L’intervista a Riccardo Tontaro, autore del romanzo “Il mondo di Joya”

Una meravigliosa favola moderna: un coinvolgente romanzo tra sogni, fantasia e buoni sentimenti

Lo scrittore Riccardo Tontaro nasce a Cermes, in provincia di Bolzano, nel 1964. È un medico veterinario, specialista in ispezione degli alimenti di origine animale, da trent’anni si occupa di tecnologie produttive nell’ambito della filiera di trasformazione dei prodotti alimentari e da molti di più coltiva le passioni della scrittura e della pittura. Dopo diverse raccolte di poesie e racconti brevi pubblica il romanzo “Il mondo di Joya” (Bookabook, 2020). Si racconta in questa intervista

  • Un medico veterinario con la passione per la scrittura e la pittura, si presenti al pubblico.

Non esiste una così netta demarcazione, un confine tra le due cose – la professione e lo scrivere, intendo. Da sempre la scrittura è stata una paziente compagna delle mie attività principali, prima da studente e poi come lavoratore. Leggere e scrivere sono sempre state capaci di farmi stare “sveglio”, anche nei momenti dove la vita – come a tutti – ha giocato con il piede pesante. Sono particolarmente attratto dalle persone, dal loro modo d’essere e di pensare, dai loro comportamenti. Adoro confrontarmi, ascoltare, imparare cose nuove. E così succede, talvolta, che le lettere – quasi come giocassero a nascondino con me – si facciano trovare apposta. Allora le prendo, le metto insieme per dare la forma giusta al pensiero che intendo esprimere. Mi piace un sacco giocare con loro, mescolarle, crearne di nuove… Ecco chi è, probabilmente, Riccardo Tontaro: un grande bambino che non ha ancora perso la voglia di giocare. D’altronde, l’unica vera differenza tra un uomo e un bambino non sono, forse, i giocattoli che usa?

  • È passato dalla poesia, ai racconti e poi al suo primo romanzo, come è nata la passione per la scrittura?

Lo scrivere, fin da giovincello, quando scrivevo lettere e poesie a profusione a chi mi faceva arrossire da quanto forte mi batteva il cuore, ancora oggi mi ricorda di osare, di proteggere scelte consapevoli, di narrare con coraggio le mie idee. Cerco le parole, le metto insieme, alcune volte le storpio appositamente, creandone delle nuove, con l’illusione di poter ricreare il mondo, come vorrei che fosse. Se questa o quella visione sia migliore o peggiore della realtà contingente non mi interessa più di tanto: quando scrivo, per divertimento, sogno, altrimenti farei il reporter, che è un’altra cosa. Purtuttavia, anche se viviamo nell’epoca del verso libero, alcune volte mi incaglio volentieri tra le rime, tipo un architetto intento a disegnare una casa non sbilenca, leggo e rileggo i classici, una sorta di matesi, voglia e desiderio di apprendere, di imparare. Mi viene in mente la poesia Le Rime di Eugenio Montale, scusate. Cerco di ricordarmi di vivere, prima di scrivere, e non il contrario. Quando non provo nulla taccio, non mi sforzo ad indossare i panni di qualcun altro, vivo e basta, che non è poco, che si fa fatica, talvolta. Così facendo, rischio di non sapere di plastica. Cerco di ricordarmi sempre di leggere il tempo in cui vivo, anche se terribilmente attratto dall’indole e dall’animo umano, questioni senza tempo. Quindi talvolta un paio di righe le scrivo, pensando alla politica o al DNA, agli algoritmi o al big data. Semplice, ma al contempo inspiegabile.

  • Di cosa parla “Il mondo di Joya”?

In un arco di tempo che scorre all’interno del ritmo naturale delle quattro stagioni, Riccardo, un maestro di scuola elementare, racconta un periodo della sua vita.
L’incontro, al limite del rocambolesco, con Fosca – donna attraente d’apparenze – riaccende in lui la curiosità, la voglia di uscire dal suo giardino foderato di sicurezze dove, da parecchio tempo, aveva deciso di rifugiarsi, vivendo solo in compagnia dei ricordi, dei suoi tanti “vorrei volere”, dei suoi piccoli alunni e degli scritti – che rileggeva di continuo – contenuti in un vecchio taccuino che il nonno, poco prima di andarsene, gli regalò. Quel volo al limite della temerarietà – l’avventura “rapida” con Fosca -, conclusosi con un atterraggio non proprio elegante, innesca in lui l’inizio di un turbolento flusso di coscienza, carico di domande e di riflessioni, alla ricerca del significato profondo del suo essere umano. Osservando, in classe, il fare fanciullo di Alfonsino, un piccolo orfanello arrivato da poco, i suoi pensieri iniziano a prendere forma, incastrandosi a meraviglia tra le fiabe che ama inventare e raccontare ai suoi piccini. L’amore per le lettere, il suo giocare con loro, come piaceva fare anche al nonno Teodomiro, lentamente riaffiora. Riscopre, in quel taccuino malandato, una traccia della quale non si era mai accorto prima o, forse, non aveva mai “voluto”, davvero, accorgersene prima. Rinasce in lui la voglia di liberare ciò che il nonno volle realmente lasciargli, celata tra enigmi numerici d’inchiostro fin sotto la copertina di quel taccuino. Facendo fatica, riprende a scrivere e assapora, girovagando con i suoi pensieri – vagabondi osservatori tra la gente -, il senso dell’amicizia profonda, il gusto di parodiare – non criticare – i comportamenti che a lui non piacciono, il sapore indicibilmente meraviglioso di coinvolgere e di essere coinvolto tra, con e per gli altri, incontrando, per la prima volta, la vera potenza di uno sguardo, negli occhi di Arianna.
Rientra, infine, trovando il coraggio – dopo averla abbandonata per anni -, nella vecchia casa sul mare del nonno, risistemata grazie all’aiuto di amici ed amiche, rivivendo le gioie della sua infanzia, con una sensazione di presenza vera, continua ed immutabile. Profumi, colori ed emozioni ritrovate, ora come allora. Ubriacato da tutto questo – oltre che da una vecchia borgognotta di cognac nascosta in uno dei cassetti della scrivania nello studio del nonno -, ritorna, dopo aver cercato di catturare invano l’amore di Arianna, a piedi nudi, in mezzo a quel canneto del laghetto del giardino di casa che, come da piccino… Ed è lì, proprio lì in mezzo che la trova, a fior d’acqua. Trova una piuma sgarrupata, Joya. La soluzione, tanto cercata, agli enigmi numerici travestiti da poesie e filastrocche del nonno. Una piuma capace di scrivere da sola, quando attaccata ai sogni, incontaminati, di un essere umano con animo bambino. Una piuma capace di cambiare il mondo, senza che nessuno se ne accorga. Quasi come se, dopo che tutte le foglie erano cadute, dopo il tanto freddo dell’inverno, i nuovi fiori – annaffiati con pazienza – sbocciati in primavera, gli avessero insegnato che vi era in lui, come in tutti gli altri, un’invincibile, lunghissima estate. Da vivere insieme.

  • Un romanzo definito una favola moderna, ci parli del protagonista principale.

Riccardo De Tonnis, come già detto, è un maestro elementare sensibile, dall’animo gentile. Lì per lì sembra facile all’innamoramento, quando si scontra con Fosca mentre sta facendo la spesa. È folgorato, e d’istinto le propone una cena insieme. Ma man mano che si conoscono Fosca sembra troppo legata a certe dinamiche da social media (mentre Riccardo non frequentava nemmeno Facebook e WhatsApp, prima di conoscerla) e in generale sembrano avere approcci troppo diversi alla vita: Riccardo ama la lentezza, la profondità, le piccole cose, i dettagli, osservare la gente dal bar Centrale del suo paese. Scrive racconti, ispirato dal ricordo del nonno, famoso scrittore, che gli ha lasciato un taccuino pieno di storielle che legge e rilegge. Ha la tendenza a vivere nel passato, ma l’incontro con Fosca – sebbene si concluda dopo poco e con non poco attrito – accende in lui un nuovo slancio, un bisogno di capire il mondo e sé stesso.
A guidarlo è anche un piccolo mistero: nel taccuino del nonno scopre un breve scritto enigmatico che non aveva mai notato. Decifrandolo troverà Joya, una penna leggera, quasi animata di vita propria, capace di descrivere un mondo migliore, ideale. Così, in un flusso di coscienza che lo trascina tra vecchi amici e un amore nuovo – quello per Arianna, bella lavandaia e mamma adottiva di un suo alunno – Riccardo ritrova la strada di casa. Anche letteralmente: rimette a nuovo la casa dei nonni in cui ha passato l’infanzia, e la trasforma in un posto nuovo, non più immerso nel passato, ma proiettato al futuro. Una casa nuova per lui, Arianna e i suoi quattro bambini adottivi, più altri quattro che accoglieranno insieme, come una famiglia.

  • Quali sono gli altri protagonisti del romanzo?

Come accennato nella risposta alla domanda “Di cosa parla il mondo di Joya?”, tra gli altri personaggi citerei Fosca, il nonno Teodomiro, il piccolo Alfonsino e, naturalmente, Arianna.

  • Ha altri libri nel cassetto?

Certo. Come farei a svegliarmi senza sapere che ho qualcosa da scrivere, da finire di scrivere, da inventare, da riguardare, da correggere, da migliorare… Come farei a smettere di giocare? Nel frattempo, mentre sto tracciando la forma dell’ultimo, ho scritto “Quel pandemiurgo del Cassius”, pubblicato con Ilmiolibro (self publishing), una raccolta di 21 frammenti di prosa minima, dedicata a chi non c’è più a causa della pandemia.

  • Cosa pensa dell’editoria italiana? Come mai ha scelto Bookabook?

Dare una risposta alla prima domanda è per me praticamente impossibile, non possedendo la competenza necessaria per farlo. Quello che posso unicamente dire, leggendo molto, è che l’editoria italiana, nel suo complesso, offre innumerevoli ottime letture. Per quanto riguarda Bookabook invece mi sento più agile nel dare una risposta: avevo voglia di confrontarmi – ricordo che si trattava del mio romanzo d’esordio – con professionisti competenti del settore, capaci di verificare il testo e di proporre suggerimenti o correggerlo, nella fase di editing. In sintesi, posso dire che Bookabook, compresa la “faticosa” campagna di crowdfunding necessaria al raggiungimento dell’obiettivo, è stata un’esperienza, valutata complessivamente, molto interessante.

Giovanni Verrecchia

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