Kurt Cobain/Sergio Bonelli R.I.P.

Quest’anno era già importante per il ventennale di “Nevermind”, ora anche per la morte di Sergio Bonelli

Settembre 2011 è stato un mese importante per gli amanti dell’arte a 360°. Il 24 settembre 1991 usciva il secondo album dei Nirvana, “Nevermind“: 20 anni di un (tragico) capolavoro. Una strana premonizione… venti anni tragici per tutto il mondo, che sembra infatti orientato al suicidio giorno dopo giorno nella disperazione che portò lo stesso Cobain a farla finita. Non ho mai accettato il suicidio come risoluzione di salvezza, è per questo che sono incazzato anche col mondo e con la società delirante che ci circonda, del resto, non mi sento neanche di biasimare Cobain o minimamente di paragonarlo alla degente società che ci circonda, lui che invece si sforzava di rimanere puro. Non credo neanche sia la stessa sensazione che si possa provare ad esempio per la morte di un personaggio come Jeff Buckley, in cui lo sconforto per non aver più la possibilità di ascoltare nulla che sgorghi dal suo genio è strozzata dalla tragicità di un evento di “forza maggiore”; la sensazione che si prova per Cobain, è una sorta di impotenza mista a compassione che ci rende quasi inerti… anche se certo, ci rimane il rock di Nevermind, uno degli ultimi dischi a lasciare un segno indelebile… una razza in via d’estizione.

 

Ci sono dischi che hanno cambiato, in modo inatteso, la musica, per entrare nel costume e nella quotidianità di ognuno di noi. Nevermind è uno di questi: circa 25 milioni di copie vendute, un successo come non se ne sentiva da tempo; l’osanna della critica, anche la più settaria, e la consacrazione, soprattutto, del mito autodistruttivo di Kurt Cobain, leader controvoglia, genuino antieroe di un’intera generazione, in nome della cosiddetta Generazione X.

Nevermind è un grande disco di 13 tracce che non tradiscono mai. Un affresco, disperante, di “ordinaria inquietudine”. Un disco punk da questo punto di vista, ma anche un disco hard rock: è il capolavoro di quello che fu denominato “grunge”. Era il disco giusto nel momento giusto. Singoli straordinari come “Smells Like Teen Spirit“, un riff e un ritornello che ti si appiccicano addosso, una voce ruvida e indolente. Rumore e (una sorta di) melodia che si avvinghiano per 4 minuti. Poi “Come As You Are“, altra grande hit, fino a “Polly“, passando per “Lithium“, “In Bloom“, “On a Plain“, “Something in the Way“.

Per quanto mi riguarda, la prima volta che ascoltai “Breed“, con quell’incipit noise e quel riff così sanguigno e travolgente, capii che esisteva qualcosa di “vivo” anche nella musica di quel periodo, poi quando attaccò Cobain con quella strofa urlata e così ruvida, non potei fare a meno che cantarla in faccia al resto del mondo. Anche la copertina di Nevermind è passata alla storia. Un bimbo nudo di 4 mesi in una piscina, vicino a un biglietto da 1 dollaro. Era l’inzio della tragedia, sia di Kurt, che della Generazione X.

 

Il 26 settembre, è invece morto Sergio Bonelli, per cause naturali… un’altra generazione certo.

Nel comunicato della sua casa editrice c’è scritto: «È stato il principale artefice del passaggio del fumetto da semplice strumento di intrattenimento popolare a prodotto di dignità culturale, creando, nel corso di una carriera cinquantennale, una delle case editrici di fumetti più importanti del panorama nazionale e internazionale». Bonelli, fumettista ed editore, continuò il successo di Tex (inventato dal padre), e la nostra generazione lo ringrazia soprattutto per Dylan Dog, Nathan Never e Martin Mystere, senza i quali, per quanto mi riguarda, forse non sarebbe nata neanche questa inutile webzine.

Sergio Bonelli era certamente un’artista illuminato. Non ha mai soffocato la personalità degli autori, ha sempre rispettato il lavoro soprattutto dei disegnatori che negli anni si sono affiancati ai creatori di una serie per rendere omogeneo lo stile. Bonelli ha sempre lasciato libero sfogo alle interpretazioni dei vari autori, è stato uno dei primi editori a pubblicare i nomi degli autori delle storie, cosa che non succedeva quasi mai in passato. Senza di lui non avremmo mai conosciuto il giovane scrittore maudit Tiziano Sclavi, che gli porterà in dote il personaggio più di successo in assoluto: Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo.

Attraverso i fumetti, e le sue strisce, ricche di pathos e suggestioni, il più delle volte pubblicate in marcato bianco e nero, Bonelli era li quasi ad insegnarci che il messaggio sta più nel contenuto che nella forma, non ha mai mancato di denunciare le storture ed i vizi della società e del potere. Piccoli grandi eroi.. di una società morente, che grazie a loro, mantiene accese piccole luci di speranza per riemergere.

p.s.- il 25 Settembre è stato anche l’anniversario di John Bonham, senza il quale molti di noi non avrebbero mai conosciuto il rock!

Fatale

 

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