La Sindrome dei Trenta

Manifesto letterario concernente fotografia a colori di stato post adolescenziale

Minchia.
Ogni mattina in cui ti svegli dopo i trent’anni inizia con un “Minchia”.
«Minchia, mi fa male la schiena»
«Minchia un crampo alla chiappa».
«Minchia che mal di testa».
«Minchia chi cazzo è questa vicino a me?».
Ogni mattina è così.
Poi ti alzi, ti trascini in cucina e ti bevi il caffè fatto con la macchinetta dalle otto del giorno prima, perché dopo i trent’anni te ne fotti se il caffè è caldo, freddo, salato, dolce. Il caffè è un sistema di risveglio, non una bevanda.

«Minchia che sonno».

La sveglia non la punti più, ti svegli a prescindere alle 6 insieme al gallo. In mancanza del gallo hai sicuramente un gatto che ravana sulla porta dalle 5.00, per cui tu alle 6.00 manco ci arrivi.

In quei trenta secondi in cui ti bevi il caffè, freddo, di solito apri Facebook per vedere un po’ di cose, e oltre alla minchia iniziano a girarti pure le palle.

«Foto di amici con moglie e bambino felici».
«Foto di gente depressa che si lamenta».
«Foto di politica da gente che di politica non capisce un cazzo».
«Ce l’ho, ce l’ho, mi manca».

Minchia.
La depressione.
E fuori piove pure.

«Ma è così romantico…».

Cosa è romantico quando piove? Le alluvioni? La città allagata? Noè con l’arca?

«Il bacio sotto la pioggia è romantico».

Minchia. Di solito ‘sta frase te l’ha detta quella ragazza con cui stavi che si faceva il bagno al mare con la cuffia di cellofan per evitare gli schizzi sulla permanente.

«Si ma con la pioggia è diverso…».

È diverso se sei Spiderman che si cala a testa in giù da un grattacielo di New York, non se stai a Roma, in periferia, al bar più becero della città con Gianni e Pinotto che parlano di “buci di culo”.

Però dai, a trent’anni ad un certo punto inizi pure a sbattertene delle cose. A prendere tutto per il verso giusto vero?
No, dai che cazzata, non è vero. Si chiama rassegnazione. Molti la sviluppano. Io non ci riesco.
Io sviluppo il “Minchia”.
Lo applico sempre più costantemente, perchè “cazzo” è volgare, “minchia” è poetico.
Così dopo il caffè, una trentina di minchia, senti che tira un muscolo. Uno ad minchiam, pure senza che hai fatto le scale il giorno prima.

E allora ti metti a fare stretching, i più dotti fanno Yoga. Te che alla parola Yoga associavi immediatamente il succo alla pera, ecco che dopo i trent’anni a Yoga associ musichette rilassanti e posizioni bislacche in cui sentirai tirare tutto il corpo. Però poi dopo ti senti almeno di sei mesi più giovane, che dopo i 30 anni sono una cifra invidiabile.

Però dai, di nuovo dai, non prendiamoli male ‘sto giro di boa.
Se li prendete per il verso giusto saranno una rivelazione. Sentirete il cappio che si stringe intorno al collo così forte, da volervene finalmente liberare.
Inizierete a mandare a cagare il capo, a prendervi le ferie, a viaggiare, a pisciare all’aria aperta come da bambini.
Inizierete di nuovo a vivere la vita come avreste sempre dovuto. Sapendo che ‘sti trent’anni sono già un miracolo per chi ci è arrivato. E poi sapete una cosa?
Conosco gente che sta peggio di noi trentenni. Gente che vive con la spada di Damocle sulla testa, che non lo sa che il mondo gli crollerà da un momento all’altro. Che si sente immortale, intoccabile, che pensa che ha ancora “tanto tempo”.
Gente che ancora non sa il fatto suo in termini di “minchia”.
Sapete chi sono?
I ventinovenni. Quelli che ancora non sanno che un attimo dopo aver compiuto i trenta, ameranno i pomeriggi in pigiama, la birra analcolica, la lasagna fredda non riscaldata.

Minchia, la lasagna è finita. Devo cucinare.
Minchia che palle. Proprio oggi che piove ed il mondo è più grigio.
Ah no, aspetta! Oggi devo fare il baby-sitter a mio nipote.
Minchia, finalmente una buona notizia.
Ecco, si, la buona notizia è che sei hai trent’anni, se sei un minimo affidabile, e hai gli amici che hanno figliato, e che invidi anche un pò per questo motivo, ecco capita che ogni tanto un bambino in braccio te lo mettono.
E se ti mettono un bambino in braccio, puoi avere anche 40 anni, ma minchia il mondo quanto diventa bello.

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Matteo Madafferi

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