Intervista ad Andrea Poggio – quando la musica nasce dal “confronto esclusivo” con sé stessi

Il cantautore piemontese spiega cosa significa scrivere un disco da solista e parla del coraggio che ancora manca alle produzioni musicali italiane

Il 17 novembre è uscito “Controluce“, il primo disco da solista di Andrea Poggio. Lui, già leader del gruppo folk rock Green Like July, si è cimentato in questa nuova avventura partendo da sé stesso e dagli strumenti che “la più moderna tecnologia” mette a disposizione dei musicisti. Il disco, registrato tra Milano e New York dal produttore Eli Crews, è un tentativo di esplorare nuove sonorità attraverso una lingua inusuale per il cantato di Poggio, l’italiano. Ed eccoci quindi io e lui allo Sparwasser, nel cuore del Pigneto, prima di “Note vocali – musica in confidenza”, incontro organizzato da ExitWell e presentato da Riccardo De Stefano, a parlare di “Controluce”.

Nel tuo disco sembra esserci un filo rosso che lega fra loro tutti i brani che lo compongono: quello dei luoghi, degli spazi, che possono essere quelli delle città come in “Miraggi metropolitani” o nella stessa “Controluce”, oppure quelli più ampi di “Mediterraneo”. Come vivi questi spazi, quanto incidono nella tua percezione della musica e del modo di fare musica?

Mi permetto di prendere il discorso un po’ alla lontana. Quando ci si approccia ad una canzone o a un disco si ha sempre l’irresistibile tentazione di arrivare a decifrare quella che è l’interpretazione anche autentica, se vogliamo, dell’autore. Ecco, in questo senso io mi sono sempre opposto ad un’interpretazione così esegetica o di sinossi dei testi e dei brani musicali, in primo luogo perché non è un approccio che mi interessa, nel senso che quando guardo un bel quadro o una bella fotografia l’analisi o l’interpretazione del reale significato di quella fotografia non è la mia prima domanda; nello stesso tempo è un approccio che faccio fatica ad adattare ai miei brani, perché ho un metodo di scrittura, e lo dico senza presunzione, slegato dal contingente, cioè scrivo i testi non dettato da un impulso istintivo e immediato. In genere le mie canzoni nascono da uno spunto, da un’idea che coltivo con gran fatica e grandi sforzi per settimane se non addirittura mesi. Quando mi si fanno domande sulla nascita di un brano trovo sempre difficile rispondere, perché una risposta semplicistica è in sé forse poco rispettosa del lavoro che ho svolto e un po’ perché non riesco a darne una. Vorrei dirti che “Mediterraneo” ha come protagonista il mar Mediterraneo o una mia gita a Vernazza dove ho mangiato un’ottima focaccia e questo è il brano, in realtà se ti dicessi questo, non solo direi una bugia, ma in un certo senso sarei irrispettoso del lavoro che ho fatto.
Tutto premesso, sono molto interessato a quello che mi stai dicendo, perché in realtà tu hai forse una prospettiva più distaccata e più obiettiva rispetto a me nei confronti del disco, quindi il fatto che tu vedi come filo conduttore i luoghi lo trovo molto interessante e, quindi, partendo dall’inizio, a me non interessa l’interpretazione autentica, ma mi interessano più le interpretazioni singole, quindi sono spettatore come te di questa tua interpretazione e forse la condivido.

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È l’aspetto che a me è risultato più evidente e lampante, probabilmente anche per il mio modo di vivere la realtà e vivere gli spazi, non so. Vedo che tu hai questo modo quasi impressionistico di dipingere determinati stati d’animo che si legano poi al luogo e questo mi ha colpito molto.

Ti ripeto, sono molto molto incuriosito dal tuo punto di vista.

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Quindi, insomma, è qualcosa che ti risulta nuovo.

Non mi risulta nuovo, è sicuramente un aspetto delle mie canzoni, magari da una prospettiva diversa e probabilmente con la giusta lucidità, tra un po’ di tempo potrò dirti che effettivamente questo disco ha come protagonisti più i luoghi che le persone. È anche vero che io sono una persona estremamente riservata e molti dei testi presenti in “Controluce” sono dei testi anche personali, come origine e come spunto, ma che in realtà nel corso delle varie correzioni e ri-stesure si sono trovati un po’ mutilati di alcuni affondi che mi mettevano eccessivamente a nudo, e magari questo è da ricercare anche nella mia origine piemontese!

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Prima eri la voce dei Green Like July, con loro facevi principalmente folk rock e cantavi in inglese, invece in questo tuo progetto solista non solo canti in italiano, ma spazi tra l’elettronica e l’art-rock. Quanto ha influito in questa svolta stilistica il fatto di non essere parte di un gruppo? Quali sono stati i tuoi principali riferimenti musicali?

Questa è una domanda molto calzante, perché questo disco nasce proprio dal fatto di non essere più parte di un gruppo, dal fatto quindi di non avere più l’appuntamento settimanale o bisettimanale in sala prove, e quindi dal fatto di avere un confronto esclusivo con me stesso. Nel bene e nel male, perché questa cosa ti dà un’estrema libertà, ma allo stesso tempo ti dà anche tanta solitudine e ti mette nella condizione di dover essere molto più sicuro di quello che fai, perché dall’altra parte non hai un componente del gruppo che ti guarda e ti dice “questa cosa è una figata, dai”; sei solo con te stesso. Non avere un gruppo ha inciso anche sul fatto che per la prima volta ho scritto un disco non avvalendomi dell’unico strumento che so suonare, che è la chitarra, ma usando soltanto programmi messi a disposizione dalle moderne tecnologie.
Invece per quanto riguarda i riferimenti musicali è difficile rispondere, perché io son sempre stato molto esterofilo. Il mio approccio con la musica italiana è recente, esclusi i grandi classici. Dovessi citarti qualcuno quindi ti direi che in Italia secondo me ci sono nomi imprescindibili, De André e Paolo Conte per esempio sono dei numi tutelari, però chi ha acceso in me una sorta di scintilla e mi ha spinto a scrivere in italiano, se vogliamo trovare un responsabile, ma in realtà è stata una concomitanza di cose, è stato Piero Ciampi, perché lui ha un modo di utilizzare la voce e la lingua italiana che allo stesso tempo è estremamente serio e divertente, e questo connubio tra ironia e serietà, che a volte è al limite dello straziante, è una cosa che mi ha colpito e io non avevo mai sentito un cantautore italiano arrivarmi in quel modo. Poi, vabbè, ripeto, per un piemontese Paolo Conte è una figura imprescindibile.

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Tu vivi a Milano, “Controluce” lo hai registrato tra Milano e New York, qual è la differenza di percezione del fare musica in queste due città?

Secondo me in Italia siamo un po’ chiusi a quelli che sono gli impulsi esterni, ci siamo creati il nostro microcosmo nel quale stiamo bene ed è un microcosmo fatto di tante piccole sicurezze e inevitabilmente, quando si esce dai confini italiani, si vede che all’estero in primo luogo succedono tante cose altrettanto belle, ma, se posso permettermi un po’ di critica e di autocritica, lì si osa di più; in Italia invece abbiamo un po’ questa tendenza a stare in quegli ambiti e in quei territori che ci rendono più sicuri di passare in radio, di arrivare al grande pubblico. In America, e in generale all’estero, c’è un po’ più di coraggio. Questo disco è stato prodotto da un produttore statunitense e quando io, così per scherzo, dicevo “ma magari qua devi alzarmi la voce, se no come fanno a passarmi per radio”, lui si girava verso di me e rideva, ma di gusto, anche un po’ scandalizzato dal fatto che io avessi simili preoccupazioni… e io lo capisco questo ragionamento.

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E invece qual è la differenza tra Roma e Milano? Conosci la scena romana? Considerando quanto Indie c’è sia in quella romana che in quella milanese, sono poi così differenti?

Ah be’, questa è una domanda che ci richiede almeno mezzora! Allora, c’è molta differenza tra la scena milanese e quella romana, dovremmo forse davvero prenderci una serata intera per analizzare i perimetri delle due realtà. In generale penso che ci vorrebbe più coraggio, per esempio vorrei un po’ più di dischi come quello di Iosonouncane. In un sistema sano ne escono due o tre all’anno di dischi del genere, senza voler togliere niente al lavoro che ha svolto Jacopo (Iosonouncane n.d.r), perché per me quello è un disco meraviglioso, però appunto, in un sistema sano ci dovrebbero essere più dischi di quel livello. Il fatto che non sia così è un sintomo del malfunzionamento del nostro sistema. Della scena romana per esempio mi piace molto Calcutta, non so neanche io bene perché, però credo che abbia qualcosa, che comunichi in un modo autentico e che sia molto interessante quello che fa.

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Ilaria Pantusa

Foto: Gabriele Bocci

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