Ipotesi d’origine

L’uomo, come del resto avviene per la maggior parte degli organismi viventi, siano essi animali o vegetali, racchiude in sé una inclinazione naturale che lo spinge a salvaguardare la propria sopravvivenza, anche a scapito della vita di altri organismi, in sostanza è fondamentalmente e istintivamente egoista.  La natura è a-morale e non è retta da alcun principio che possa essere collegato a valori etici quali, ad esempio, giusto-ingiusto, buono-cattivo, e nel suo evolversi non è rinvenibile alcuno scopo ma solamente il soggiacere ad un infinito scontro-incontro degli opposti che da origine ad una sorta di graduatoria in base alla quale gli individui più adatti a sopravvivere sono destinati a primeggiare e ai restanti non resta altro da fare che disporsi in un ordine decrescente dove, il più delle volte, l’ultimo della graduatoria è destinato a soccombere, a meno che non abbia la capacità e la forza fisica, o numerica se si tratta di un gruppo, necessaria per volgere la situazione a proprio vantaggio.

 

All’interno degli organismi definiti “animati” che, per necessità fisiologica e non per scelta, si sono associati in insiemi formati da più individui, col tempo si è creato un sistema di comportamenti cinetici, a volta anche “verbali”, finalizzato non solo a definire chi debba coordinare l’agire del gruppo ma anche ad incidere sull’egoismo aggressivo del singolo individuo, convogliandolo verso strumenti di coesione. Nella specie umana, questo istinto alla conservazione del sé e del gruppo da tempo è stato “inquinato” da elementi che non hanno più nulla di naturale ma che soggiacciono a “imperativimentali, che definirei “culturali“, che si rifanno a visioni della vita riconducibili alla morale, alle ideologie, alla percezione-divisione del divenire temporale o alle usanze socialmente e passivamente acquisite (se bere è naturale, cosa si beva, come e quando è culturale).

 

Se si accetta la teoria evoluzionista, che afferma che la presenza delle diverse specie sul pianeta terra sia stata determinata da una iniziale aggregazione casuale delle molecole cui poi è seguita una fase di mutazione-selezione che ha “premiato” i soggetti più idonei a sopravvivere e che le caratteristiche biologiche vincenti siano state ereditate per via genetica, ci si potrebbe domandare se questo processo di selezione-trasmissione genetica possa essere applicato anche ai “prodotti” elaborati dalle cellule cerebrali, non essendo questi altro che il risultato di processi chimici ed elettrici.  In base a tale presupposto si potrebbe affermare che all’interno della mente umana esista una “memoria collettiva” che è stata acquisita non per apprendimento ma per via biologica la quale spinge il singolo individuo ad elaborare ragionamenti preconfezionati che lo portano a ipotizzare modelli organizzativi, produttivi e sociali che vengono percepiti come “vincenti” e in base a tale assunto sostenere che il sussistere nelle diverse epoche della stessa ideologia sia dovuto al fatto che veniva (ed è) percepita come vincente da parte delle caste dominanti. Se avviene qualche mutamento nella struttura è perché o la classe sociale sottostante a quella che detiene il potere si è trovata ad essere superiore non solo numericamente ma anche “militarmente”, o perché in seno alla stessa ideologia si sono sviluppate “malattie” da invecchiamento. Qualsiasi mutazione o ideologia non è eterna e destinata a mantenersi in equilibrio stabile, ma tutto, prima o poi, decade.

 

E’ ipotizzabile che i capi-orda delle origini, i futuri legislatori, si siano trovati di fronte alla necessità non solo di istituire un sistema di norme che evitasse loro il rischio di essere rovesciati ma, anche, di scongiurare l’accendersi di inevitabili conflitti interni e, a tale scopo, abbiano istituito un sistema di regole sempre più particolareggiato che non fosse percepito come “frutto” di una strategia volta a difendere un privilegio individuale o di casta, ma come un insieme di norme “imposto”, per il bene di tutti, dal nume tutelare cui, in precedenza, il gruppo stesso aveva demandato il compito di dare risposte a interrogativi esistenziali logicamente insolvibili (non è un caso che sovente chi gestiva il gruppo dal punto di vista sociale fosse anche colui che fungeva da tramite tra la sfera terrena e quella divina).

Questo strumento di condizionamento, che definirei “religioso“, a fronte della evoluzione dei sistemi statuari, dei mezzi di produzione e delle espansioni territoriali, spesso violente e che contemplavano l’annessione di gruppi sociali “diversi”, non poteva restare immutato e, per consentire una indiscussa ed effettiva assimilazione dei nuovi sudditi, deve aver subito delle modifiche che lo rendessero incontestabile ed unico. È in base a tale asserzione che si potrebbe ipotizzare che i passaggi dal politeismo al monoteismo siano stati non l’espressione di un pacifico proselitismo unificante (siamo tutti figli dello stesso dio) ma un atto di sopraffazione con cui il gruppo più forte, negando l’esistenza di una qualsiasi altra divinità che potesse essere la personificazione di una identità nazionale “diversa”, ha imposto il proprio predominio, senza escludere l’eventualità di annientare l’altro se la mediazione risultava impossibile, ed è in tale senso che potrebbero essere interpretate le indicazioni violente presenti all’interno di molti testi religiosi.

 

Che sul pianeta terra la supremazia dell’homo sapiens sulle altre specie di ominidi sia stato il risultato di un lungo periodo di lotta-competizione tra specie simili è cosa ormai più che accettata e, a sostegno di tale tesi, si potrebbe citare la presenza in gran parte delle narrazioni di tipo religioso di un avvenimento sconvolgente che, pur facendo riferimento ad un omicidio consumatosi all’interno del gruppo parentale d’origine (Caino-Abele, Seth-Osiride, Romolo-Remo), potrebbe essere messo in relazione all’epoca della prima grande proto-rivoluzione politico-economica, a quando cioè alcuni gruppi di ominidi, passando per motivi puramente utilitaristici dalla situazione di cacciatori-predatori-raccoglitori nomadi a quella di coltivatori stanziali, entrarono in competizione con i gruppi meno evoluti e li sterminarono.  La scelta stanziale aveva comportato un dare maggiore importanza al possesso della terra (anche nelle situazioni in cui il godimento dei frutti era collettivo) che, unita alla necessità di avere un numero crescente di manodopera da impiegare nel lavoro agricolo (funzione produttiva-riproduttiva) ebbe una ricaduta sulla struttura sociale dei gruppi, una mutazione che, probabilmente, può essere fatta corrispondere al passaggio dal matriarcato al patriarcato che non poteva concepire la persistenza di altri modelli organizzativi.

Partendo da tale presupposto si potrebbe sostenere che le narrazioni mitico-religiose sopra accennate non sarebbero altro che il ricordo inconscio dellaguerrache scoppiò trafratelli similiper il controllo del territorio, a quando cioè i gruppi più progrediti, che avevano istituito anche una sorta di “proprietà privata”, entrarono in conflitto con le specie ferme al nomadismo e al latrocinio e le sterminarono.  Se la reminiscenza di questo scandalo (lo sterminio di un proprio simile), sepolto nel profondo della psiche, non fosse stata rielaborata a dovere, probabilmente non solo avrebbe causato dei seri problemi psicologici (essere “figli” di un omicida non era di certo tranquillizzante) ma avrebbe potuto anche fungere da elemento socialmente destabilizzante in quanto incitava alla rivolta chi si fosse sentito depredato ingiustamente.  È probabile che fu in base a tale sentore se nella elaborazione successiva delle narrazioni-ricordo religiose, quando da orali si tramutarono in scritte, venne introdotto una sorta di capovolgimento dei ruoli, addossando l’atto di uccidere ilfratello” non all’effettivo vincitore mitologico, ma al suo antagonista, che andava duramente condannato. Cosi facendo, però, sarebbe venuta meno la figura positiva da cui trarre le proprie origini e, per risolvere il problema, furono inseriti personaggi tranquillizzanti che fossero postumi al deprecato avvenimento (nella Bibbia Seth, il fratello tardivo di Abele e Caino).

 

Nel corso delle epoche, soprattutto durante i periodi di crisi economico-sociale, sono sorti all’interno dei vari credo religiosi dei movimenti di riforma che, ricollegandosi alle presunte leggi dettate dalla divinità originale, ne hanno invocato il ritorno affinché intervenisse per sanare le ingiustizie e ripristinasse il mondo di pace e felicità un tempo promesso.  Nel caso della tradizione giudaico-cristiana, il libro Esodo/Nomi è stato sovente interpretato oltre che come la narrazione mitologica dell’affrancamento degli Ebrei dalla schiavitù egiziana, come metafora e fonte di ispirazione per il “viaggio tortuoso e pressoché infinito” che si dovrebbe intraprendere per giungere alla attuazione di una società più equa e felice, una situazione che per essere realizzata, benché fondata su direttive ritenute “divine”, richiedeva non solo la partecipazione attiva di tutti gli adepti, ma anche interventi di carattere strettamente terreno e materiale.

Mosè potrebbe essere la personificazione mitologica del movimento di opposizione sorto in Egitto all’epoca del faraoneereticoAkhenaton che, unendo in un credo monoteistico di largo respiro i piccoli proprietari terrieri ed i lavoratori manuali, si era opposto al potere latifondista, teocratico e politeista del clero di Tebe.

Freud, ne “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”  ipotizza che nella figura del personaggio Mosè, in verità, si assommino più riformatori succedutisi in un ampio lasso di tempo.  A rendere l’idea di come questo viaggio sia denso di difficoltà e presenti il pericolo di ritorni al passato basti pensare alle “mormorazioni” del “popolo dalla dura cervice” cui Mosè, secondo la narrazione biblica ha dovuto far fronte nel corso del vagabondare nel deserto o all’episodio del “vitello d’oro” che può essere interpretato come il riaccendersi tra il popolo appena liberato dal giogo egiziano dell’antagonismo tra una visione di una società proiettata nel futuro, più giusta, ma incerta e fondata sulla condivisione di regole vincolanti da accogliere liberamente e il rimpianto di una situazione del passato che, sebbene disagiata, appariva meno coinvolgente e più sicura.

Pur non negando l’importanza di istituire un rigido sistema di norme in cui tutti debbano riconoscersi, il brano 32, 26-29 di Esodo/Nomi (“Mosè si fermò sulla porta dell’accampamento gridando –  Chi si è mantenuto fedele al Signore venga presso di me …cinga la propria spada e passi di porta in porta ed uccida i peccatori, si tratti anche del proprio fratello, del proprio amico o del proprio parente-“) pone il problema non indifferente di come si debba reagire di fronte ai rigurgiti del passato, l’interrogativo su sino a che punto siano giustificabili ed accettabili le scelte e le azioni che vengono intraprese dalle avanguardie qualora dovessero sorgere delle contestazioni.

 

Se non si tiene conto delle correnti ideologico-politiche legate alla teologia della liberazione presente in alcuni paesi dell’America Latina e del continente africano, si può cogliere una differenza non trascurabile tra il messaggio socio-religioso veterotestamentario e quello neotestamentario elaborato dopo la scomparsa di Jeushua il Nazzareno. Nella tradizione ebraica il momento della redenzione-libertà viene collegato prevalentemente ad un miglioramento sensibile della situazione terrena rinviabile ad un’epoca indefinita e messa in atto da un “Re-sacerdote” ispirato e di natura umana, mentre per il Cristianesimo di matrice post paolino, non solo la salvazione viene messa in relazione ad una vita ultraterrena, ma, oltre ad addebitare la situazione disagiata terrena ad una ipotetica colpa originale dell’uomo, si sostiene che essa sia già avvenuta grazie al sacrificio del Redentore e, come corollario, si afferma che qualsiasi azione pratica mirante a sovvertire lo status quo debba essere interpretata come empia, visto che la realtà terrena è opera della volontà divina.

Melog

 

< ORIGINI DELLA RELIGIONE :

PART. 1 – “DIO È UN FUNGO ALLUCINOGENO

PART. 2 – “L’ORDINE DIVINO NATURALE E LA RELIGIONE PERDUTA

PART 3 – “DIO È UNA STELLA. LA RELIGIONE STELLARE

PART. 4 – “LA SCIENZA SECONDO LA BIBBIA

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