Le differenze tra ‘cibo buono’ e “poliffo”

Alter-Geo _ Mangiare, bere, uomo, donna _ [Rubrica] > Terre e prodotti assolti dalla mercificazione... Resistenza civile alle società di consumo

Questa Rubrica parla di quel “consumo” incivile fatto da una società mercificata, la nostra; la stessa che qui prova a resistere con gesti locali di autodeterminazione culturale… ispirati dal ‘mangiar bene’ e imbevuti da un ‘bere bene’. Intanto quel carrello della spesa si è smarrito in un momento di disattenzione del suo aguzzino, mentre noi ci preoccupiamo di ritrovare alternative forme di antropologia sociale ed enogastronomia per una nuova e dissidente etnografia sostenibile

 

Nei parametri di “qualità della vita” suggerirei anche quelli di “mangiare buono“. Non dico “sano“, appositamente, perché trovare cibo sano mi sembra difficile. Per ‘sano’ intendo quel cibo che potremmo definire con tranquillità salutare per il nostro organismo.
due-naniPassiamo quindi al mangiare buono, o perlomeno “onesto“. Quando vado al ristorante lo ritengo ‘onesto‘ se: mi viene ben descritto il menù, se il prodotto è surgelato o meno, precotto o meno, abbattuto o no, che risulti coincidente con le mie aspettative, che il piacere della tavola sia commisurato al prezzo che pago e così via… Pertanto il manifestarsi del prezzo nel conto dovrebbe teoricamente essere in linea con la qualità del cibo datomi. Vale anche per il supermercato o il negozio, se riesco a pagare spero che il prodotto valga la spesa. Questo è sempre valido in linea teorica anche coi prodotti che acquisto. In sostanza, se mi reco in un supermercato, per onesto intendo riferirmi ad un unico prodotto X ad un prezzo equo. Invece trovo una vastità di pari prodotti a fasce di prezzo diverso, con confezioni diverse, sfusi o meno, contenenti più o meno lo stesso prodotto ma con differenze alle volte sostanziali di prezzo… A cosa è dovuta questa enorme differenza?
All’Università si parlava di risparmio di scala, si diceva del packaging se più o meno accattivante, dell’investimento pubblicitario, i costi di acquisto delle merci e infine i costi di produzione e distribuzione..
Per andare a fare la spesa sapendo di tutte queste variabili non basta un anno di accademia alla Finanza o la laurea alla Bocconi; per tutti i prodotti è praticamente impossibile.
carrellinoPer fare la spesa quindi quale metodo utilizzate?
Io seguo, solo in teoria, il principio edonistico: faccio la lista della spesa a casa, prima, contando quello che ho e quello che devo smaltire. Poi in base a questo, cerco di applicare il principio edonistico diProtti”: ossia la differenza di risultato tra come fa la spesa la colf e la padrona di casa. La colf compra quello richiesto dal datore di lavoro, indipendentemente da qualità e costo, essendo un mero esecutore; mentre il buon padre di famiglia o la ‘padrona di casa’, tenta di comprare al meglio, in base ai parametri disponibili di offerta e bisogno.

– Osservo quindi il costo: quanto è il mio budget di spesa, odierno, cosa mi occorre per fare una determinata pietanza, se ho attrezzi adatti alla cottura, cosa mi interessa… Quanti giorni mi servono e quanti giorni avrò davanti prima che il prodotto scada. Quanto sono facili da preparare o da mischiare con ciò che ho in casa, che sapore mi rammentano o cosa vorrei realizzare, se costa di meno farli in casa, ecc…
– E se parto dalla materia prima? Approccio visivo, tatto, odore: mi ispira fiducia? Lo tocco, lo annuso, lo guardo.. è del colore che vorrei? È maturo? È di stagione? Lo posso sostituire con qualcosa che gli assomiglia? Basteranno? Mi piace?

– La produzione: chi li fa e dove? Qui prenderei del tempo… Con cosa sono fatti questi prodotti? Frutta e verdura del mercato oppure in busta o nel supermercato. Ogm o meno? Dedicherò un altro post su queste problematiche, in fondo nessuno è in grado di certificarvi la qualità del prodotto, nemmeno il contadino che li produce. E dunque cosa possiamo sapere dei prodotti preparati e industriali? Dalla normativa 95 della UE in poi è rigorosamente scritta in etichetta la provenienza, dove li fanno. Leggendo troverete delle sorprese interessanti. Alcuni stabilimenti fanno tante di quelle cose diverse che anche vedendoli di persona non ci credereste. I casi più incredibili sono lo Stabilimento Peroni che produce almeno una ventina di birre tra cui due Craft (artigianali); la Scotti Riso esce confezionando vari Marchi tra cui sicuramente Il Coop; per i pelati e la pasta idem. È un manicomio di sigle e scatole cinesi. Per i prodotti cinesi e quelli d’importazione la questione è ancora più complessa. Salvo poi scoprire che Marchi italiani producono prodotti esteri come Perugina e Novi che lavorano per Nestlè; lo stesso vale per la Invernizzi, Parmareggio, anche il Bitto dannati loro… e altre similitudini che fanno prodotti caseari di tutto il mondo…

– Sempre riguardo la produzione il ‘dove’ mi crea già un sacco di problemi, figuratevi il come! La scritta con percentuali di grassi in meno ad esempio, mi pone un quesito: grassi in meno va bene, anche del 40%, ma da cosa partiamo? Qual è l’origine dell’unità di misura del grasso in questione? Dov’è stava ‘sto grasso? E poi “Light” mi puzza di cancerogeno.
Sulla etichetta ci sono anche gli ingredienti li avete mai letti?
Dopo latte, sale e pepe, carote o carne di cavallo o maiale, vi siete mai chiesti da dove arrivano quelle sigle e cosa significano? Perché vi accanite con l’olio di palma? Pensate che la colza sia migliore? La colza è un fiore giallo con cui si faceva il diesel per i trattori. Mangiarla, non so!? E che diavolo sono gli aromi? Se scrivono aromi naturali passi, sono naturali… acido citrico, quarzo o ruggine ma sempre naturali sono. Aromi e basta invece non è dato sapere, può essere qualsiasi cosa.
Inoltre abbiamo gli additivi alimentari che sono sostanze chimiche aggiunte ai prodotti per colorare, dolcificare o conservare. Usati per migliorare l’aspetto, il sapore, il colore e il profumo. Le Efsa (ente Ue sugli alimenti) li definisce «Qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente». Sono classificati numericamente e per classe: da 100 a 199 sono coloranti; per colore giallo 100/109; 110/119 arancione; 120/129 rossi; 130-139 blu, ecc… Da 200 a 299: conservanti. Da 300 a 399: antiossidanti e correttori di acidità, ascorbati, gallati e eritorbati, lattati, citrati e tartrati, fosfati, malati e adipati succinati e fumarati… Da 400 a 499: addensanti, stabilizzanti ed emulsionanti, alginati, gomma naturale, derivati del poliossietilene, emulsionanti naturali, fosfati, derivati della cellulosa, derivati degli acidi grassi. Da 500 a 599: regolatori di acidità e antiagglomeranti, acidi e basi inorganiche, cloruri e solfati, solfati e idrossidi, sali dei metalli alcalini, silicati, stearati… Da 600 a 699: esaltatori di sapidità, glutammati, inosinati. Da 900 a 999: vari.. alcuni letali! Da 930 a 949: gas per confezionamento. Da 950 a 969: dolcificanti… Da 990 a 999: schiumogeni.. Infine da 1100 a 1599: altri prodotti… sostanze che non rientrano nelle classificazioni sopra indicate. Spero non li incontrate mai. Paura vero?

– E poi c’è la questione del quando? Ecco questa è facile, direte voi.. La scadenza è un mero equilibrio tra l’era geologica e i giubilei dal papato! Le sigle “L” sul latte indicano le volte che sono stati pastorizzati L6 sul latte fresco significa che ha 20 giorni e cinque pastorizzazioni, prima di divenire UHT o magari Siero, Blu o Zimyl oppure Emmenthal.

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Della definizione di “poliffo“: qualche anno fa alle domande di mio figlio sulla provenienza di alcuni alimenti che la madre comprava, quale il latte senza ‘quello o questo’… i biscotti senza ‘quello o questo’… la farina senza…, le gallette di riso senza…, ecc… ideammo un neologismo che indicava le porcherie industriali plasticose dal vago sapore di… masenza qualcosa‘… (tanto che mio figlio mi chiedeva sempre di come invece fossero i prodotti che avevano il ‘con…’). Quei prodotti erano “cacca” dicevamo… ma per la mamma non si poteva dire, lo trovava disgustoso a tavola, pertanto con mio figlio definimmo il termine “poliffo“. I cosiddetti “poliffi” sono quei cibi senza.., sono innaturali, lontani dalla campagna, lontani dalle uova, dal latte, dal miele, dalla cioccolata, dalla carne, dalla terra, dal grano nei campi, dalla natura dal sole e i suoi derivati. Poliffo suona bene, sa di petrolio di Warrant sulle merci, di piattaforme petrolifere di razione K, di cibo da sopravvissuti alla bomba atomica, quelle buste che gli americani buttano nei microonde. Ecco cosa è un poliffo: un succedaneo, un surrogato, all’aroma di.. ma senza quel qualcosa. Ci vedevo la scritta sui biscotti… senza biscotti. Però il Poliffo ha il 60% di grassi in meno. Perché? Il perché non lo so proprio. Costa meno? Forse vale il fatto che ammalandoci riescono a curarci e pertanto con modifiche e smaltimento di prodotti tossici riescono a controllare la nostra vita al meglio.
Non credo nella “conspiracy“, ne al male assoluto come tale, tuttavia ci vanno molto vicino.. Controllando il cibo e la produzione controllano la nostra vita. Di sicuro vi consiglio di scegliere bene ogni volta che comprate un prodotto o un alimento, ovviamente. Pensate a quale danno fate ai produttori di cibo onesti, ai braccianti schiavizzati nelle campagne, ai vostri figli destinati a curarsi allergie procurate da agenti chimici e semenze Ogm. Comprando o meno un prodotto esercitate l’unico vero potere democratico che vi è rimasto. Esercitate dunque la scelta ..di un consumo consapevole.

 

Daniele De Sanctis

 

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