Intervista a Lucio Leoni – Scavare nel linguaggio e accorgersi dell’altro da sé

Ecco come si frantuma il vizio presuntuoso del giudizio e si riconosce il lupo cattivo in sé

Il Pigneto non mi è mai sembrato tanto intimo e raccolto come la sera in cui ci sono andata per incontrare Lucio Leoni. Il giovane cantautore romano ha da poco pubblicato “Il lupo cattivo” per Lapidarie Incisioni/iCompany, lo ha presentato al Monk lo scorso 24 novembre con un live travolgente che ha trovato un pubblico entusiasta ad accoglierlo, mentre la scorsa sera lo Sparwasser, il luogo del nostro appuntamento, lo ha visto tenere più tardi un piccolo live e rispondere alle domande di Riccardo De Stefano di ExitWell, nell’appuntamento con “Note vocali, musica in confidenza”. Ma prima, io e lui, ci siamo seduti ad un tavolino e ci siamo fatti qualche chiacchiera in libertà su cose come il silenzio, il cambiamento e la paura che fa, e sulla differenza fra essere cattivi ed essere semplicemente stronzi

Quello che emerge sia da “Lorem Ipsum” (Lapidarie Incisioni, 2015) che da “Il lupo cattivo” è una certa esigenza, che definirei proprio urgente, di comunicare ed esprimere ciò che hai dentro insieme alla tua visione del mondo. Lo fai con efficacia, di te si può davvero affermare che hai qualcosa da dire e sai padroneggiare il linguaggio, creando momenti musicali molto intensi. Mi sembra che in questo disco tu sia cresciuto e maturato tanto.
E a proposito del linguaggio, che è il filo rosso di tutto il disco, ad esempio in “Impossibile essere possibile” è, scusa il gioco di parole, impossibile non notare quanto il testo sia ricco di senso ed è un brano che esige l’attenzione.
Quanto è importante per te il linguaggio? Quanto lo è lavorare su di esso?

Sul linguaggio io baso un po’ tutto il mio percorso, in effetti hai colto un aspetto centrale. Una delle cose che mi dispiace, mettiamola in termini dolci, della musica italiana degli ultimi anni è che si perda un po’ il contatto con la lingua italiana, che non significa saper coniugare i verbi, ma vuol dire scavare, cercare, andare a vedere i diversi significati delle parole, vedere come si possono incastrare, noi veniamo da una tradizione fondamentale: possiamo passare attraverso Calvino, Rodari, Pirandello, personaggi che usando il linguaggio hanno insegnato non solo a noi, ma a tutta la cultura europea, americana, mondiale, che cosa vuol dire avere questo potere qua, ed è un potere che abbiamo solo noi umani, quello di comunicare attraverso la lingua, per cui lasciare il linguaggio alla versione basica, che poi è quella con cui ci prendono per il culo quotidianamente le televisioni o i partiti politici, è un peccato, soprattutto per chi fa un mestiere come quello di chi mette le parole in musica, insomma il cantautore, che cerca di raccontare delle cose. La mia, sì, è un’urgenza che non ti so dire da dove viene, connaturata e non posso slegarla da questo modo di pensare, perché poi sono infarcito di libri, di studi e di saggi su questo mondo.

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Quindi non è solo il tuo amico Filippo che legge troppo!

No, effettivamente non è solo lui, mi trovo gli amici rispetto a come sono fatto io.

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Ho potuto osservare che in “Il lupo cattivo” riprendi e muti alcuni temi trattati già in “Lorem Ipsum”. Mi viene in mente la bellissima riflessione sul silenzio in “Le interiora di Filippo”, quando il Filippo di cui sopra ti dice che «ogni discorso, ogni filo di parole cucite una all’altra presuppone il silenzio come condizione» e che «il silenzio prende senso come preludio al suono». E questo mi sembra che contraddica “Luna”, in cui dicevi «e non mi venire a dire che tutto quel silenzio è il veicolo più universale di comunicazione».

Bello, che bel link che hai fatto. Diciamo che su “Luna” la riflessione è mia e su “Le interiora di Filippo” la riflessione è di Abbado. Quello del silenzio è un tema con cui mi scontro spesso, perché appunto è una delle armi più potenti che paradossalmente la musica possiede, dato che essa si basa proprio sull’opposto. Quando riesci a mettere in equilibrio la massa, la tessitura sonora e la dinamica potente di quello di cui disponiamo attraverso gli strumenti musicali elettrificati e non insieme ai vuoti, ottieni delle botte emotive che ti prendono proprio alla pancia e che aiutano il linguaggio a sopraelevarsi. Il linguaggio non è mai sganciato, non è che ci sono solo la parola e il linguaggio che comunicano, perché il musicista mette la parola in musica, no? Noi facciamo questo, ma dobbiamo anche capire quando quella parola ha senso.

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Tra l’altro è bello il modo in cui nel brano metti ulteriormente in rilievo il tema del silenzio, perché fermi la musica e ci sei solo tu che parli.

Esatto, quel momento lì è didascalico, anche perché il pezzo si apre nel silenzio e torna nel silenzio prima che riprenda il «ritornello pop», e questo mi aiuta a raccontare proprio quello che sto dicendo, nel senso che nel momento in cui arrivo a raccontare una riflessione non mia, ma che prendo in prestito da uno dei grandi maestri della musica mondiale, svuoto tutto e levo tutto quel casino successo fino a quel momento, perché la mia speranza, che tu hai colto e mi fa molto piacere, anzi mi lusinga molto, è che l’ascoltatore entri in quella dinamica. Ed ecco allora che il silenzio è preludio al suono, è condizione di riposo, e infatti poi torniamo al ritornello pop e la buttiamo in caciara.

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Sarà, ma “Le interiora di Filippo” mi ha colpito come un treno, contiene delle riflessioni molto profonde che sono fuori dal comune, mi sento meno sola quando ascolto canzoni di questo genere. Ma sempre a proposito dei temi che cambiano di segno, tu in “Domenica” parlavi di un «figlio pazzo di rivoluzione», invece in “Piccolo miracolo” parli di «una mezza rivoluzione». Perché dall’essere pazzi di rivoluzione, la rivoluzione diventa “mezza”?

In “Domenica” il segno base è che «anche oggi non si fa la rivoluzione» e si aspetta che «la moglie di un giullare che impara a far l’amore» metta al mondo finalmente quel barlume di speranza che può essere chi ti pare, da Jannacci a Che Guevara; invece in “Piccolo miracolo” sono io che parlo, si è spostato il punto di vista e, siccome il brano attraversa un po’ i vari problemi che si possono riscontrare in una relazione, prima di dirti che abbiamo bisogno di una “mezza rivoluzione”, ti dico che abbiamo bisogno di regole, che paradossalmente è l’opposto della rivoluzione, per cui parlare di una “rivoluzione totale” mi sembrava troppo in contrasto con le regole, rispetto al tipo di racconto che stavo facendo in quel momento. In generale, però, ritengo che una rivoluzione sia assolutamente ancora necessaria.

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E invece sul tema del cambiamento in sé? C’è un brano in cui ne parli in maniera piuttosto dolorosa e intensa, mi riferisco a “Perché non dormi mai”, e anche quel brano lo sento molto vicino a me, mi ha emozionato. Insomma, tu cosa pensi del cambiamento, ti senti pronto, ti fa paura? Lì ad un certo punto dici «devo mollare, lasciare, abbandonare, riformulare, capire, ricominciare, analizzare e reimpostare, riformattare a costo di perdervi, di lasciarvi, di dimenticarvi, di cambiare, di trasformarmi in qualcosa che non vi possa più piacere, ma lo devo fare, sto per impazzire…».

Dipende dal cambiamento. Io sono pronto nel senso che sono convinto che siamo in continua evoluzione e che questo sia necessario, che poi vuol dire essere in ascolto. Il problema di base che permea un po’ tutto il disco, per cui poi sono arrivato a chiamarlo “Il lupo cattivo”, è che nonostante noi viviamo in un mondo sociale e siamo in continua relazione l’uno con l’altro manca l’esserne coscienti. Insomma, ci superano a destra, parcheggiano in doppia fila, quando dici buongiorno o buonasera non ti risponde nessuno. Per cui la mia richiesta è quella di accorgersi che esiste l’altro da sé e per fare questo bisogna essere in ascolto. Per essere in ascolto bisogna essere disposti a modificarsi, a cambiare in continuazione. Io sono prontissimo al cambiamento, se questo vuol dire imparare a mettersi in relazione, cosa che in realtà dovrebbe essere naturale; perché noi nasciamo con questa condizione, ma poi chissà per quale motivo, magari il corso della vita, la società, le regole, le imposizioni, non so precisamente cosa… ce la perdiamo, perché il 90% della popolazione diventa stronzo a un certo punto! Sono assolutamente pronto al cambiamento se questo significa accorgersi dell’altro da sé, che non è il concetto cattolico del “porgi l’altra guancia” o “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma è semplicemente avere consapevolezza del fatto che non stiamo da soli, se ci limitassimo a questo avremmo una visione narcisistica ed egocentrica del mondo che non avrebbe senso.

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Il discorso di Tenco che praticamente reciti in “Io sono uno” è davvero attuale e significativo, e immagino che sia uno dei motivi per cui tu lo hai scelto. Quanto ti ci rivedi? Lo senti tuo? Perché?

Esatto sì, a me fa impressione quanto effettivamente sia attuale quel discorso, che credo fosse una sorta di dibattito giornalistico. Lui praticamente dice che è il mondo di domani quello che importa, non solo quello di oggi, se ci preoccupassimo solo del mondo di oggi, a proposito dell’ascolto e dell’altro da sé, avremmo tutti ottant’anni. Io mi ci rivedo tantissimo in alcune cose, ed è proprio questo che mi spaventa, perché era un discorso degli anni ’60 e questo significa che oggi, nel 2017, non è cambiato niente. Mi ci rivedo, ma come condizione umana, non come Lucio Leoni.

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Un’ultima domanda: nel brano che dà il titolo all’album dici che il lupo è cattivo, ma non è stronzo, e mi ha colpito quando dici che noi, al contrario suo, siamo stronzi. Qual è la differenza e perché noi siamo così?

Essere cattivi presuppone una scelta, essere stronzi no. Essere stronzi è troppo facile, mentre essere cattivi è più difficile. Allora io preferisco chi sceglie di essere cattivo rispetto a chi fa lo stronzo.

 

Ilaria Pantusa

Foto: Gabriele Bocci

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6 Comments

  • sempre fantastica Ilaria Pantusa. bellissima intervista ad un artista speciale. questi ultimi singoli sono stupefacenti

  • una rara capacita’ di leggere il contemporaneo con la sensibilita’ dei classici. un pensiero forte dietro un palco. artista da seguire,non c’è dubbio

  • l’incoscienza della vicinanza, la non consapevolezza delle relazioni.
    un tema di fondo molto interessante,come questa intervista di Pantusa, sempre bravissima!
    Lucio Leoni è davvero eccezionale, questi due singoli sono notevoli !

  • UN FENOMENO VERO. A CANTARE, A SCRIVERE CANZONI E A FARE ACUTE INTERVISTE , AH AH AH AH
    GRAZIE PANTUSA, SEMPRE SUL PEZZO! E QUELLO DI LUCIO E’ UN GRAN BEL PEZZO….LE INTERIORA DI FILIPPO E’ UN CAPOLAVORO AD ESEMPIO !
    :)))

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