa anche dello sterminio dei Templari, i quali in realtà sapevano bene che Bafometto in greco corrisponde a “Sophia“, cioè Sapienza, quella che portava in seno il serpente/Lucifero, ossia Enki.

 

In ogni caso, tutti questi racconti mitologici non sono altro che trasposizioni liriche di avvenimenti stellari a cui vennero attribuite relazioni psicologiche per l’animo umano in virtù dell’influenza energetica che gli astri hanno nei confronti dei campi magnetici dello spirito e del corpo umano.

 

Così, uno di questi Miti è ad esempio quello greco di Prometeo, il titano che rubò il fuoco a Zeus per donarlo agli umani e renderli superiori nella conoscenza della vita. Nel destino di Prometeo infatti è simbolicamente rappresentata la sorte di una umanità che si emancipa dal divino, disobbedendo però alle regole celesti. La colpa dell’umanità prometeica non è propriamente quella di desiderare di essere come la divinità, ma di provare a raggiungere tale obiettivo per mezzo del furto e del sotterfugio. Non a caso, dopo essere stato punito da Zeus, Prometeo verrà liberato dal suo alter ego celestiale, ovvero Ercole, che rappresenta invece l’uomo caduto e redento, che raggiunge il regno dei cieli e la condizione divina a seguito di un lungo e complicato percorso, le celebri 12 fatiche (come le 12 Costellazioni… un passaggio cosmico evolutivo), per mezzo delle quali riuscirà a purificare se stesso ed a guadagnarsi un posto nell’Olimpo. È interessante notare come questo mito antichissimo, nato per mettere in guardia gli uomini di fronte ad un errato agire nel tentativo di raggiungere la condizione divina, abbia nel tempo smarrito il suo senso originale, e già in epoca classica la figura di Prometeo aveva subito un totale ribaltamento, divenendo egli benefattore degno di un sincero e devoto culto.
A questo punto, non possono non balzare agli occhi le evidenti similitudini tra Prometeo ed il suo corrispettivo nella cultura guidaico-cristiana, ovvero Lucifero. Come Prometeo, così Lucifero viene punito dalla divinità per la sua disobbedienza, e come il titano della mitologia greca, anche egli cerca di trasmettere la conoscenza agli umani, così come raccontato nella Genesi nell’episodio del frutto proibito del Paradiso (vedi anche il mito di Azezel…). Qui Lucifero si presenta sotto forma di serpente ad Adamo ed Eva, ed invita quest’ultima a cogliere il frutto dell’Albero della Conoscenza, l’unico frutto cui Dio aveva loro proibito di cibarsi. «Sarete come dei», dice ad Eva Lucifero, ed appare chiaro che il peccato di cui la prima coppia si macchierà è lo stesso che Prometeo fece compiere alla giovane umanità del mito greco, ovvero quello di voler raggiungere la condizione della divinità per mezzo dell’inganno, e non attraverso un lungo percorso di ricerca e perfezionamento spirituale. In realtà i miti raccontano la stessa “verità”, Lucifero non è il “Satana” con cui ci ha oppresso per secoli la Chiesa ortodossa, in realtà Lucifero è la luce che arriva (ossia l’asteroide dalle acque salate succitato, ma anche, forse ancora più esattamente, il pianeta Venere) per dare conoscenza. Il serpente non è altro che la conoscenza, l’involucro che contiene l’essenza divina e che va quindi alimentata dalle giuste energie cosmiche e positive.

 

Come le energie naturali distruttive vennero decodificate nel concetto di Male:

Partendo da qui, è bene capire come gli antichi saggi mettevano in connessione questi eventi astronomici con le forze energetiche che governano appunto l’universo.

Ad esempio la Cabalà, l’antica tradizione esoterica ebraica, riesce a spiegare acutamente ed esaustivamente il concetto del Male attraverso l’idea della così chiamata “fulgore di Chesed“. La cosiddetta forza delle Ghevurà è quell’energia che restringe, diminuisce, controlla e indirizza la discesa di luce e abbondanza durante l’emanazione della creazione da parte dell’Essere divino. È la “mano sinistra”, estesa per respingere: è ogni tipo di energia atta a porre limite e termine all’esistenza.

È la forza contrattiva, la distruzione in natura, quella forza che compensa l’opposta (ma complementare) energia di espansione (questo dunque il significato trovato dagli antichi in seguito agli eventi stellari del pianeta/dea Tiamat… che fu infatti simboleggiato dal “concetto” di Lucifero).

Pur avendo delle connotazioni negative (che tuttavia gli assegna solo il nostro limitato “sistema logico” intellettuale), senza Ghevurà l’amore non potrebbe realizzarsi, in quanto secondo la Cabalà non troverebbe un “recipiente” atto a contenerlo… il tempo e lo spazio non possono contenere una creazione illimitata nella nostradimensione“… così come per la Madre Terra, è ovvio!

Il Male è “sfunzionamento”, non negatività. Se da una pila elettrica e dalla Vita si elimina il polo negativo, la corrente stessa si annulla. Il negativo è utile, è funzionante, è essenziale, è importante. Non può essere considerato come un male. Il negativo è la metà del bene, così come il positivo è l’altra metà. In realtà l’unica forma primaria unitaria e inscindibile che insieme si espande e si contrae è il Bene (la frequenza vitale del Campo Unico di energia). Quando si parla di forza primigenia e primaria, in questo senso, si parla di Totalità. Quando si parla di Diavolo si parla di Parzialità. Quando la visione diventa totale ogni Diavolo, ogni male, ogni errore spariscono (il fatto che essa sia una forza “contrattiva” e che dunque limita e frena l’emanazione e l’espansione, non significa che sia qualcosa di negativo o il Male assoluto, si tratta solo di quella forza necessaria all’esistenza affinché questa non stagni nella copiosità e rimanga in equilibrio in seno all’evoluzione… infatti, senza la caduta del pianeta Tiamat/Lucifero, non ci sarebbe stata l’umanità, ecco come quindi nel “disegno naturale” dell’evoluzione cosmica tutto ha un senso… un senso mai maligno in sé).

Non solo, queste forze contrattive, che possono essere identificate nelle frequenze e sul piano inconscio con le nostre paure o insicurezze, fanno parte della nostra natura e semmai devono essere decifrate per quello che sono: non un fantomatico Male esterno di cui aver timore o un Diavolo tentatore che ci trascina all’Inferno (come la “cosa” fu venduta alle masse dal cattolicesimo ad esempio), ma semplicemente una particolare vibrazione energetica che sul piano materiale risuona con le nostre onde celebrali caratterizzando una sorta di emozionearginante“.. che l’uomo è chiamato a “trasfiguarare“… se vuole liberarsene!

Ogni emozione limitante è frutto delle nostre passate scelte e di quelle condizioni di vita che ci siamo costruiti intorno, e seppur fosse un evento incontrollabile e maledettamente accidentale… si tratta solo di una prova per la nostra crescita personale, perché alcune dinamiche sono inevitabili in una sincronicità fatta da tutta la va sul mondo, e perché come insegna il Karma ogni azione alla fine risuonerà ritornando verso chi l’ha creata; l’evoluzione ha bisogno di questo per oltrepassare di volta in volta i diversi stadi dell’esistenza… in natura niente succede a caso! In fondo, cosa sarebbe il Bene se non esistesse il Male, o come apparirebbe la terra se vi scomparissero le ombre?

Per questo motivo le misterosofie definiscono il Male come “mancanza d’amore“, non è un caso infatti che di una persona cattiva si dice sia “senza cuore”… Come i carboni accostandosi al fuoco diventano incandescenti per mutazione e una volta lontani dal fuoco si spengono, così se ci allontaniamo dall’energia primordiale ed assoluta che crea il Tutto, l’uomo perde la luce per diventare tenebra.

Di fatto il simbolismo del male sussiste quando l’uomo si allontana dallevibrazioni costruttive-positive“, le energie del nostro campo magnetico vibrano secondo determinate frequenze: le emozioni come la gioia, la felicità, l’altruismo e l’amore hanno frequenze diverse dall’egoismo, dalla malvagità, dalla crudeltà o dalla paura… quando un uomo sceglie di vivere secondo quelle vibrazioni, diventa un “concentratodi quelle negatività generando sentimenti ed azioni malsane. L’indifferenza e il malinteso possono creare situazioni malvagie. Il più delle volte le persone che sembrano impersonare il male sono in realtà vittime di azioni scellerate… “insensibili” per così dire. Di fatto le persone sono naturalmente inclini al bene, gli uomini quando non cavano piacere o utilità dal male sono concentrati sul bene, ma poiché la nostra natura è fragile, e le occasione a cui invita il male sono infinite… la tragedia è sempre dietro l’angolo -«Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera», diceva Goethe.

La stessa cosa accade negli stadi più sottili quando un “condensatodi energie negative (degenerate dall’interpretazione delle forze della Ghevurà… per seguire gli insegnamenti della tradizione cabalistica) “formauna coscienza demoniaca (un focolaio di energia negativa)… una personalità malvagia che in altri stadi dell’esistenza può corrispondere a quei demoni di cui tanto ci hanno parlano le religioni esoteriche!

Per capire meglio, dobbiamo sapere che il “linguaggio” che il campo energetico dell’universo comprende e a cui risponde… è il linguaggio delle emozioni, vale a dire vibrazioni, infatti oggi la scienza conferma che l’emozioni è energia. Perciò l’uomo attira solo ed esclusivamente ciò che è in risonanza con le sue emozioni, questo perché l’emozione, secondo gli esperti, non è altro che una forma di energia. Se la vibrazione è il moto dell’energia, l’e-mozione è energia in movimento! I sentimenti influenzano la forza o la vitalità delle frequenze energetiche che vengono emanate: gli scienziati affermano che attraverso il cosiddetto fenomeno della risonanza ogni emozione ha una vibrazione diversa. Ogni attività cerebrale emette infatti delle onde particolari che possono entrare in risonanza con le onde vibrazionali della realtà esterna. In questo modo il cervello viene “veicolato” attraverso le vibrazioni, stimolato a sintonizzarsi su una frequenza, quindi sull’attività cerebrale che le corrisponde, e portato a funzionare come un insieme.

Quando l’uomo si è distratto dal contemplare la natura senza scopo, concependo quindi una chiave di lettura che conteneva qualcosa di funesto all’interno della natura -non riconoscendola più come parte di sè stessi- si è ingenuamente creato uno stato di paura e di debolezza. Tale paura ha creato l’eccesso di cultura storica e l’affermarsi del sapere analitico (considerato illusoriamente il solo mezzo di “salvezza”): nacque così la strategia di travestire il proprio Sé in qualcos’altro.

La finzione, nella sua accezione più generale, copre ad esempio oggi, il dissimularsi e l’escogitare finzioni utili quali i concetti scientifici più abbacinati, ogni “dogma” in questo senso è legato proprio alla paura, all’insicurezza, alla lotta per l’esistenza, quella sopravvivenza tanto disperatamente ed ingenuamente cercata dall’umanità. Rivendicare per prima cosa la possibilità di distinguere tra verità ed errore, sarà ciò che incarnerà in qualche modo il processo della fissazione di vero e falso.

Questo sfunzionamento delle emozioni, che creano una realtà fatta di finzioni sociali e culturali, sarà il frutto del Male, sarà il prodotto dello “scegliere” di vibrare attraverso emozioni/frequenze negative. In questo modo il Male si propaga, i demoni si alimentano, così come le forze distruttive in natura. È qui che ancora una volta l’uomo usa in modo nefasto la sua evoluzione, ancora una volta l’uomo sceglie di evolversi attraverso l’inganno invece di sfruttare il progresso umano in modo consapevole e secondo le leggi della Vita e dell’amore… ancora una volta il mito di Lucifero, o di Azezel o Prometeo (ispirato dall’asteroide…) viene a personificare le forze del Male, ossia le frequenze distruttive della natura, quelle energie che se alimentate porteranno ad uno squilibrio, dal momento che in realtà esse esistono solo per compensare l’evoluzione, per far sì che l’uomo possa conoscere tutti gli aspetti della sua esistenza.

Quando le religioni iniziarono a creare una confessione basata su una fede portatrice di “verità” a dispetto di altre da eliminare, perché nemiche o “infedeli”, dove tutti volevano prevalere in nome del loro Dio, ebbe inizio il tracollo della spiritualità umana. Non si contemplava più la natura, “senza uno scopo” prevaricatore, non la si osservava più in maniera genuina in modo da riconoscerla per quello che era, ma si manipolava e si traduceva tutto secondo tendenziose ideologie, mistificando così le antiche tradizioni per raggiungere determinati interessi. Ecco l’errore diabolico! Ed è questo processo affabulatore ciò che poi ha creato nell’immaginario collettivo la figura del Diavolo.. il sinistro ingannatore usato dalle religioni per controllare le anime della massa!

Questo processo, alimentato in questo modo da emozioni negative (il Male), ha orientato i primi passi con la scoperta della scrittura 3.000 anni prima di Cristo, cioè quando iniziò lentamente a costruirsi un’attitudine analitica da parte della mente umana. Una tendenza importantissima per la nostra evoluzione, per carità! Ma col tempo non ben equilibrata con le leggi di natura. Infatti, pian piano l’uomo incominciò sempre di più a catalogare (questo è mio, questo è tuo; questo è buono questo è male…). Si iniziò a classificare la natura con al centro l’uomo, lasciando fuori schiavi, animali e avversari, una visione della vita ovviamente priva di ogni forma di genuinità, autenticità e libertà, giacché priva d’immaginazione, di intuizione estatica ed archetipica, tant’è che in quei periodi il politeismo iniziò a degenerare nell’antropomorfismo, presto tutto fu riscritto a misura d’uomo… a misura dei più potenti! Questo processo si gonfiò a tal punto che l’ego umano si innalzò al di sopra della natura, fino a relegare Dio su in alto nei cielo, al di fuori della natura stessa, e lo rappresentò a sua immagine (e non il contrario) attraverso il monoteismo. Utilizzò la sua figura assolutistica per disporre eserciti, con la quale i “popoli eletti” andavano a far le guerra per il potere in nome di Dio.

Col passar dei secoli si arrivò all’epoca dell’antica Grecia, una cultura ancora eccelsa fino a quando, dopo i presocratici, le classi potenti vollero espandersi per accrescere il proprio dominio politico-economico. A quel punto la società greca acuminò ancor di più le proprie tendenze analitiche –funzionali al commercio, forgiando l’embrione di quella cultura razionale che in seguito degenererà negli aspetti più beceri del nostro secolarismo e scientismo.

In quel tempo, l’ottimismo del nuovo uomo greco si andò a fondare pian piano sull’idea che il singolo fosse inserito entro un sistema razionale. Predicando che c’è un ordine razionale dell’essere e che il giusto non ha nulla da temere, per prima cosa la tendenziosa lettura che si tramandò di Socrate fece coincidere la ratio con la felicità. Perciò il razionalismo sociale si sviluppò sia come teoria sia come forza pratica di integrazione sociale. E non c’è ormai alcun dubbio che la storia del razionalismo, cioè della nostra civiltà, appare ricostruibile in termini di violenza: violenza dell’integrazione sociale, della fissazione dei ruoli, di regole logiche per stabilire cosa è vero e cosa è falso su basi assolutamente arbitrarie.

Certo non siamo qui a rinnegare o denigrare la “razionalità” in sé, una costruzione ideale che tanto ha dato all’umanità, io stesso sono un fautore di questa… tuttavia, la razionalità è ottimale quando è spirito critico, quando è una guida per risolvere determinate inferenze pratiche ma non solo.. Può diventare estremamente fuorviante, invece, quando viene assurta ad unica organizzazione logica del sapere… la cosa si fa allora più delicata giacché facilmente inquinabile dall’arbitrarietà… in quel caso la logica diventa infatti “mezzo” per tendenziosi interessi o inconsapevoli interpretazioni, che appunto, in nome della logica, diventano certezze, dogmi, e dunque “armi di manipolazione di massa” o torture ideali per il nostro inconscio, capaci di generare “sensi di colpa” o zavorre psicologiche.. In sostanza, secondo queste “interpretazioni” non si ha più a che fare con le più autentiche logiche e leggi di natura… ma solo con i faziosi interessi dell’egotismo! È per questo che poi la “logica” finisce per essere solo un mezzo fatto di sproloqui in grado di abbindolare o raggirare gli altri con una furbizia satanica… in grado di toccarci nel profondo, fin dentro le nostre insicurezze e paure, è li che agiscono i nostri demoni (ossia quelle frequenze “negative” per così dire -emanazioni della Ghevurà direbbe la Cabalà- che fanno risuonare malsanamente le nostre vibrazioni esistenziali, cioè i nostri stati d’animo)…

Intrappolato in determinati asserti categorici, di sola natura razionale, l’uomo non riesce più ad uscire da quella ragnatela, cerca continuamente di far quadrare le direttive che gli sono state imposte dai tanti “azzeccagarbugli” della società di oggi… ma oramai la sua personalità non ha più campo d’azione, e così la sua natura spirituale lo rende insofferente, perché ormai troppo lontano dalla natura “sincronica” della realtà… l’uomo è ormai dimentico dell’ “intuizione“, dell’ “immaginazione“: del Numinoso!

L’uomo ormai vittima del “sistema” è succube delle emozioni più materiali, è legato all’apparire, al potere… la sua anima è già stata venduta al Diavolo!

Dal punto di vista “metafisico”, nel momento in cui qualcosa decide di staccarsi dal tutto per acquistare un’autonomia individuale, l’unità divina si spezza e si crea una scissione dalla quale prende appunto il nome il Diavolo. In greco, infatti, “diabolé” significa divisione, e il suo contrario è “symbolé”, la riunione: per questo Dio parla olisticamente per simboli, e il suo alter ego dualisticamente per contrapposizioni. Non a caso il serpente tenta Adamo ed Eva con l’Albero della Conoscenza… tutta lì si gioca l’autonomia e l’autodeterminazione dell’umanità!

 

Il concetto culturale e sociale dietro il simbolismo del Male:

La sfida diabolica che contrappone il Male al Bene non è dunque altro che un’immagine metaforica della contrapposizione del Falso al Vero, senza la quale sarebbe impossibile l’intero pensiero logico. Non a caso il Diavolo, nel ventisettesimo canto dell’Inferno, mentre strappa dalle mani di San Francesco l’anima peccatrice di Guido da Montefeltro, rivela beffardamente la sua natura esclamando: «Tu non pensavi ch’io loico fossi». E nel Faust, dando alla matricola un diabolico suggerimento per il suo piano di studi, reitera: «Ti consiglio anzitutto íli iscriverti a un corso di logica». Ecco perché il Diavolo è l’affabulatore, l’ingannatore: esso è logica tendenziosa frutto di una ratio esacerbata, quella tendenza a scegliere (ecco il libero arbitrio portato dal serpente/Diavolo nell’Eden ad Adamo ed Eva) tra due aspetti separati, obliando la verità che nulla è separato, che invero tutto è Unità.

 

Ogni creazione è divina. Ogni modo di procedere è umano. L’Essere crea il camminare, ma non lo zoppicare. Il diavolo è solo una mistificazione dell’originale concetto di demone (che era in verità un aspetto della forza distruttrice della natura), ma se è vero che l’inganno del diavolo è quello didividere” e che Dio è coppia, maschio e femmina (tutto quello che è vivente è coppia), allora l’errore diabolico sussiste quando l’uomo crede uno ciò che è solo metà. Quando vede in Dio il Padre e rifiuta la Madre. La Vita viene così spezzata in due parti, il Bene e il Male. Una metà dell’Infinito Bene viene creduta il Male. In verità la “tenebra” è solo un altro tipo di bene. Dobbiamo vederla in questo modo: la tenebra come luce che si spegne, la luce come tenebra che si illumina. In tutto perdurano le due forze opposte e complementari.

Insomma, chi matura biologicamente e intellettualmente, presto o tardi arriva a capire che la religione, sfrondata delle sue convenzioni e circonvenzioni, si riduce all’identificazione di Dio con le forze “sovrapersonali” che ci costringono internamente da un lato, e con quelle impersonali che ci sovrastano esternamente dall’altro, ovvero, rispettivamente, con l’inconscio e la natura.

Ecco che, trasportando il discorso dalla mitologia: se dal sole arriva la forza iniziatrice, simbolo della forza vitale, la madre terra la conserva e l’alimenta (donando il corpo), partorendo vita, simbolo di fertilità, mentre la luna compartecipa con il sole nelle forze vitali degli esseri viventi, simbolo delle forze inconsce (donando l’anima). Questa era l’autentica Sapienza della nostra religione madre e delle misterosofie esoteriche di tutte le civiltà native della Terra.

Fatale

 

 < ORIGINI DELLA RELIGIONE :

PART. 1 – “DIO È UN FUNGO ALLUCINOGENO

PART. 3 – “DIO È UNA STELLA. LA RELIGIONE STELLARE

PART 4 – “LA SCIENZA SECONDO LA BIBBIA

Appendice: “IPOTESI D’ORIGINE

 

LA VITA SULLA TERRA È BASATA SULLA MATEMATICA FRATTALE

TEORIA DEL TUTTO / GEOMETRIA SACRA

PROPORZIONI A SPIRALE IN NATURA

LA GEOMETRIA SACRA: ARCHITETTURA DELL’UNIVERSO

LA MATRICE GEOMETRICA DELL’UNIVERSO

CIMATICA: METAFISICA DEL SUONO

MASARU EMOTO e LA MEMORIA DELL’ACQUA

Dio = E = Mc2 – Siamo ONDE DI ENERGIA

LA KABBALAH SU BENE E MALE

Origine sumera e babilonese da cui nacque il SINCRETISMO DEL MONOTEISMO ABRAMITICO

 

MAURO BIGLINO E LA TRADUZIONE LETTERALE DELLA BIBBIA ORIGINALE…

Cristo, Cristianesimo: GNOSTICISMO

LA CONSAPEVOLEZZA DEL “TUTTO” RELIGIOSO

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11 Comments

  • questa inchiesta sulla religione capita in un momento di mio traviamento di fede… mi sto trasformando in uno gnostico grazie a voi… non so se è un bene o un male ma la cosa si fa interessante…XD

  • giungere a dire che gli antichi seppero rivelare le leggi di natura come oggi conferma la scienza è qualcosa che va approfondito,rimetterebbe in discussione tutto! grazie degli spunti!

  • molto interessante la parte che spiega il concetto del male e del bene.
    sembra di rileggere la religione e l'etica dal profondo inconscio da cui si è creato. è strano come questo desacri il tutto ma spiritualizzi allo stesso tempo ogni cosa

  • un tale approccio alle religione, per noi occidentali, figli di una cultura scientifica, potrebbe essere un inizio per esplorare in modo PRATICO la nostra interiorità, per tornare finalmente a riscoprire le chiavi d'accesso universali alle verità più profonde del nostro essere.
    grazie!

  • bisognerebbe dare agli antichi il premio nobel per la fisica! è incredibile!!! avevano capito tutto!!! oggi la scienza conferma quello che i saggi spiegavano attraverso simbolismi e racconti mitologici. praticavano una religione secondo dei rituali che usavano leggi fisiche che solo oggi gli scienziati hanno scoperto…mi sembra impossibile! come riuscirono a comprendere tanto?

  • a rileggere oggi le antiche religioni,è inevitabile pensare al decadimento che ha avuto la società moderna. gli antichi erano depositari di una saggezza incredibile in armonia con l'uomo e la natura… la sento vero,dentro di me,così come sento distante la religione e la società di oggi.
    dobbiamo tutti fare un passo indietro

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